La politica italiana ci ha abituato a trasformismi d’ogni tipo. Le dichiarazioni velenose di Massimo D’Alema che ha annunciato il possibile rientro nel PD dell’intera truppa uscita quando Matteo Renzi guidava il partito, hanno fatto discutere.
Capodanno
Si staranno tormentando gli amanti del capodanno rimasti senza invito al brindisi di Articolo 1. Dopotutto il dibattito tra gli attori della politica nostrana da molto tempo vive di soporifera monotonia, la polemica s’è fatta banale e stagnante, gli slogan ripetitivi e noiosi, finanche gli odiatori seriali non suscitano riflessi disprezzanti. E dunque una polemica esterna (e interna contestualmente) al Partito Democratico, è quanto di più frizzante e tempestivo potesse offrire questa stagione di unità frammentate. Anno nuovo, vecchi rancori più o meno giustificati ci avvicinano alla stagione che porterà all’elezione del Presidente della Repubblica.
Il fatto
Leader di fatto, ma senza titolo, del partito Articolo 1, nato da una propaggine staccatasi dal PD, Massimo D’Alema ha aperto al ritorno alla casa madre. Le parole pronunciate dall’ex Presidente del Consiglio si offrono alla pubblica interpretazione, ma per quanto personali possano essere i punti di vista, appare piuttosto evidente il processo di riunificazione. Quel che è stato è stato, chi si somiglia si prenda.
Tuttavia, in una fase delicata, non soltanto per la vita del Paese ma anche per le sorti dei partiti, una dichiarazione velenosa non è parsa il passo più opportuno per ricomporre due ex amanti lasciatisi sbattendo le porte. Soprattutto, il tempo cambia le organizzazioni, non le pratiche ma gli equilibri interni.
D’Alema ha fatto intendere che il ritorno sarebbe possibile perché il Partito Democratico è ormai guarito dal renzismo, come dire (interpretiamo noi) che estirpato il marcio si può ricominciare a coltivare.
Sorvolando
Senza star qui a distribuire pareri, o giudizi, figuriamoci, su cosa abbia rappresentato Renzi nella degradante discesa al 18% del PD, ci incuriosisce un aspetto nelle pregresse separazioni. Sebbene su posizioni e in seguito ad agiti diversi, i due ex premier D’Alema e Renzi sono usciti dal partito per fondarne di nuovi, per costruire dei soggetti rispondenti alle proprie idee, a tratti alle proprie esigenze. Così, rispondendo all’ex comunista, il senatore Marcucci ha aperto, sì, a ricucire lo strappo ma nella maniera più ampia possibile, e il suo intervento non è parso del tutto inappropriato. Se vocazione maggioritaria deve essere, adesso che i partitini hanno fallito, che sia permesso di rientrare a ogni figliuolo errante. Insomma, che si riaprano le porte tanto a D’Alema quanto a Renzi, e alle loro rispettive stirpi. Che il PD torni polveriera, che si battezzi una nuova era delle faide intestine. Ovviamente non era quest’ultimo lo spirito delle dichiarazioni del senatore Marcucci, mai ci permetteremmo di attribuirglielo, ma da pensatori liberi e maligni giochiamo a prevedere le catastrofi al primo venticello accennato, figurarsi in un partito che ospiti soggetti tanto contrastanti.
Letta
Ovviamente l’intervento del segretario non si è fatto attendere. Nelle sue dichiarazioni Massimo D’Alema aveva evidenziato il buon lavoro di Enrico Letta, riferendosi in particolare alle Agorà, luoghi di ricomposizione inclusivi. Il segretario ha dichiarato che il partito non è malato né guarito, sottolineando l’impegno e la passione centrali in questa fase. Ma lo stesso Letta si era allontanato dal PD nell’era renziana, prima di tornarci e assumerne la direzione.
Insomma, niente di nuovo sotto al cielo.