Inauguriamo il 2022 con una rubrica che ricorda proteste, scioperi e altre buone prassi di rivendicazione sociale. Lotte collettive, gesti individuali, azioni simboliche o esplicite, personaggi che con la loro vita hanno contribuito a rivendicare e accrescere diritti di cui ancora oggi godiamo o che vorremmo “rispolverare” . Proteste spesso accompagnate dalla musica, da canzoni che vi invitiamo a riascoltare, perché quelle parole e quelle note “ci” risuonano ancora!
Origine dei rituali laici
Ai tempi della Rivoluzione francese nasceva il calendario repubblicano con l’obiettivo di introdurre nuovi valori morali e sociali, che a partire dal 1792 azzeravano l’età cristiana, con le sue festività legate ai santi, introducendo date alternative che avrebbero dovuto rappresentare la nuova epoca rivoluzionaria. Un comitato apposito si occupò di scegliere le date da inserire nel nuovo calendario, attraverso assemblee e discussioni collettive. Si affermava così l’idea di rappresentare una nuova forma di ritualità, ispirata a valori civili in senso anti-ecclesiastico. Ad esempio, anche in Italia in seguito all’unità, si decise di stilare un calendario civile basato sugli eventi che avevano condotto alla costituzione del Regno, venivano ricordati i protagonisti o alcune tappe significative del Risorgimento. Si diffusero parallelamente altri calendari più radicali e di impronta socialista o anarchica. C’erano riferimenti a Paesi o situazioni che anche fuori dall’Italia avevano rappresentato ideali repubblicani, mentre si celebravano autori importanti dell’arte e della letteratura, quali Dante Alighieri, Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Giordano Bruno ecc. Persino in epoca fascista nacquero dei calendari in cui si esaltavano date specifiche del regime, ma in seguito alla promulgazione delle leggi contro la libertà di stampa, furono vietate diverse forme di pubblicazione politica, fra cui anche i calendari civili. Il movimento antifascista fuori dall’Italia continuò a tenerne viva la tradizione, infatti alla fine degli anni Venti fu stampato a Ginevra l’Almanacco libertario pro vittime politiche, mentre nel secondo dopoguerra, la tradizione dei calendari civili, perse il successo che l’aveva accompagnata nel secolo precedente.
Calendario Civile
La nostra idea di celebrare una lista calendarizzata di lotte per la conquista di diritti sociali nasce dal libro Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, curato da Alessandro Portelli ed edito da Donzelli, nel 2018. Il volume risveglia una memoria laica e popolare, prendendo forma inizialmente come libro, poi come CD e successivamente come calendario. Il progetto nasce all’interno del Circolo Gianni Bosio con la collaborazione della Società Italiana delle Storiche e di altre studiose internazionali, con illustrazioni originali di Marco Petrella, nel calendario del 2020 e di Croma nel 2021. Il primo calendario fu dedicato alla storia delle donne e alle lotte per la parità di genere in prospettiva internazionale, mentre il secondo alle date significative per il percorso civile dell’umanità. Queste date hanno talvolta una radice istituzionale, come nel caso della festa della Repubblica del 2 Giugno, mentre in altri casi sono più conosciute, si pensi al primo maggio o al 25 aprile, per finire con date scelte per il loro impatto significativo sulla nostra storia, quindi ad esempio la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre o i fatti del G8 di Genova del 21 luglio. Nel libro sono presenti 22 ricorrenze, di cui ognuna corrisponde ad un capitolo e tutti i capitoli sono interconnessi. Il libro è poi corredato da una serie di documenti di storia orale o brani musicali, con l’obiettivo di costruire un patrimonio di tradizioni condiviso.
Industrie tessili a Lawrence
Il primo evento che vogliamo ricordare, nel nostro calendario dei diritti, avvenne 109 anni fa, il primo gennaio del 1912 a Lawrence, Massachusetts e si trattò di una lotta fondamentale per la storia della classe operaia americana. Gli operai tessili, fra cui molti migranti, donne e bambini scioperarono per nove settimane, scuotendo dal profondo l‘intera popolazione e con ripercussioni a livello internazionale. Lawrence era una città la cui economia era incentrata sull’industria tessile, ma in seguito alla meccanizzazione del lavoro, molti proprietari avevano ridotto il numero di operai specializzati, impiegando lavoratori immigrati non qualificati. Il lavoro nel settore tessile era molto pericoloso e ripetitivo, inoltre i salari erano bassissimi, si guadagnavano circa 9 dollari a settimana per 56 ore di lavoro. Le abitazioni degli operai erano inoltre fatiscenti, in condizioni igienico-sanitarie precarie, per cui si diffusero diverse malattie che tendevano ad abbattere l’aspettativa di vita di lavoratori e lavoratrici.
