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Donne uccise in ambito familiare: più di 100 nel 2021. Reddito di libertà e lotta psicosociale in loro difesa

Triste resoconto Secondo il Servizio di Analisi Criminale del Ministero dell’Interno, su 289 omicidi volontari, 116 vittime sono donne, di...

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Triste resoconto

Secondo il Servizio di Analisi Criminale del Ministero dell’Interno, su 289 omicidi volontari, 116 vittime sono donne, di cui 100 sono state uccise in contesto familiare o affettivo. Un numero agghiacciante, per un fenomeno che negli ultimi anni è al centro delle lotte di diversi movimenti o associazioni di cittadine e cittadini. Negli ultimi anni si celebra infatti, ogni 25 novembre, la Giornata contro la violenza sulle donne.

Le sorelle Mirabal

Il 25 novembre è una data simbolica scelta dall’ONU, con la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Secondo questo documento, si intende per violenza ogni atto che provochi “sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, comprese le minacce, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”. È stato scelto  il 25 novembre, perché è l’anniversario di  un gravissimo e significativo femminicidio avvenuto nel 1960, quando furono uccise tre donne che lottavano contro il dittatore dominicano Truijllo. Erano le tre sorelle Mirabal, Patria, Minerva e Maria Teresa che avevano fondato un movimento rivoluzionario in espansione  in tutto il Paese, in opposizione alle violazioni dei diritti civili in atto. Il governo di Trujillo è considerato come una tra le dittature latine più sanguinose dell’età contemporanea, sotto il cui dominio perirono circa 50.000 persone, tra oppositori politici e rivoltosi. Trujillo era stato prima ladro di bestiame, poi membro dei Marines e infine dittatore, riuscendo a prendere il potere attraverso la creazione di brigate intimidatorie, come Mussolini in Italia. Le sorelle Mirabal, mentre si recavano a trovare i propri mariti in carcere nella città di Puerto Plata, furono trascinate in un campo di canna da zucchero e brutalmente uccise. Fu poi simulato un incidente autostradale, per insabbiare l’assassinio di Stato e il ricordo di queste tre donne rimase vivo per decenni nella popolazione, poiché avevano coordinato un grande movimento nazionale di contestazione. Così dal 1999 e soprattutto negli ultimi anni, con il diffondersi del movimento transfemminista Non Una di Meno, tutta l’Italia è inondata da iniziative, per celebrare questa lotta contra una piaga sociale che non accenna a diminuire.

Il dramma dei femminicidi

Le vittime di femminicidio, per il 2021 in Italia, sono un numero spaventoso, mentre più di ventimila sono le donne prese in carico dai centri antiviolenza secondo D.i.Re, Donne in Rete contro la Violenza. Quasi il 90% delle donne, secondo i dati Istat sono state uccise da conoscenti e familiari, negli anni dal 2002 al 2019. Circa il 50% degli assassini sono i compagni di quel momento, mentre tra il 10 e il 12% dei casi, chi uccide è un ex. Circa il 20 % viene uccisa da un parente e il 4% da un conoscente. Il killer è dunque sempre qualcuno che appartiene alla cerchia di persone vicina alla vittima, pertanto il gesto finale di uccidere è la conseguenza di violenze domestiche già perpetrate in passato. Anche se la retorica sulla violenza di genere è ormai tanta e i cortei e sit-in del 25 novembre sono sempre più affollati, il cambiamento auspicato non arriva, poiché il problema oltre che di natura legislativa, ha profonde radici psicosociali nel maschilismo implicito alla nostra società.

Molestie alla giornalista Greta Beccaglia

Ironia della sorte, proprio il 27 novembre, uno spiacevole fatto di cronaca ha evidenziato appunto quanto siano radicate nei costumi (soprattutto italiani) odiose forme di maschilismo. La giornalista, Greta Beccaglia inviata di Toscana TV, è stata toccata al fondoschiena e nelle parti intime da più di un tifoso, mentre cercava di raccogliere testimonianze alla fine di una partita. Il video ha suscitato l’indignazione di tutti gli spettatori, anche per l’imbarazzo della giornalista, combattuta tra il voler rispondere a tono e la gestione della rabbia di fronte al pubblico televisivo in diretta. Il giornalista in studio, Micheletti l’avrebbe invitata a non prendersela e a non reagire sul momento, è quindi stato sospeso per la sua superficialità, riguardo a una questione delicata come una molestia sessuale in diretta TV. Beccaglia ha denunciato l’uomo che l’ha importunata, Andrea Serrani, ristoratore marchigiano di quarantacinque anni, il quale è ora indagato per violenza sessuale e rischia la reclusione. La giornalista ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport che molti giocatori le hanno comunicato la loro solidarietà per il gesto subito “proprio in un giorno così importante per la sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne”. Dopo quest’uomo altri due l’hanno insultata e un individuo incappucciato le ha toccato le parti intime. Ciò che ha più lamentato la giornalista è stato il fatto che nessuno intorno abbia reagito, fortunatamente però il Questore di Firenze ha emesso tre anni di Daspo, cioè impossibilità per Serrani di tornare allo stadio, per motivi di ordine pubblico. Un fatto vergognoso, se si pensa che simili molestie sono all’ordine del giorno nei luoghi pubblici e non sempre è presente una videocamera che permetta di riprendere la scena, di modo da poter poi denunciare i molestatori.

