Mosca, Pechino e Tehran effettuano esercitazioni navali congiunte; il ruolo discreto della Cina in Medio Oriente; tensioni al confine sino-indiano
Intesa navale
Dal 21 al 23 gennaio, nel Golfo di Oman e nell’Oceano Indiano settentrionale, Cina, Russia e Iran lanciano l’esercitazione congiunta delle rispettive marine militari, denominata Cintura di sicurezza marittima 2022. Lo ha annunciato il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il 20 gennaio, durante la sua visita ufficiale a Mosca, dichiarando che la Repubblica islamica partecipa con undici unità navali delle Forze armate, tre della marina dei guardiani della Rivoluzione. Quanto alle due superpotenze, la Flotta russa del Pacifico partecipa con tre imbarcazioni (una nave cisterna, una nave anti-sommergibile e un incrociatore), mentre Pechino ha inviato una nave da rifornimento, un cacciatorpediniere missilistico e qualche elicottero navale. Gli obiettivi dell’operazione, oltre a quello di intensificare la cooperazione tra le marine militari, e in generale tra le forze di sicurezza, dei tre paesi, sono la protezione della sicurezza delle rotte commerciali internazionali e la tutela della stabilità e della pace tra Golfo Persico e Oceano Indiano settentrionale. Si tratta della seconda esercitazione navale congiunta tra Russia, Cina e Iran, dopo quella di dicembre 2019, effettuata anch’essa nel Golfo di Oman, che collega il Golfo Persico all’Oceano Indiano attraverso lo Stretto di Hormuz, per il quale passa un quinto degli scambi che alimentano il mercato petrolifero globale.
Medio Oriente: velluto blu cinese
Per quanto il partenariato strategico con la Cina consenta all’Iran di alleviare le catastrofiche conseguenze economiche delle sanzioni statunitensi e internazionali, Pechino in Medio Oriente preferisce mantenere un pragmatico equilibrio di alleanze, facendo accordi con più attori regionali rivali possibile. Ad esempio, il 10 gennaio, il ministro degli Esteri saudita Faysal bin Farhan si è recato in visita ufficiale in Cina, dove ha incontrato il suo omologo Wang Yi, per negoziare un rafforzamento della cooperazione tra i due paesi in materia di sicurezza, per favorire la stabilità in Medio Oriente e in Afghanistan. All’ordine del giorno c’era lo spinoso dossier del programma del nucleare civile iraniano, fieramente osteggiato non solo da Riyadh, ma in generale dalle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg). Il 10 gennaio, peraltro, i ministri degli Esteri dei suoi paesi membri sono volati a Pechino per un tour diplomatico di cinque giorni. Secondo gli analisti, le finalità del Ccg sarebbero state essenzialmente due: primo, diminuire la propria dipendenza dagli Stati Uniti; secondo, evitare che si intrecci un legame troppo stretto tra la Cina e il principale rivale geopolitico delle monarchie del Golfo, l’Iran. Inoltre, il 12 gennaio, l’ambasciatore cinese in Siria e il direttore dell’Agenzia siriana per la pianificazione e la cooperazione internazionale hanno firmato a Damasco il Memorandum di intesa sulle nuove vie della seta (Belt and Road Initiative – Bri). L’intesa apre dunque le porte a Pechino, consentendole di partecipare alla ricostruzione economica e materiale in Siria, e di avviare una cooperazione tra i due paesi, in particolare nei settori delle infrastrutture e dell’energia elettrica. Inoltre, dall’integrazione nelle nuove vie della seta, Damasco si attende un miglioramento delle relazioni con i paesi limitrofi. In Medio Oriente, gli altri tre paesi che hanno aderito all’iniziativa cinese sono Arabia Saudita, Iran e Turchia.
Cina-India: nuove tensioni al confine
Intanto, il 20 gennaio, il ministero della Difesa indiano ha accusato l’Esercito popolare di liberazione (Epl, esercito governativo cinese) di aver catturato un cittadino indiano di 17 anni, da poco scomparso vicino al confine. Secondo fonti locali, a informarne le autorità indiane sarebbe stato un suo amico, riuscito a scappare alla cattura. Il ministero degli Esteri cinese non ha rilasciato commenti ufficiali, ma in un’intervista pubblicata dal quotidiano cinese in lingua inglese Global Times, Qian Feng ha puntato il dito sulla natura propagandistica di simili accuse, che Pechino ha sempre smentito, e che spesso sono formulate da politici e media indiani per compiacere gli elettori. In realtà, non è la prima volta che i due paesi si scontrano lungo la contesa Linea di controllo effettivo (Lac), mentre non lascia ben sperare l’esito nullo del quattordicesimo ciclo di colloqui militari tra Pechino e New Delhi per risolvere le controversie di confine. Benché, infatti, non si sia risolto, come il precedente (10 ottobre 2021), in una serie di accuse reciproche, le conclusioni si sono tradotte in una situazione di stallo. Anche se l’aver elaborato un comunicato stampa congiunto dopo i colloqui sembrava costituire un, sia pure piccolo, passo avanti. A nessuno dei due paesi conviene far esplodere le tensioni in un conflitto armato, ma ad acuire le rivalità transfrontaliere è l’appartenenza dell’India al Quadrilatero delle democrazie dell’Indo-Pacifico, che include anche Australia, Giappone e Stati Uniti. Ora Washington è impegnata nel confronto serrato con Mosca. Ma l’eventualità di un’intesa tra quest’ultima e la Cina rischia di trasformare le rivalità di confine sino-indiane in un antagonismo per procura.