lunedì20 Marzo 2023
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Via dalla “giungla” di Calais verso la Manica, con un gommone

Drammatico naufragio Il 24 novembre è avvenuto un gravissimo naufragio nel canale della Manica,  ventisette persone sono decedute e due...

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Drammatico naufragio

Il 24 novembre è avvenuto un gravissimo naufragio nel canale della Manica,  ventisette persone sono decedute e due sono sopravvissute. Secondo i dati ANSA il gommone è affondato al largo di Calais e fra i morti c’erano anche sette donne, di cui una incinta e tre bambini. Le vittime non sono ancora state identificate, ma si ritiene che fossero Curdi provenienti da Iraq, Iran e Afghanistan. Dovrebbero essere giunti in Francia attraverso la rotta balcanica per poi cercare di attraversare la Manica e raggiungere il Regno Unito, dove immaginavano di ottenere l’asilo politico.

Le costellazioni di residenze informali nel nord della Francia

L’avvilimento e la rabbia che questa tragedia desta si acuisce al pensiero delle condizioni in cui i naufraghi vivevano prima di salire sul gommone. Essi provenivano dalla costellazione di residenze informali, nel nord della Francia, nei pressi della cosiddetta “Giungla” di Calais, in corrispondenza di una discarica. La Giungla di Calais è nata intorno agli anni ’90, quando un gran numero di migranti si fermava lì, con l’obiettivo di attraversare i circa 50 Km di Eurotunnel  per arrivare nel Regno Unito. Fino al 2002 essi erano ospitati in un soggiorno temporaneo a Sangatte, nel Passo di Calais, molto vicino al tunnel della speranza, ma a partire dal 2003 dopo il Trattato di LeTouquet, Francia e Regno Unito avevano stabilito che la polizia poteva effettuare controlli alle frontiere da un lato e dall’altro del tunnel. Anche chi aveva diritto alla protezione internazionale nel Regno Unito, non poteva arrivarci in modo legale, pur fuggendo da guerre e persecuzioni: da Afghanistan, Eritrea, Sudan. Nell’attesa di attraversare il confine, tutti i richiedenti asilo bloccati in Francia costruirono l’accampamento che prenderà il nome di Giungla, provando nel frattempo a fuggire, nascondendosi in treni e camion in partenza, per arrivare dall’altro lato dell’Eurotunnel. Nel 2009 ci fu il primo sgombero, ma come avviene di solito in questi casi, l’accampamento si ricostituì. Tra il 2014 e il 2015 la polizia fermò moltissimi migranti e intanto la popolazione della Giungla salì a 6000 anime.

Sgomberi brutali

Lo sgombero più brutale fu certamente quello del 2016, subito dopo che in Europa si ebbe il picco migratorio , causato dalla guerra in Siria. I migranti però continuarono a vivere nei dintorni, ricreando sempre nuove residenze “abusive” ma allo stesso tempo, la solidarietà verso di loro, da parte delle associazioni di volontariato, era sempre più difficile da attuare, poiché divenuta illegale, proprio come in Italia. Con l’aumento dei migranti in arrivo, le leggi sui soccorsi si sono inasprite ovunque e man mano l’Unione Europea ha reagito mettendo in pratica l’esternalizzazione delle frontiere, in un certo senso “lavandosene le mani” dei migranti in pericolo. Secondo il progetto di osservatorio indipendente sulle migrazioni, Open Migration, All’epoca dello sfratto del 2016, vivevano nella Giungla ufficialmente 7.000 migranti Secondo Help Refugees, la popolazione totale era di 8.143 persone. Il governo del Regno Unito ha infine accettato poche centinaia di bambini, mentre la polizia francese ha condotto una parte degli adulti in altri centri di accoglienza, sparsi per il Paese. Tutti gli altri sono rimasti lì, cercando di sopravvivere per poi scappare.

