ATTENZIONE: SUPER GREEN SPOILER
Dopo aver guardato gli episodi afferenti al volume uno della quinta stagione, ero stato tentato di abbandonare La casa di carta, perdendomi il finale. Ma avevo già guardato ogni minuto delle stagioni precedenti, e soprattutto dovevo scrivere in questo spazio il mio parere ignobile e bieco, gretto e rissoso, e dunque mi sono sacrificato. Lo so, certe posizioni contrarie e rigide, difronte a opere tanto seguite, suscitano nel pubblico entusiasta disprezzo (quando non addirittura odio) verso il critico oltraggiante. Ma cos’altro dovrei fare davanti al guazzabuglio travasato dentro a una serie tv nata bene e proseguita nel caos indomabile?
Stagioni 1 e 2
Tanto gradevole era stata la compagnia delle prime stagioni, costruite lungo una linea impeccabile, intreccio fluido, scopo chiaro e personaggi ben approfonditi, cattivi odiosi e buoni da amare senza condizioni al di là di ogni etica plausibile e personale. La meticolosa organizzazione del professore, la sprezzante arroganza del “signor” Berlino, l’indisponente bellezza di Tokyo, la rettitudine e i ripensamenti di Raquel Murillo alias Lisbona, la faccia da culo di Arturito ci erano entrati nel cuore. E quando alla fine della seconda stagione, sepolti (mi pare) un paio dei nostri, la banda è uscita dalla Zecca in abiti civili e con le tasche colme, abbiamo goduto dai divani di casa per l’impresa riuscita. Ci eravamo immedesimati in questi personaggi tanto umani, a tratti comuni. Ci eravamo visti al loro posto, improvvisamente ricchi sfondati, in viaggio verso isole paradisiache dove vivere il resto delle nostre esistenze al massimo dei comfort possibili.
Il successo (successivamente)
A fregare i produttori a volte è il successo, o forse la brama del pubblico che non ci sta a lasciare andare i propri beniamini, che li vuole ancora lì vicino la domenica pomeriggio o dopo le stanche cene infrasettimanali, quando la giornata lavorativa è trascorsa e leggere un libro costa troppa fatica. Il telefono degli sceneggiatori s’anima, e costoro si mettono al lavoro per saziarci. E se la vicenda narrata è ormai conclusa, bisognerà inventarsi qualcosa. Ma cosa?
Tutto il resto
E così succede che Tokyo e Rio, latitanti felici, si lasciano. Lei parte a godersi il mondo e lui rimane a soffrire davanti al mare cristallino di Guna Yala. Allora decide di cercarla, s’attacca al telefono e tanto basta per essere rintracciato, raggiunto, sequestrato e torturato. La torturatrice è Alicia Sierra, ispettrice di polizia vedova e incinta, una vera furia.
Che fanno i nostri eroi per liberare Rio? Occupano la Banca di Spagna intenzionati a portarne via l’oro accendendo il clamore sul sequestro disumano. Ecco che ci si aspetterebbe un superamento di quanto già visto, magari l’aggiunta di qualche personaggio in grado di riempire lo spazio enorme lasciato scoperto da Berlino, morto sotto una raffica di fuoco nemico nella stagione precedente.
Ma succede troppo di più
Quel che avviene è talmente ingombrante che si fatica a raccontarlo. Hacker sparsi in tutto il mondo lavorano per il professore. Innamoramenti, triangoli, tradimenti, delusioni sentimentali, passi d’addio si sviluppano nel mezzo della rapina. Elicotteri militari nelle mani della banda, interventi chirurgici praticati da gente che ha studiato all’occorrenza medicina su testi Bignami. Nairobi muore, a Helsinki viene amputata una gamba. Alicia Sierra scopre il nascondiglio del professore e lì, mentre è intenta a catturarlo, le si rompono le acque. È proprio il professore a indurle il parto, non s’era finora capito che fosse esperto in ostetricia. Nel frattempo nella banca c’è una vera e propria guerra. Un drappello di militari è entrato, e si spara a volontà. Esplodono granate, si sparano mitra, forse razzi. Gli spagnoli, è noto, sono bravissimi nell’edilizia, la sede della banca non crolla nonostante le bombe nel ventre. Cosa ci sarà mai nel cemento? È questa la domanda che ci stiamo ponendo quando veniamo spiazzati da un colpo di scena: Tokyo rimane uccisa. Non ci sarebbe da sorprendersi considerando il contesto, ma Tokyo oltre a essere la protagonista più accattivante dell’opera, è anche la voce narrante. Dunque la narrazione passa dalla voce di Tokyo alla voce del fantasma di Tokyo che ci accompagnerà fino alla fine.
E dunque il finale
Mentre dentro e fuori dalla banca avviene l’impossibile, vari flashback ci raccontano di Berlino, la sua vita prima della celebre rapina alla Zecca. Ladro e assassino, il simpaticone ha preso moglie, e ha un figlio da una precedente relazione. Costoro, moglie e figlio, si innamorano, così la donna, Tatiana, lascia Berlino per stare col giovane rampollo. I due più tardi ruberanno l’oro che la banda ha sottratto alla banca, e poco dopo lo restituiranno (alla banda, non alla banca). Perché mai, non è dato saperlo. Il professore intanto raggiunge la banda, prende schiaffi durante una improbabile trattativa con le istituzioni spagnole, confessa all’amata Lisbona di essere un ladro e di aver organizzato le rapine appunto per seguire la propria indole. Roba che necessitava di conferme, non lo avevamo capito. I nostri eroi (ai quali si è unita anche Alicia Sierra, cui la maternità ha giovato) convincono il colonnello Luis Tamayo, cattivo della peggior specie, incapace di redimersi, a liberarli senza pretendere la restituzione del bottino: il sogno di ogni rapinatore.
Felici davanti a tanta grazia partono, non li vedremo mai più.
Forse.