Lo sciopero del pane e delle rose
Il primo gennaio 1912 il Parlamento del Massachusetts, dopo un’enorme pressione da parte dei lavoratori, aveva approvato una legge che limitava l’orario di lavoro dei bambini sotto i 18 anni a 54 ore settimanali anziché 58. I datori di lavoro che non avevano gradito un simile intervento, si opposero e come atto di ritorsione, tagliarono l’orario di lavoro di tutti gli altri dipendenti a 54 ore, riducendo loro anche i salari. I circa 35.000 lavoratori delle fabbriche di Lawrence risposero con uno sciopero totale. Per i lavoratori è lavoratrici che vivevano in condizioni di povertà e precarietà assoluta, la riduzione della paga settimanale era un gravissimo affronto, per cui decisero di bloccare i telai e scendere a protestare nelle piazze. A loro si unirono operai e operaie di altre fabbriche e nel giro di pochi giorni diverse migliaia di persone erano in sciopero. I maggiori sindacati dell’epoca non appoggiarono la rivolta, così gli scioperanti si organizzarono attorno all’ IWW International Workers of the World, in cui ad ogni incontro sindacale prendevano parte due esponenti di ogni gruppo etnico presente e le assemblee venivano tradotte in diverse lingue. Le rivendicazioni verso i padroni delle fabbriche riguardavano una serie di miglioramenti nel contratto di lavoro: un aumento salariale del 15 per cento, paga doppia per gli straordinari, 54 ore di lavoro anziché 56, nessuna discriminazione contro gli scioperanti e nessuna discriminazione contro i lavoratori nati all’estero. Gli scioperanti organizzarono performance, cantarono e proprio durante una di queste manifestazioni le donne urlano a gran voce lo slogan “vogliamo il pane ma anche le rose” con il quale rivendicavano oltre ad una paga minore anche la possibilità di godere del tempo libero e dei piaceri della vita. La frase era stata ripresa da un discorso della femminista Rose Schneiderman, immigrata ebrea polacca, sindacalista dell’industria tessile newyorkese. Il suo discorso divenne famoso per la frase in questione, estrapolata dal seguente contesto: “Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, il diritto al sole e alla musica e all’arte. […] L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose.” (Cfr. https://shortcutsamerica.com/2013/03/08/r/)
Nuove forme di lotta
Gli scioperanti di Lawrence inventarono il picchetto in movimento, nel senso che crearono una catena umana in movimento che manifestava 24 ore su 24, tutti i giorni, intorno alle fabbriche in modo che la polizia non potesse superarla. Il 29 gennaio le forze dell’ordine, durante una colluttazione, uccisero una giovane donna Anna Lopizzo e furono arrestati due esponenti del sindacato IWW. Nel frattempo, l’organizzazione sindacale cercava di gestire bambini, i quali furono mandati a vivere temporaneamente in famiglie di altre città che li avrebbero ospitati durante i giorni della protesta. La notizia si sparse e iniziarono ad arrivare donazioni da diversi Stati, mentre la polizia rispondeva attaccando i bambini che provavano a partire. Lo sciopero andò avanti fino al 14 marzo, i lavoratori e le lavoratrici ottennerò un aumento del 25% per gli stipendi più bassi e del 15% per gli stipendi più alti, l’aumento di paga per le ore di straordinario e la riassunzione degli scioperanti. La lotta tuttavia non terminò, il sindacato IWW combatté anche per la liberazione dei sindacalisti arrestati: ci furono in tutto il paese manifestazioni e fu minacciato lo sciopero generale, mentre il sindacato raccolse il denaro occorrente per la difesa dei prigionieri. La lotta divenne internazionale perché diversi lavoratori, ad esempio, svedesi e francesi, minacciarono di boicottare i prodotti provenienti dagli Stati Uniti e lo stesso avvenne da parte dei sostenitori italiani che protestarono davanti al consolato degli Stati Uniti a Roma. Dopo queste rivolte i tre imputati furono assolti il 26 novembre 1912. Negli anni successivi molti dei diritti conquistati furono persi, poiché man mano i proprietari ridussero gli aumenti che erano stati concessi e peggiorarono le condizioni di lavoro, tuttavia lo sciopero di Lawrence aveva dimostrato che tanti lavoratori di diverse nazionalità, unendosi, potevano ottenere ottimi risultati.
La canzone Bread and Roses
Il testo della canzone Bread and Roses fu scritto da James Oppenheim, poeta vicino ai movimenti operai, che raccolse la frase di Rose Schneiderman e la trasformò in una poesia. Fu musicata inizialmente da Martha Coleman, ma la versione più nota è quella musicata da Mimi Baez Farina, sorella minore di Johan Baez nel 1974. La canzone è diventata parte della tradizione canora della classe operaia americana. Qui al link si può ascoltare la loro versione:
Testo
As we come marching, marching in the beauty of the day,
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray,
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses,
For the people hear us singing: “Bread and roses! Bread and roses!”
As we come marching, marching, we battle too for men,
For they are women’s children, and we mother them again.
Our lives shall not be sweated from birth until life closes;
Hearts starve as well as bodies; give us bread, but give us roses!
As we come marching, marching, unnumbered women dead
Go crying through our singing their ancient cry for bread.
Small art and love and beauty their drudging spirits knew.
Yes, it is bread we fight for — but we fight for roses, too!
As we come marching, marching, we bring the greater days.
The rising of the women means the rising of the race.
No more the drudge and idler — ten that toil where one reposes,
But a sharing of life’s glories: Bread and roses! Bread and roses!
Traduzione
Mentre avanziamo marciando, marciando nella bellezza del giorno,
Un milione di cucine scure, un migliaio di soffitte di fabbriche grigie,
sono pervase da tutto lo splendore di un sole improvviso,
Perché la gente ci sente cantare: “Pane e rose! Pane e rose!”
Mentre avanziamo marciando, marciando, ci battiamo anche per gli uomini,
Perché sono figli di donne e anche noi siamo madri.
Le nostre vite saranno più una fatica dalla nascita fino alla morte;
I cuori soffrono la fame come i corpi; dateci il pane, ma dateci le rose!
Mentre avanziamo marciando, marciando, innumerevoli donne morte
piangono attraverso il nostro canto, il loro antico urlo per il pane.
Poca arte, amore e bellezza conobbero i loro spiriti affaticati.
Sì, è per il pane che lottiamo, ma lottiamo anche per le rose!
Mentre avanziamo marciando, marciando, noi viviamo giorni eroici.
La rivolta delle donne significa rivolta di tutti.
Non più chi sgobba e chi ozia, dieci che faticano e uno che riposa,
ma una condivisione delle glorie della vita: Pane e rose! Pane e rose!