Kazakistan: partita doppia

Il presidente nomina un nuovo primo ministro, punta il dito contro il suo predecessore e dichiara di aver sventato un colpo di Stato. Pechino approva l’invio di truppe dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva. Washington solleva obiezioni, Bruxelles langue, mentre Ankara cerca di riconquistare terreno

Golpe di fortuna

L’11 gennaio, il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ha dichiarato che la missione militare dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto) è giunta al termine e che il il ritiro del contingente di circa 2500 soldati, inviato sul territorio sotto il comando russo, avverrà nell’arco di 10 giorni, a partire dal 13 del mese corrente. Durante la stessa videoconferenza rivolta alla camera bassa del Parlamento, Tokayev ha annunciato la formazione del nuovo governo e la nomina del nuovo primo ministro, Alikhan Smailov, già approvata dai deputati. Quanto alle proteste dei giorni scorsi, ha attribuito parte delle responsabilità al suo predecessore, Nursultan Nazarbayev, che ha contribuito a creare «una classe di persone ricche anche per gli standard internazionali» e ha favorito l’emergere di «un gruppo di imprese molto redditizie». Pertanto, «è arrivato il momento di ripagare il popolo del Kazakistan e di aiutarlo in modo sistematico e regolare», ha aggiunto Tokayev, che a tale scopo ha incaricato il governo di stilare un elenco di grandi aziende cui sarà chiesto di trasferire parte dei loro capitali in un fondo statale, a beneficio della popolazione.

Riunione della Csto

Lievemente diverso è il tono da lui stesso utilizzato il giorno precedente, durante il videocolloquio con i rappresentanti della Csto, quando ha affermato che «una rivolta è scoppiata sotto l’apparenza di proteste spontanee», con l’obiettivo di «minare l’ordine costituzionale e prendere il potere»: si sarebbe trattato dunque di un colpo di Stato ispirato dall’esterno e condotto da «banditi e terroristi», in cui sarebbero implicati anche «estremisti islamici addestrati all’estero». Così Tokayev ha giustificato la sua richiesta di aiuto alla Csto per un’operazione «antiterrorismo», mentre il suo omologo russo Vladimir Putin spiegava che, giacché l’intervento di questa organizzazione ha impedito a «terroristi, criminali, saccheggiatori ed altri elementi criminali» di incrinare la stabilità del potere in Kazakistan, la missione si può considerare conclusa. Il Cremlino, d’altronde, aveva già chiarito che non avrebbe tollerato rivoluzioni colorate in Asia centrale. Nonostante tali sottili differenze di narrazione, emerse negli ultimi giorni, il presidente kazako ha optato sin dall’inizio per la linea repressiva, esortando persino le forze di sicurezza a «sparare per uccidere», pur di sedare le proteste.

Un regolamento di conti ai vertici?

Nondimeno, la situazione interna resta tesa, soprattutto dopo l’arresto, il 6 gennaio, con l’accusa di tradimento, dell’ex presidente del Comitato di sicurezza nazionale (i servizi segreti locali), Karim Massimov (elemento chiave dell’era Nazarbayev), e di altri imputati, la cui identità non è stata diffusa. Con la stessa accusa, Samat Abish, nipote di Nazarbayev ed ex vicepresidente dello stesso apparato di intelligence, è stato deposto dalle sue funzioni. Analogamente, l’11 gennaio Tokayev ha espresso l’intenzione di porre fine al monopolio dei privati sul riciclo dei rifiuti, che farebbe capo ad Alia Nazarbayev, figlia dell’ex presidente. Della «classe di ricchi» contro cui si è scagliato, fa parte anche un’altra figlia di Nazarbayev, Dinara, che assieme al marito Timur Kulibayev controlla la banca Halyk e ha un ruolo preponderante nel settore petrolifero, essenziale per l’economia kazaka. Tokayev sembra dunque intenzionato a intaccare i pilastri del potere del suo predecessore, che egli ha formalmente sostituito, il 5 gennaio, alla presidenza del Consiglio di sicurezza nazionale, vero centro decisionale del paese dal 2019. Di Nazarbayev ufficialmente non si hanno notizie, ma l’11 gennaio il suo portavoce ha assicurato che si trova ancora nella capitale del paese, che, peraltro, porta il suo nome.