Il codice rosso

La legge 69 del 19 luglio 2019, definita “codice rosso” non prevede condanne differenti in caso di femminicidio, ovvero di uccisione di una donna, piuttosto che di un uomo. Introduce però alcune disposizioni per proteggere le vittime di violenza domestica, “reato sentinella” che tende, purtroppo, spesso a sfociare in femminicidio. La legge prende le mosse dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia ai sensi della legge n. 77 del 27 giugno 2013. Già in quella legge del 2013 si definiva il concetto di “violenza domestica” come “uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”. L’intenzione sarebbe dunque di intervenire sui “delitti spia” della violenza che spesso rappresentano  l’antecedente di delitti ben più gravi, ma i risultati scarseggiano.

La realtà dei fatti

Tuttavia se si analizzano da vicino le ultime vicende, sembra che ci siano ancora gravi lacune a livello legislativo, per contrastare il contesto socio-culturale che genera la violenza sulle donne. Per non parlare del lavoro pedagogico di sensibilizzazione riguardo all’educazione affettiva, il riconoscimento e accettazione delle proprie emozioni e soprattutto del rifiuto, che molto spesso è il movente principale dei delitti contro le donne. Uno degli ultimi più strazianti episodi è quello di Juana Cecilia Loayza, uccisa dal suo compagno Mirko Genko, a sua volta figlio di una donna vittima di femminicidio. Egli era già stato posto ai domiciliari per il reato di stalking, poi liberato con la condizionale. I giudici hanno solo applicato la legge e hanno liberato una persona incensurata, seguendo l’iter normativo, tuttavia, come afferma Fabio Roia presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, in una intervista a La Stampa, manca un’adeguata specializzazione dei giudici sulla violenza di genere, nella valutazione del rischio. Si tratta infatti di reati specifici che richiedono anche competenze in campo psicologico e criminologico. Ad ogni modo molti femminicidi appaiono come morti annunciate, evidentemente occorrerebbe un’inasprimento legislativo, in riferimento ai suddetti “reati sentinella”.

Reddito di libertà e DDL contro la violenza sulle donne

Due primi passi legislativi, nel contrasto alla violenza sulle donne e sostegno alla loro autonomia sono stati il “Reddito di libertà”, disciplinato con la circolare INPS n. 166 dell’8 novembre 2021 e il DDL approvato il 3 dicembre dal Consiglio dei Ministri. Il contributo economico, previsto equivale ad un massimo di 400 euro mensili, concesso per 12 mesi, col fine di sostenere le spese per l’autonomia abitativa e personale, oppure il percorso scolastico e formativo dei figli o delle figlie minori. La misura è naturalmente compatibile con altre forme di reddito. Con il DDL invece aumentano i casi di procedibilità d’ufficio, senza cioè bisogno di denuncia da parte della vittima, si va dal fermo immediato degli stalker, all’aumento delle pene per chi ha già ricevuto un ammonimento per violenza domestica. Viene incrementato l’uso dei braccialetti elettronici e si potranno applicare ai violenti le misure di prevenzione previste per i mafiosi. Il sostegno economico e la tutela da parte delle forze di polizia, per le donne che denunciano o sono in una situazione di rischio concreto giungerà ora immediatamente, mentre gli orfani non dovranno aspettare l’esito del processo per l’indennizzo. Antonella Veltri, presidente di D.i.re , lamenta lo scarso coinvolgimento dei centri antiviolenza da parte del governo e afferma secondo l’agenzia di stampa Dire, che l’approccio è ancora di tipo emergenziale e non strutturale, nel senso che sono aumentate le normative, ma l’applicazione resta poi a discrezione dei giudici. Occorrerebbe applicare tutte le leggi “alla luce della Convenzione di Istanbul”, cosa che ancora non viene fatta. A ogni modo qualcosa inizia a muoversi, anche se le convinzioni sociali alla base di questo dramma sociale restano complesse da affrontare e  dure a morire.