Misure solo repressive

Così da quel momento si è reso impossibile arrivare nel Regno Unito attraverso l’Eurotunnel, pertanto sono aumentate le persone che hanno cercato di raggiungere il Regno Unito via mare, soprattutto a seguito delle nuove aperture dopo l’emergenza Covid. D’altro canto, gli smantellamenti delle residenze, da parte delle forze dell’ordine non sono terminati e altre volte gli ufficiali francesi hanno sgomberato forzatamente i campi profughi improvvisati, che negli anni erano spontaneamente risorti dopo il 2016. Secondo i dati di Human Rights Observers (HRO), una no-profit che monitora le azioni della polizia nel nord della Francia, ci sono stati 973 sgomberi a Calais nel 2020 – quasi tre al giorno, e più del doppio dei 452 registrati nel 2018. Nel solo mese di dicembre sono state sequestrate 526 tende e sono stati effettuati 41 arresti. Isabella Anderson, una coordinatrice sul campo di HRO ha rivelato a The Guardian che “Questi sgomberi costanti fanno parte di una politica del governo francese per logorare i richiedenti asilo, per affaticarli e togliere loro la speranza. È come una tortura”. Gli attivisti parlano di persistenti violazioni dei diritti umani durante le operazioni di polizia, compreso l’uso eccessivo della forza e la distruzione delle proprietà personali, con lacrimogeni su minori, tende trascinate via, colpi con proiettili di gomma ecc. Si può risolvere una situazione talmente grave con le sole misure repressive?

Tensioni fra Francia e Regno Unito 

Tutto ciò ha naturalmente creato tensioni fra Francia e Regno Unito, dove addirittura molti parlamentari conservatori hanno sostenuto che occorrerebbe rimandare in Francia le persone che arrivano nel Regno Unito. Affermazioni di una gravità assoluta poiché infrangerebbero le leggi internazionali sul diritto di asilo e sul soccorso in mare. Si è inoltre creato un incidente diplomatico, poiché il primo ministro Boris Johnson ha scritto una lettera a Macron, inviandola addirittura su Twitter e porgendo alla Francia la suddetta infausta proposta di riprendere a sé tutti i migranti che provano ad attraversare la Manica. Evidentemente simili “ufficiose” modalità comunicative  hanno indispettito il presidente francese che nel frattempo dovrà gestire le proteste, in aumento a Calais, da parte della popolazione civile che chiede misure per sostenere i migranti e garantire loro i diritti fondamentali.

Vertice tra i Paesi coinvolti

Nell’incontro tra Francia, Germania, Olanda e Belgio, con la commissaria europea agli affari interni, Ylva Johansson, i direttori di Europol e dell’Agenzia europea per le frontiere Frontex hanno rivolto le loro accuse principalmente ai trafficanti i “passeur” (Rainews). Il grande assente all’incontro è stato certamente Boris Johnson, non coinvolto per protesta da parte della Francia contro il twitter della discordia. Si è dunque stabilito che un aereo Frontex pattuglierà il canale, mentre Gérald Darmanin, ministro dell’interno francese ha accusato il Regno Unito di non concedere l’asilo politico ai richiedenti che ne avrebbero diritto. Egli definisce inoltre l’incontro europeista, più che anti-inglese, auspicando a una maggiore collaborazione fra le polizie ai due opposti versanti della Manica. Accusare i trafficanti per poi attuare esclusivamente azioni che coinvolgono la polizia, non può essere evidentemente una soluzione efficace. Probabilmente l’esternalizzazione delle frontiere con la sua dinamica “scarica-barile” andrebbe rimessa in discussione su tutti i confini europei. Una notevole quantità di denaro pubblico è infatti investito in simili strategie, si pensi che l’Italia, con la Legge n. 145 del 21 luglio 2016, finanzia la guardia costiera libica, addestrandola per fronteggiare la tratta di esseri umani. Come rivela Internazionale lo stanziamento di fondi alla Libia è passato “dai 3,6 milioni di euro nel 2017 ai dieci milioni previsti nel 2020” e molte fonti hanno dimostrato che la tutela dei diritti umani in Libia è un lontano ricordo. Tra Mediterraneo, confine polacco e canale della Manica, l’incuria regna sovrana in un’Europa in bilico fra negligente repressione e umanità.

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