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(Dis)ordini mondiali. Alla fiera dell’Est

Dopo lo stallo dei colloqui tra Russia, Stati Uniti, Nato e Osce, Stoltenberg propone nuovi incontri; la Francia vorrebbe un...

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Dopo lo stallo dei colloqui tra Russia, Stati Uniti, Nato e Osce, Stoltenberg propone nuovi incontri; la Francia vorrebbe un dialogo europeo con Mosca, ma intanto il Cremlino ventila l’ipotesi di schierare infrastrutture militari in America latina e organizza esercitazioni in Bielorussia

Titanomachia

Mentre si attendono gli esiti del nuovo incontro del 21 gennaio, a Ginevra, tra Russia e il Consiglio dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord (Nato), prosegue il botta e risposta a distanza tra Mosca, che impugna il diritto internazionale per rivendicare il diritto di salvaguardare la propria profondità strategica, e Washington, che vi si appella per difendere l’integrità territoriale dell’Ucraina e minacciare ritorsioni in caso di qualsiasi tentativo russo di sconfinamento. Negli ultimi giorni, dal vertice virtuale di Davos, è intervenuto sull’argomento il presidente cinese Xi Jinping, che ha ammonito il suo omologo statunitense Joe Biden sulle conseguenze catastrofiche dell’atteggiamento antagonistico di Washington. Intanto, il 18 gennaio, da Berlino, durante una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, a proposito delle tensioni con la Russia, ha evidenziato il rischio reale di un conflitto armato, che rende necessario «fare progressi sulla via politica». Fermo restando, ha precisato, il sostegno della Nato all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina: in sostanza, quindi, nessun avanzamento concreto rispetto allo stallo degli incontri del 10, 12 e 13 gennaio. Sulla stessa linea di Stoltenberg, il segretario di Stato Usa Antony Blinken, che, il 19 gennaio a Kiev, durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha invitato la Russia a scegliere la via della diplomazia astenendosi da azioni ostili, ma ha anche ribadito il sostegno indiscusso di Washington all’Ucraina. Secondo Blinken, infatti, Mosca starebbe pianificando di aumentare rapidamente il contingente schierato vicino al confine con Kiev (accuse sempre smentite dal Cremlino). Per questo, gli Usa hanno annunciato un nuovo piano di aiuti militari all’Ucraina dal valore di 200 milioni di dollari.

Incontri preliminari

Il 20 gennaio, inoltre, Blinken ha proseguito il suo tour diplomatico europeo approdando a Berlino, dove ha incontrato le sue omologhe tedesca, Annalena Baerbock, e britannica, Elizabeth Truss, e il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, per discutere delle tensioni con Mosca. L’obiettivo era un allineamento europeo compatto al fianco di Washington, anche se non tutti i singoli paesi europei hanno apprezzato che agli ultimi colloqui con la Russia gli Usa si siano presentati, di fatto, come unico rappresentante dell’Occidente. Blinken, dunque, a Berlino, città simbolo della cortina di ferro, ha accusato Mosca di far rivivere lo spettro della guerra fredda, violando il principio di sovranità. Un riferimento non solo alle truppe russe vicine al confine con l’Ucraina, ma anche alla lenta evacuazione dell’ambasciata russa a Kiev e all’invio di soldati russi in Bielorussia per esercitazioni militari congiunte. Nessuno sconfinamento, tuttavia, mentre Mosca ha dalla sua la carta dell’indipendenza del Kosovo per rivendicare quella di Crimea e Donbas in Ucraina, e di Abkhazia e Ossezia del Sud in Georgia, nel caso in cui la Nato dovesse lasciare che questi due paesi aderiscano. Infatti, se esistono i principi di sovranità e di integrità territoriale, esiste anche quello di autodeterminazione dei popoli. Lo stesso, per intendersi, in nome del quale l’Europa e gli Usa favorirono la disgregazione della ex Jugoslavia. Quanto alle esercitazioni militari congiunte che Mosca ha organizzato con l’alleato bielorusso, si tratta di una risposta alle esercitazioni militari della Nato in Europa orientale dello scorso anno. Per di più, non avendo ricevuto garanzie sulla non ingerenza della Nato in aree un tempo appartenenti alla sfera sovietica, il Cremlino ha alzato la posta, minacciando di dispiegare infrastrutture militari in America latina, il cortile di casa degli Usa. Così, anche il presidente Usa Joe Biden, il 20 gennaio, ha tuonato che «se una qualsiasi unità russa entra un Ucraina, è un’invasione».

