Si è concluso l’anno pallonaro. A guardarlo da questo dicembre gocciolante e pandemico, pur da appassionati, abbiamo avvertito a tratti una nausea da cattiva digestione, o più francamente abbiamo provato sconforto e disprezzo. Ovviamente qua non stiamo a raccontarci favole radical chic contro l’oppio dei popoli, ma alcuni ricordano il romanticismo provato da bambini. In quell’era precedente, quando ancora l’avvento dei diritti televisivi era roba da fantascienza, se si era sprovvisti del biglietto per entrare allo stadio per seguire il campionato di Serie A ci si doveva accontentare della radio. Delle leghe estere manco a parlarne. Le radiocronache di Ciotti e Ameri (e di vari altri giornalisti) erano emozionanti. Ascoltando le loro voci raccontare le partite, non diciamo che s’andava dritti nel mondo dei sogni, ma potevi immaginare a tratti il campo verde e costruirci l’azione. Ovviamente (e scusateci per la ripetizione, questo avverbio ci piace) il passaggio dalla radio alle tv a pagamento non ci è dispiaciuto. Abbiamo perduto un po’ quell’alone romantico, ma la possibilità di godersi in diretta, o nelle lievi differite del digitale, l’azione che ti accelera il cuore è un piacere da non sottovalutare.
E allora?
E allora le società di calcio sono intervenute a ricordarci che il calcio, come lo intendono loro, non è un gioco, non lo è più. Hanno speso soldi indebitandosi, hanno acquistato giocatori dall’utilità intermittente, pagandoli uno sproposito, senza ottenere i risultati sportivi sperati, e quindi senza incassare i denari necessari a far viaggiare la nave. Insomma, a certi imprenditori incapaci di programmare e raggiungere gli obiettivi badando al bilancio, non sono più bastate le acrobazie finanziare per rimanere a galla, complice anche la crudele pandemia.
E che hanno fatto?
Interi paesi si erano fatti trovare impreparati dall’emergenza covid, ma il calcio era distratto. Mentre la politica cercava di mettere toppe i signori del pallone, offendendo la condizione di chi era già falcidiato dalle differenze sociali, si sono messi a reclamare condizioni di favore. Poiché anche nel calcio professionistico c’è una solida gerarchia, i club all’apice del circo, quelli probabilmente più indebitati (e quindi più vincenti, che strano), hanno provato a mettere su la Superlega, un progetto escludente, un torneo tra pochi nobili, a partecipazione chiusa.
Cha calcio sarebbe diventato?
Avremmo celebrato la morte dello spirito sportivo. I più maturi ricorderanno probabilmente nei decenni passati squadre piccole e ben costruite che riuscivano a battere rivali blasonate portandosi a casa le coppe europee. Quelle squadre avrebbero perso il diritto a partecipare alla competizione più interessante, si sarebbero dovute accontentare delle coppette, briciole sotto al tavolo per gli animali domestici.
Ma poi
Ma poi gli sportivi sono insorti, in alcuni casi i governi sono insorti, in un certo senso anche la finanza è insorta (il mondo pallone rimane comunque un luogo d’affari), la UEFA è insorta. Temendo che l’iniziativa gli si rivoltasse contro, i club che stavano lavorando al progetto della Superlega hanno frenato. Forse l’iniziativa è stata soltanto rinviata, ma per ora si procede col vecchio modello.
I risultati sportivi?
L’Italia ha vinto il campionato europeo per nazioni recando ai tifosi anche una buona dose di imbarazzo. Era prassi inginocchiarsi prima dell’inizio delle partite per esprimere contrarietà al razzismo e solidarietà alle donne e agli uomini di colore. I giocatori italiani decisero di sfilarsi da questa pratica. Chi vi scrive se ne è vergognato.
L’Inter ha vinto lo scudetto 2020-2021. Leo Messi è passato dal Barcellona al PSG, Ronaldo dalla Juventus al Manchester UTD. Il Chelsea ha vinto la Champions League.
E sono successe altre cose dalla relativa importanza.