Scacchi centroasiatici: Pechino entra nella partita russo-turca

In quello che appare come uno scontro di poteri interno al Kazakistan, corredato dai suicidi eccellenti di Azamat Ibrayev, colonnello del Comitato di sicurezza nazionale, e di Zhanat Suleimanov, capo del Dipartimento della polizia regionale di Zhambyl, le due potenze che hanno un maggior ascendente sono Russia e Turchia, che vantano entrambe legami storico-culturali con il paese. Putin, nel suo discorso di fine anno, aveva definito il Kazakistan un paese di lingua russa, ma il kazako è di ceppo turco, anche se l’alfabeto ufficiale è il cirillico, lo stesso utilizzato in Russia. Di conseguenza, Nur-Sultan fa parte dell’Organizzazione degli Stati turcofoni (Ost), di cui Nazarbayev è presidente onorario, e alla quale recentemente il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha conferito un carattere prettamente geopolitico. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavuşoğlu, inoltre, ha recentemente qualificato il popolo kazako come popolo fratello, ricordando il profondo legame culturale, ma ha lasciato intendere la preferenza di Ankara per un intervento meno diretto di quelli condotti in Siria e in Libia, dichiarandosi sicuro che sia le autorità, sia il popolo del Kazakistan sono in grado di superare da soli la crisi in corso. Dal canto suo, durante un colloquio con Lavrov, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha espresso il suo sostegno all’invio di truppe della Csto, poco dopo aver dichiarato pubblicamente che Pechino è pronta a rafforzare la sua cooperazione con il Kazakistan in materia di sicurezza. Il presidente cinese Xi Jinping, invece si è detto contrario a una rivoluzione colorata nel paese centroasiatico, congratulandosi con le autorità kazake per aver ripristinato l’ordine.

Cautela di Ankara

L’11 gennaio, durante una riunione straordinaria dell’Ost convocata dalla Turchia ad Ankara, Çavuşoğlu ha garantito che la Sublime porta è vicina al Kazakistan, disposta a mobilitare tutte le sue risorse, e che segue con inquietudine gli sviluppi della situazione. Questo è stato, inoltre, uno dei dossier trattati da Çavuşoğlu nelle ultime discussioni telefoniche, sia con il suo omologo russo Sergej Lavrov (con cui ha parlato anche di Bosnia Erzegovina e del Caucaso), sia con il suo omologo azero Ceyhun Bayramov, sulle quali il ministero degli Esteri turco è stato alquanto avaro di informazioni. Dopo la Siria, la Libia e il complesso conflitto azero-armeno, gli interessi di Ankara e Mosca entrano in collisione in Asia centrale. Ma in quest’ultimo caso, la posizione ufficiale turca si è fatta attendere, probabilmente per una sorta di imbarazzo strategico. D’altronde, c’è chi vede nel riferimento di Tokayev agli estremisti islamici, un’allusione velata al sostegno fornito dalla Turchia ai movimenti legati all’islam politico, anche nel Caucaso e in Asia centrale. Per comprendere quanto siano delicati simili equilibri, si pensi che Ankara e Mosca, entrambe affacciate sul Mar Nero, sono su fronti opposti in Ucraina, argomento principe dell’ultimo incontro tra Putin e il presidente statunitense Joe Biden.

Usa: obiezioni di comodo

A proposito di Biden, secondo il quotidiano britannico Daily Mail, Massimov sarebbe legato sia al presidente Usa, sia, soprattutto, a suo figlio Hunter, che in una sua e-mail del 2016 lo definiva «un buon amico». In una foto di ignota datazione (e dall’attendibilità non verificata), tutti e tre appaiono sorridenti insieme all’imprenditore kazako Kenes Rakishev, ma l’amicizia tra Hunter Biden e Massimov sarebbe iniziata quando il primo era nel consiglio di amministrazione della compagnia ucraina del gas Burisma, e il secondo era Primo ministro del Kazakistan e dal 2014 tra i due vi sarebbero stati diversi incontri privati. Da una e-mail ricevuta da Hunter Biden nel 2015, inoltre, si evince che egli era stato invitato, con Massimov, a una colazione privata del banchiere kazako Marc Holtzman. Di contro, la posizione ufficiale di Washington sulla situazione in Kazakistan è stata espressa dal Segretario di Stato Antony Blinken, che ha sollevato obiezioni sull’invio di truppe da parte di un’organizzazione a guida russa, sostenendo che le autorità kazake sono in grado di gestire da sole le proteste, senza dover chiamare aiuti dall’esterno. «Penso che una lezione della storia recente insegna che una volta che i Russi sono in casa tua, talvolta è molto difficile farli andar via». Come hanno dimostrato, ad esempio, i soldati dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato) rimasti in Kosovo, dove gli Usa, che già controllano la controversa base di Camp Bondsteel in Kosovo, si accingono a costruire una loro base in Albania. Sempre nel silenzio dell’Europa, da cui provengono, a tratti, generiche espressioni di inquietudine e solidarietà.

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