(Dis)ordini mondiali. Russia-Usa: se vuoi la pace…

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Dopo la conclusione con un sostanziale stallo dei colloqui tra Russia, Stati Uniti e Nato, i due contendenti vantano la propria irremovibilità sulle rispettive linee rosse; l’Europa, che non è stata interpellata come soggetto politico, rischia di subire le conseguenze dello scontro

Russia-Osce: cul de sac

Il 13 gennaio, mentre a Vienna si è tenuta la riunione del Consiglio permanente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), a Brest, in Francia, l’Alto rappresentante dell’Unione europea agli Esteri e alla Sicurezza Josep Borrell ha incontrato, in via informale, i ministri della Difesa dei paesi Ue, chiarendo che non possono esserci trattative se Mosca esercita pressioni. Al centro di entrambi gli incontri sono stati i risvolti geostrategici della questione ucraina, legati alle richieste formulate dal ministero degli Esteri russo in una bozza pubblicata lo scorso dicembre. Si tratta di due bozze di accordo, contenenti le garanzie di sicurezza che il Cremlino considera essenziali per ripristinare relazioni distese con gli Stati Uniti e con l’Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato). Una distensione che, stando alle parole del direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), il turco Fatih Birol, dovrebbe risolvere, o almeno alleviare, la crisi che l’Europa sta vivendo nell’approvvigionamento di gas. Birol, infatti, il giorno prima dei colloqui tra Russia e Osce a Vienna, ha accusato Mosca di inasprire tale crisi per i propri interessi geopolitici. Durante l’incontro di Vienna, il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau, che dal 1 gennaio rappresenta la presidenza dell’Osce, ha ammonito sul fatto che «il rischio di un conflitto in Europa ora è maggiore rispetto agli ultimi 30 anni», mentre la Segretaria generale Helga Schmidt ha definito necessario e urgente stemperare le tensioni, ricostruendo «fiducia, trasparenza e cooperazione». Tuttavia, l’ambasciatore Usa all’Osce, Michael Carpenter ha parlato di «tamburi di guerra» e di «retorica stridente», mettendo in dubbio le intenzioni pacifiche di Mosca, dopo lo schieramento di truppe presso il confine ucraino. Un fatto, quest’ultimo, che Carpenter ha definito serio, al punto da dichiarare che «ci dobbiamo preparare all’eventualità di un’escalation». Dal canto suo, il suo omologo russo Aleksander Lukashevic, ha espresso delusione per l’esito dei colloqui, che pure considerava «un momento di verità», parlando di «conseguenze catastrofiche» qualora non ci sia accordo sulle garanzie di sicurezza chieste da Mosca. Finora, i tentativi di mediazione sembrano culminare in un vicolo cieco.

Le proposte di Mosca

I punti chiave della prima bozza, dunque, sarebbero otto: interrompere l’espansione della Nato, non accettando l’adesione di Ucraina e Georgia, non schierare ulteriori uomini e armamenti oltre a quelli di stanza in Europa prima di maggio 1997 (i casi eccezionali dovranno essere concertati con la Russia), porre fine alle attività militari della Nato in Europa orientale, Ucraina inclusa, nel Caucaso e in Asia centrale, non schierare missili di media e corta gittata in zone da cui potrebbero raggiungere territori al di fuori della sfera Nato, non svolgere esercitazioni con contingenti maggiori di una brigata nelle aree di confine, condividendo regolarmente informazioni, risolvere pacificamente le controversie evitando l’uso della forza, non creare condizioni minacciose per la controparte e creare una linea diretta per discutere questioni di emergenza. L’accordo, spiega Mosca, entrerà in vigore solo se più della metà degli Stati coinvolti ne accetterà i provvedimenti. Nel secondo documento, le garanzie richieste sono sostanzialmente le stesse, ma con particolare riguardo per le armi nucleari: non schierare né truppe, né armi in territori in cui potrebbero essere percepiti come una minaccia, non oltrepassare lo spazio aereo Nato con bombardieri pesanti, non disporre armi da guerra al di fuori degli spazi marittimi dei paesi Nato, non schierare missili a media e corta gittata in aree da cui potrebbero colpire altri Stati, non schierare armi nucleari fuori dallo spazio Nato e ritirare quelle precedentemente disposte, non condurre esercitazioni con armi nucleari e non preparare paesi che non hanno testate atomiche all’uso di simili armi, escludere l’espansione della Nato a Est e l’adesione di paesi ex sovietici, e infine, non installare basi Usa nel territorio di questi ultimi. Il rilievo attribuito agli armamenti nucleari è dovuto al ritiro di Washington, nel 2018, dal Trattato sulle armi nucleari a medio raggio (siglato da Usa e Urss nel 1987), per iniziativa dell’ex presidente Donald Trump. Decisione presa dopo le numerose accuse di violazioni, formalmente rivolte a Mosca per la prima volta dal predecessore di Trump, Barack Obama.

