Mentre USA e Russia organizzano il loro futuro legislativo a base Bitcoin, la Cina si ostina ad ignorare le criptovalute.
La proibizione del mining in Cina potrebbe diventare l’errore più grande di Xi Jinping. L’analisi di Rob Price per Bitcoin Magazine è severa: passi che la struttura decentrata della moneta cozzi con il sistema centralizzato comunista, ma in Cina è dislocato più del 75% dei minatori, coloro i quali supportano la sicurezza del network e aiutano a processare le transazioni tenendo in vita l’enorme faldone che sorregge l’impianto stesso del Bitcoin. Ecco, piuttosto che chiedergli di pagare le tasse, o di sequestrargli l’attrezzatura, hanno deciso di dargli la possibilità di migrare altrove. E questa scommessa può costare davvero cara alla Cina.
La risposta di Usa e Russia
Non è casuale il fatto che Biden abbia firmato giusto un paio di settimane fa il disegno di legge sul tracciamento delle transazioni superiori a 0.2 Bitcoin (10.000 dollari), mentre Putin abbia autorizzato un tavolo di studio per regolarizzare il mining della criptovaluta. Tutto questo proprio quando Xi Jinping sceglie di disinteressarsi al problema, lasciando quasi tutto in mano agli occidentali. Una delle ragioni che avrebbe spinto la Cina ad andare oltre pare sia legata all’elevato consumo di energia: minare Bitcoin infatti potrebbe diventare insostenibile da un punto di vista energetico. Ma c’è dell’altro, perché Russia e Stati Uniti saranno i primi a giovare di questa scelta, e checché ne dicano i vecchi investitori, indipendentemente dalle ragioni del gesto, stiamo parlando dell’evento geopolitico più sottovalutato degli ultimi anni.
Le previsioni ottimistiche
Secondo le voci più autorevoli del mondo finanziario legato alle criptovalute i Bitcoin sfioreranno i 100 mila dollari di valore entro il 2023. Jurrien Timmer, uno degli amministratori della Fidelity investment, sostiene che la soglia dei 100 mila verrà raggiunta anche prima. Per Kiana Danial, una delle autrici più lette e fondatrice di Diva Invest “dobbiamo aspettarci crescita nel lungo periodo e alta volatilità nello stretto”. Le previsioni più conservative si assestano a 75 mila entro l’anno, eppure ora siamo 43 mila e assistiamo al primo vero arresto dell’anno.
L’irresponsabilità dei detrattori
Sono sempre meno i detrattori, ma continuano a uscire articoli che decretano la morte del Bitcoin: secondo 99bitcoins, portale che tiene traccia di tutti gli articoli tragici sulla criptovaluta, la fine del Bitcoin è stata annunciata ben 434 volte. L’ultimo è stato pubblicato il 29 novembre ed è firmato Bill Blain, un analista della vecchia guardia, che addirittura paragona tutto il sistema a uno schema Ponzi: piuttosto irresponsabile e volgare, se pensiamo al fatto che il Bitcoin sta per compiere 10 anni e gli investitori ormai sono milioni sparsi in tutto il mondo. Di una cosa bisogna prendere atto: la diffusione delle criptovalute è ormai parte integrante del sistema economico e non si può più tornare indietro. I detrattori non possono più danneggiare la moneta stessa, ormai fanno solo dispetto agli investitori. Di fatto il prezzo di un Bitcoin ormai è ininfluente, perché indipendente dalle fluttuazioni non possiamo più farne a meno.