Parigi annuncia che i Balcani, assieme all’Africa, saranno tra le priorità della presidenza francese dell’Unione Europea; l’intenzione è di creare un’europa “sovrana”, in grado di contrastare le ingerenze delle potenze mondiali e regionali, recuperando spazi strategici in virtù del proprio peso geopolitico; un limite che per Bruxelles sembra difficile da superare
Rilancio, potenza, appartenenza
La schiacciante vittoria del no, con il 96,49%, al referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia del 13 dicembre, boicottato dai partiti e dai movimenti indipendentisti, giunge a coronamento di una particolare narrazione, della sovranità nazionale ed europea, che il presidente francese Emmanuel Macron sembra intenzionato a impugnare in vista del prossimo avvicendamento di Parigi alla presidenza dell’Unione Europea (UE), dal 1 gennaio al 30 giugno 2022. Auspici, sintetizzati dallo slogan scelto dall’Eliseo per la presentazione di questo mandato, lo scorso 9 dicembre, Rilancio, potenza, appartenenza. Nonché dalle parole dello stesso Macron, secondo il quale bisogna passare da un’Europa di cooperazione all’interno delle nostre frontiere a un’Europa potente nel mondo, pienamente sovrana, libera nelle sue scelte e padrona del suo destino. Tre sono i cardini di questa sovranità, il primo dei quali è una riforma dello spazio Schengen, contestuale all’adozione di un patto migratorio europeo e alla fondazione di un nuovo modello di crescita economica. Il secondo, invece, è la definizione, in vista dell’adozione, della cosiddetta bussola strategica, un libro bianco della difesa comune europea. A tal fine bisognerà definire una sovranità strategica europea, creare un fondo europeo per la difesa ed elaborare un meccanismo di supporto d’emergenza alle frontiere in caso di crisi. Nulla di alternativo, né tantomeno ostile, all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord (NATO), ma solo complementare, come lo aveva definito il vice-presidente della Commissione europea e Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicruezza comune dell’UE, Josep Borrell. L’importante, ha precisato Macron, è che si organizzino i settori strategici per la difesa: il mare, lo spazio e il cyberspazio, fino a rendere l’Europa una potenza anche nel dominio del digitale.
Il sogno (o l’incubo) dell’autosufficienza geopolitica europea
Il terzo asse della sovranità europea è rappresentato dalla stabilità e dalla sicurezza del nostro vicinato, lungo due direttrici fondamentali. La prima, che punta all’Africa, fa storicamente parte dell’immaginario imperiale (e coloniale) della Francia, che, di contro, nell’ultimo decennio ha assistito pressoché inerme all’espansione vertiginosa della Cina, disposta a investire cifre stratosferiche per assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime, soprattutto terre rare, sul continente africano. Macron ha pertanto annunciato un vertice tra UE e Unione Africana per febbraio prossimo, a Bruxelles. Lo scopo è impostare un piano di investimenti per l’Africa, che preveda lo sviluppo dell’istruzione, della formazione degli insegnanti, delle istituzioni educative, della sanità e una riflessione sulle questioni migratorie. La seconda direttrice lungo la quale si dovrebbe stabilizzare il vicinato europeo, mira ai Balcani occidentali, la cui stabilizzazione era già al centro delle preoccupazioni della precedente presidenza slovena, senza che questo sortisse risultati di rilievo. Attualmente, la Bosnia Erzegovina appare sull’orlo dell’implosione, con la Republika Srpska che preme per dotarsi di un esercito autonomo dal governo centrale, guardando a Mosca e a Pechino come possibili sponde diplomatiche e fonti di sostegno nell’eventualità di una battaglia per l’indipendenza. Dal canto suo, l’Albania, membro NATO dal 2009, si tiene sul filo del fragile equilibrio fra Turchia e Stati Uniti, contando sul supporto di Washington per promuovere il progetto di integrazione economica regionale Open Balkans, originariamente chiamato mini Schengen. Un’iniziativa lanciata da Serbia, Albania e Macedonia del Nord, ma respinta da Kosovo, Montenegro e Bosnia Erzegovina, e contrastata da Ankara e da Mosca, ciascuna delle quali ha le proprie ambizioni strategiche nei Balcani occidentali. Inoltre, la Turchia ha di recente instaurato con la Serbia importanti relazioni economiche cercando di ricucire, almeno in parte, la frattura totale operatasi negli anni ‘90 del secolo scorso.
Parigi ora vuole l’integrazione dei Balcani in UE?