Europa: Unione a due

Intanto, la Gran Bretagna invia armi all’Ucraina, mentre l’Europa è divisa al suo interno persino sulle sanzioni che ha deciso di imporre nuovamente alla Russia il 13 gennaio: la Germania non vorrebbe l’esclusione dal sistema Swift, mentre la Francia non ha ancora espresso una posizione chiara in merito. È pur vero che a Berlino, Annalena Baerbock si è espressa in termini sostanzialmente uguali a quelli di Blinken sul sostegno all’Ucraina, quindi Washington potrebbe aspettarsi un appoggio pieno da parte della Germania, ma nel governo tedesco non sembrano ancora dissipate le divisioni attorno all’eventualità di bloccare il gasdotto Nord Stream 2: favorevole la ministra degli Esteri, ma tendenzialmente contrario il cancelliere, che lo considera un progetto privato, al quale, di conseguenza, lo Stato non può imporre scelte. Ma Annalena Baerbock, il 18 gennaio, è anche volata a Mosca per incontrare il suo omologo russo Sergej Lavrov, al quale ha espresso disponibilità a un dialogo serio, ma anche preoccupazione per la sicurezza europea. Dal canto suo il presidente francese Emmanuel Macron, fino a giugno presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, ha recentemente sottolineato la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, il 19 gennaio ha auspicato che l’Europa crei un «nuovo ordine di sicurezza con la Nato» e stabilisca un «dialogo franco ed esigente» con la Russia. Con l’altra sponda dell’Atlantico, dunque, un rapporto di cooperazione alla pari, non lo schiacciamento sulle posizioni Usa che vorrebbe Washington.

Autonomia strategica o mercato delle alleanze?

Secondo Macron, infatti, la sicurezza europea richiede il «riarmo strategico della nostra Europa come potenza di pace e di equilibrio» e che si stabilisca un ordine europeo fondato su quei principi che negli ultimi tre decenni sono stati applicati con la Russia, con la quale il dialogo è l’unica alternativa possibile. Perché tra quei principi ci sono non solo il ripudio del ricorso «alla forza, alla minaccia, alla coercizione», ma anche la libera scelta degli Stati di impegnarsi nelle alleanze e nelle organizzazioni, l’integrità territoriale e il «rifiuto delle sfere di influenza». Di conseguenza, secondo il presidente francese, l’unica soluzione alle tensioni russo-ucraine, per evitare che queste diventino un riflesso delle rivalità geopolitiche russo-statunitensi, resta il Formato Normandia, gruppo costituito da Germania, Francia, Russia e Ucraina, e creato il 6 giugno 2014, a margine del settantesimo anniversario dello sbarco dei soldati Usa in Normandia. Frattanto, altri alleati di Washington, un tempo più remissivi, iniziano a curare i propri interessi strategici. Come gli Emirati arabi uniti, che vorrebbero ridurre il peso geopolitico dell’Iran in Medio Oriente in coordinazione con Israele, o la Turchia, che vorrebbe espandere la propria influenza all’Africa settentrionale, al Mar Nero e all’Asia centrale turcofona. Da parte sua, il 19 gennaio, il presidente iraniano Ebrahim Raisi è volato a Mosca, per incontrare il suo omologo russo Vladimir Putin. Al centro delle discussioni, il rafforzamento delle relazioni bilaterali a livello strategico, lo sviluppo economico dei due paesi, la lotta al terrorismo e una sinergia «contro l’unilateralismo degli Stati Uniti», di cui le sanzioni, secondo Tehran, sono una manifestazione. Raisi ha parlato, inoltre, di «infiltrazione della Nato nel Caucaso e in Asia centrale» che minaccia gli interessi comuni dei «paesi indipendenti».

Multilateralismo o batracomiomachia

Parole che sembrano riecheggiare le critiche frequentemente mosse agli Usa da Pechino, con cui Tehran è legata da un accordo di partenariato strategico. D’altronde, in un contesto contrassegnato dall’interdipendenza delle economie nazionali nel mercato globale, da una transizione digitale in corso che rischia di acuire le diseguaglianze sociali rendendo le collettività organizzate sempre più difficili da gestire, dalla necessità di riconsiderare il rapporto uomo-ambiente, e, da ultimo, da un’emergenza sanitaria globale, l’eventualità di un conflitto, diretto o per procura, tra potenze mondiali appare densa di conseguenze catastrofiche. Ma per scongiurarla, sarebbe necessario che, evitando la logica delle sfere di influenza (che implica un certo grado di competizione, sempre suscettibile di sfociare in conflitto) ma anche quella del doppio standard, Usa, Cina e Russia si impegnassero con pari serietà a coesistere pacificamente. E che i principi del diritto internazionale si applichino allo stesso modo per ogni Stato sovrano.

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