Brest: riunione informale di sicurezza

A Brest, durante il loro incontro (il primo della presidenza francese del Consiglio Ue), i ministri della Difesa europei hanno definito, a grandi linee la «bussola strategica», ossia il Libro bianco della difesa per l’Unione europea, che individua le priorità degli Stati membri in materia di sicurezza. Quanto alla crisi ucraina, hanno tentato di smentire quella che definiscono la «percezione» che l’Europa sia solo nel menù delle grandi potenze rivali, perché Washington, hanno argomentato, non si è mai coordinata così sistematicamente con il vecchio continente come in questa fase. Anche se, secondo la ministra della Difesa francese Florence Parly, l’Europa è da troppo tempo una potenza ignorata. Oltre alla crisi russo-ucraina, a Brest si è discusso dell’accesso agli spazi strategici comuni, in particolare i domini aereo, marittimo e spaziale: poiché le regole fissate dai trattati non vengono rispettate, Parly ha sottolineato la necessità di elaborare una strategia europea di sicurezza e di difesa in questi domini. Tema importante a tal proposito, secondo Borrell, è la quantità di satelliti, circa tremila, che orbitano attorno alla Terra, per i quali i detriti rappresentano un pericolo. Ragion per cui, già nel maggio 2021, l’Ue ha lanciato una strategia comune per la salvaguardia delle infrastrutture spaziali europee. Parly ha inoltre ricordato l’importanza di una «presenza marittima coordinata più globale». A proposito dell’Ucraina, in riferimento ai colloqui tra Russia, Usa e Nato, la ministra francese ha spiegato che, benché il dialogo debba rimanere l’unica via per risolvere le tensioni con Mosca, l’Europa è pronta ad assumersi le proprie responsabilità, facendo pagare un’eventuale invasione dell’Ucraina con «conseguenze enormi». Infine, i ministri europei si sono confrontati su un altro dossier che inquieta Bruxelles, soprattutto dal punto di vista francese: il Mali. L’11 gennaio, infatti, durante una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Onu) sulla situazione nel paese, Russia e Cina hanno posto il veto sulle sanzioni decise dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e sostenute da Parigi. Provvedimenti destinati a colpire la giunta militare, al potere a seguito di un colpo di Stato.

Russia-Nato: l’Europa à la carte

Tra i tre vertici russo-statunitensi della settimana, quello tra Mosca e la Nato, del 12 gennaio, avrebbe potuto rappresentare un’opportunità, per l’Europa, di portare sul tavolo delle trattative (o almeno per i corridoi) i propri interessi strategici. Anzitutto perché l’incontro si è tenuto a Bruxelles, sede non solo del quartier generale Nato, ma soprattutto del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europei. Ciononostante, al Senato Usa si discutono due proposte di sanzioni ai danni della Russia, in particolare il blocco immediato del gasdotto NordStream, di interesse europeo (tedesco in primis), senza la minima concertazione con gli alleati del vecchio continente. La stessa disinvoltura con cui si sono espressi, il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che presiedeva la riunione tra il vice ministro degli Esteri russo Aleksander Grushko, la vice segretaria di Stato Usa Wendy Sherman e i rappresentanti dei 30 Stati membri, e l’inviata statunitense Julianne Smith. Stoltenberg, infatti, ha detto che, anche se il fatto stesso di sedere al tavolo delle trattative è positivo, le divergenze «tra gli alleati della Nato e la Russia» sono difficili da colmare e c’è un «rischio reale» di un nuovo conflitto armato in Europa. Mosca, ha aggiunto, pagherebbe caro qualsiasi ricorso alle armi contro l’Ucraina e che l’espansione dell’Alleanza atlantica non è in discussione. Parimenti, Julianne Smith, pur dichiarando che Washington è pronta al dialogo, ha precisato che non è disposta ad accettare compromessi, soprattutto sull’espansione. Se Washington punta sulla strategia della pressione diplomatica per difendere lo status quo, il Cremlino continua a smentire ogni piano di invasione o aggressione dell’Ucraina e a ribadire che tutte le sue mosse, incluso il dispiegamento di truppe vicino al confine ucraino, hanno carattere puramente difensivo. Come, d’altronde, le due proposte di accordo presentate agli Usa e ai loro satelliti, che Mosca ha tenuto a precisare che non sono rivolte a organismi sovranazionali. Velata allusione alle molteplici prese di posizione del presidente russo Vladimir Putin in favore di un approccio più multilaterale alle relazioni internazionali, una linea che lo accomuna al suo omologo cinese Xi Jinping.