Due anni fa, lo stesso Macron aveva posto il veto all’apertura delle trattative per l’adesione all’UE dell’Albania e della Macedonia del Nord, mentre sosteneva che una politica di equilibrio tra Europa e Russia sarebbe stata un fattore di contenimento dell’espansione cinese mediante le nuove vie della seta. Oltre che un modo per Mosca di porre fine, o almeno attenuare, la sua sindrome dell’assedio. Allora l’autonomia strategica europea passava per un ripensamento dei rapporti con la Russia. Il 9 dicembre, infine, il presidente francese ha indicato in una politica di rinnovato impegno e di investimento per favorire l’integrazione economica della regione e per lottare contro le interferenze e le manipolazioni da parte di quelle potenze che attraverso i Balcani puntano a destabilizzare l’Europa. Un riferimento alla Russia, alla Cina ma soprattutto alla Turchia, le cui relazioni con la Francia sono al minimo storico. D’altronde, per Macron il dialogo con Mosca resta importante, né il conflitto ucraino rimette in discussione il formato Normandia, negoziato a quattro tra la Francia, la Germania, la Russia e l’Ucraina. Per quanto riguarda la Cina, Parigi, ancor prima di consolidare la sua posizione nel Pacifico con la vittoria del no al referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia, si è dichiarata contraria al boicottaggio diplomatico dei prossimi Giochi Olimpici di Pechino, annunciato da USA, Canada, Australia e Regno Unito: un segno di protesta contro le violazioni dei diritti umani in Cina, in particolare nel Xinjiang, meditato in occasione della vicenda della tennista Peng Shuai. Pechino, peraltro, è nel Balcani un nuovo attore, che complica l’equilibrio instabile di alleanze con un’intraprendenza economica dalle pericolose ricadute geopolitiche. Si è visto nel caso del Montenegro, che tra 2014 e 2015 ha ricevuto un miliardo di euro in presitito dalla Cina per finanziare la costruzione di un’autostrada, ha rischiato di dover cedere parti del suo territorio, a cominciare dal porto di Bar, per ripagare il debito. La scorsa primavera, quindi, Podgorica aveva chiesto aiuto a Bruxelles, che, dopo un rifiuto iniziale, ha fatto appello alle istituzioni finanziarie dei singoli Stati membri.
Europeizzazione dei Balcani o balcanizzazione dell’Europa?
Proclami a parte, il problema cronico dell’Europa è che, in mancanza di prospettive strategiche comuni e, in alternativa, di una potenza egemone in grado di prenderne le redini, è rimasta finora confinata nella sua condizione di orfana della guerra fredda. Se è vero, infatti, che la Turchia non può (almeno per ora) concretizzare le sue ambizioni neo-ottomane a causa della sua debolezza finanziaria, è pur vero che nel vecchio continente non c’è una potenza che sia al contempo forte sul piano finanziario (come la Germania) e dotata di una visione strategica (come la Francia). Di conseguenza, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita a Doha, il 6 e il 7 dicembre, per firmare 15 accordi di cooperazione bilaterale con il Qatar, che finora è stato fondamentale per la sopravvivenza economica e geopolitica della Turchia, ma al contempo ha annunciato una distensione con le altre monarchie del Golfo e persino con Israele, dopo un decennio di aspre rivalità: una mossa pragmatica, resa quasi necessaria da quando, nel gennaio 2021, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein hanno riallacciato le loro relazioni con il Qatar. Nondimeno, l’asse Doha-Ankara resta prioritario per Erdoğan, non solo perché entrambe sostengono partiti e movimenti della galassia della Fratellanza musulmana, ma anche perché in terra qatarina la Turchia possiede, dal 2016, la sua unica base militare all’estero e, nel 2019, ha annunciato di costruirne un’altra. Integrata nella NATO, ma come alleato inaffidabile, pronta a stringere relazioni economiche e tattiche con Russia e Cina, salvo poi impugnare dossier caldi (come quelli del Caucaso, della Cecenia e del Mar Nero con la Russia, o quello del Xinjiang con la Cina) per trarne un vantaggio maggiore, Ankara conserva la propria visione strategica, anche se la crisi finanziaria non le consente un ampio margine di manovra. L’Europa, invece, non ne ha, anche se Macron tenta di sbandierare un umanesimo europeo proprio nel momento in cui il presidente USA Joe Biden apre il vertice virtuale per la democrazia. Non esiste un progetto europeo alternativo, probabilmente perché Bruxelles, nata nell’immaginario statunitense come blocco di paesi cuscinetto ad arginare eventuali mire espansionistiche sovietiche, non è altro che un’orfana della guerra fredda, che rischia di pagare cara la sua incapacità di colmare il vuoto geopolitico che essa stessa ha contribuito a creare.