Gabbie psicologiche

In altre situazioni, se si considera ad esempio l’uccisione di alcune settimane fa, sempre in Emilia Romagna, di Elisa Mulas, di sua madre e dei suoi due figli da parte del compagno, ci si trova di fronte a un caso del tutto differente, in cui la legge non c’entra nulla. Malgrado siano emerse in seguito all’uccisione testimonianze relative a minacce, anche in alcuni messaggi vocali, la donna non aveva mai sporto denuncia, quindi il problema è a monte, nella paura, nella rassegnazione, nella mancanza di una rete di sostegno soprattutto psicologico alle donne vittime di violenza, nonostante la diffusione di un numero di telefono per il supporto h24 (1522). Le gabbie psicologiche in cui molte donne si trovano a soccombere, discendono da dinamiche di una società ancora troppo invischiata in una visione patriarcale dei rapporti di coppia, in una Italia dove solo fino ad alcuni decenni fa, uccidere una donna adultera era considerato “delitto d’onore”.

Violenza e migrazione

Lotta alla violenza sulle donne è anche sostegno alle donne migranti, ad esempio alle donne afgane che in questo momento sono diventate il simbolo della violenza subita dal regime talebano. Un altro importante caso di cronaca, che testimonia quanto siano scarse le tutele per le donne vittime di violenza è la storia di Adelina Sejdini. Lei arrivò in Italia nel 1991 dall’Albania, e fu costretta a prostituirsi e subire violenze per alcuni anni. A un certo punto riuscì a liberarsi dal racket della prostituzione e fece arrestare molti sfruttatori di donne. Divenne dunque collaboratrice di giustizia, ma ricevette solo una piccolissima pensione. Aspirava alla cittadinanza e al relativo reddito perché malata oncologica e per gli “eminenti servizi” resi al Paese (Legge n. 91, 5/2/1992, art. 9 c. 2), poteva ottenere la cittadinanza, anche per non dover tornare in Albania a rischiare la vita. Per farsi ascoltare si è data fuoco di fronte al Viminale, ma ha ricevuto un foglio di via. A quel punto si è suicidata. Possibile che una donna che compie tanti sforzi per emanciparsi dalla violenza, non abbia diritto a un trattamento più umano?

Violenza e salute

La discriminazione in ambito sanitario è un’altra forma di violenza di genere, così il 27 novembre in molte piazze d’Italia era presente il presidio Sensibile-Invisibile, nato alcuni mesi fa per sostenere le donne affette da endometriosi, vulvodinia, fibromialgia e neuropatia del pudendo. La medicina è nata “a misura” di uomo e la ginecologia, i cui padri sono considerati Robert Lawson Tait e James Marion Sims, è nata per curare malattie legate alla gravidanza, per risolvere problemi della riproduzione non al servizio del benessere delle donne. Infatti il pregiudizio per cui le mestruazioni siano dolorose, impedisce al personale sanitario di riconoscere alcune patologie femminili, per non parlare della tendenza ad associare dolori vulvari o pelvici ad origini psicologiche. Non si investe sufficientemente sulla ricerca in patologie specifiche, che rimangono così misconosciute e non curate, il dolore delle donne resta inascoltato e sottovalutato e anche a queste realtà i movimenti femministi vogliono mettere un punto.

Movimento Uomini in cammino

A prescindere dai movimenti femministi, molto interessante è la nascita di movimenti di uomini contro la violenza sulle donne, i quali, consapevoli del maschilismo anche implicito in cui siamo globalmente immersi, si sono attivati a sostegno gruppi femminili. Il movimento più diffuso è Maschile Plurale, nato nel 2007, oppure il più giovane gruppo di Uomini in Cammino, i quali hanno organizzato sit-in e flash mob in diverse città italiane. Molto interessante la loro analisi della gravità della situazione attuale, nel loro Appello del 2006 intitolato “La violenza contro le donne ci riguarda”. Essi dichiarano. “forse il tramonto delle vecchie relazioni tra i sessi basate su una indiscussa supremazia maschile provoca una crisi e uno spaesamento negli uomini che richiedono una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, una ricerca approfondita sulle dinamiche della propria sessualità e sulla natura delle relazioni con le donne e con gli altri uomini. La rivoluzione femminile che abbiamo conosciuto dalla seconda metà del secolo scorso ha cambiato radicalmente il mondo”. E di fronte a questo cambiamento l’aumento di femminicidi sembra una conseguenza ormai divenuta insopportabile, anche se affiancata probabilmente all’aumento delle denunce, che rivela, quanto meno, una maggiore consapevolezza femminile. I numeri purtroppo sono ancora angosciosamente elevati.

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