Russia-Stati Uniti: quadri per un’esposizione

Lo stesso grado di polarizzazione delle posizioni reciproche si è registrato il 10 gennaio, a Ginevra, dove il vice ministro degli Esteri russo con delega per l’America Sergej Ryabkov e la vice segretaria di Stato statunitense Wendy Sherman, con le rispettive delegazioni, hanno discusso per quasi otto ore, senza raggiungere alcun accordo. Un incontro bilaterale, dal quale il Cremlino attendeva passi avanti più significativi, mentre Sherman, in una successiva intervista telefonica aveva detto di aver intravisto qualche possibilità di progresso. Ciononostante, per la Russia resta una linea rossa l’adesione di Ucraina e Georgia alla Nato, mentre gli Stati Uniti hanno minacciato reazioni a eventuali tentativi di Mosca di modificare i confini internationali manu militari. Maggiori aperture, sia da parte degli Usa, sia da parte della Nato, si sono invece concesse sulla ripresa dei negoziati sul Trattato sulle armi nucleari a medio raggio, che dal 1987 ne impediva il dispiegamento in Europa da parte di Washington e di Mosca. Tuttavia, diversi analisti statunitensi temono che un simile trattato possa costituire, per la Russia, un pretesto per chiedere il divieto di tenere in Europa anche le armi nucleari tattiche, come quelle che gli Usa hanno avuto per decenni in paesi come la Turchia, l’Italia, la Germania o il Belgio. Lungi dall’instaurare un clima costruttivo, di fiducia e trasparenza, i tre incontri che la delegazione del Cremlino ha avuto con diplomatici di Usa, Nato e Osce hanno finito dunque con il far emergere più chiaramente che la causa principale della loro conclusione con un nulla di fatto va forse ricercata nella difficoltà di gestire relazioni internazionali più complesse attraverso sistemi tipici dell’epoca del bipolarismo mondiale. Del resto, il silenzio ufficiale della Cina su questi colloqui (com’era prevedibile, non c’è una vera alleanza strategica russo-cinese), ma anche il fatto che la Russia abbia indirizzato le proprie richieste di garanzie a singoli paesi e non a organizzazioni come la Nato o l’Osce, potrebbe suggerire che questi organismi sono desueti, se non nella sostanza, almeno nella struttura. D’altro canto, se recentemente il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che la Nato è in uno stato di «morte cerebrale», già a ridosso della fine della guerra fredda in molti esortavano Washington e i suoi alleati a sciogliere la Nato, la cui esistenza aveva perso legittimità dopo l’estinzione del Patto di Varsavia.

Verso la balcanizzazione dell’Europa

Nello scontro russo-statunitense, l’Europa si trova dunque in una posizione delicata, in quanto, da un lato, inserita nel sistema di alleanze militari (ed economiche) di Washington dal secondo dopoguerra, dall’altro legata a Mosca da significativi partenariati economici, oltre che dalle vicende storiche a partire dall’era moderna. Terzo aspetto, tutt’altro che trascurabile, il territorio europeo rischia di essere teatro di questo scontro. Condizione che una qualsiasi potenza, non solo mondiale, ma anche regionale, percepirebbe come impulso a cercare di affermarsi come polo geopolitico autonomo, alternativo a quelli delle potenze belligeranti (Usa-Russia, ma anche Usa-Cina, che per Washington resta prioritario), rifiutando quello tradizionale di ancella degli Usa. Anche perché, l’Europa occidentale ha già pagato il prezzo di aver ricoperto tale ruolo durante la guerra fredda e, successivamente, dopo l’implosione sovietica, quando avrebbe potuto almeno tentare di evitare la disintegrazione dei Balcani, del Caucaso e dell’Asia centrale in un pulviscolo di etnie, improvvisamente ostili l’una all’altra. Poco prima che iniziasse la settimana di colloqui tra Russia da un lato, Usa, Nato e Osce dall’altro, Germania e Francia avevano proposto a Bruxelles di organizzare colloqui a parte con Mosca, ma la proposta era stata ignorata. Probabilmente, tra le ragioni di tale reazione ci sono i risultati deludenti dell’accordo di Minsk, promosso da Berlino e Parigi in sede Osce e siglato nel 2014 da Russia, Ucraina, Repubblica popolare di Donetsk e Repubblica popolare di Lugansk. Ma se l’Europa non vuole tramutarsi nella posta in gioco di uno scontro tra titani, dovrà impegnarsi in fretta e intensamente per evitare il coinvolgimento in qualsiasi conflitto. Meglio la neutralità, come suggerirebbe una riflessione sulla sorte toccata alle tre faglie geopolitiche storiche del sistema eurasiatico, Balcani, Caucaso e Asia centrale. Una disintegrazione che oggi appare irreversibile, e il cui principale responsabile è stata l’inconsistenza europea.

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