Giurisdizione internazionale per i crimini contro l’umanità: capitolo Siria

Raslan Siria Raslan Siria

Anwar Raslan e Eyad al-Gharib, ex funzionari dei servizi segreti siriani, sono stati condannati dalla corte di Coblenza, in Germania: il primo all’ergastolo, il secondo a quattro anni e mezzo. L’accusa è di crimini contro l’umanità sotto il regime di Bashar al-Assad e questo processo segna una svolta storica, per l’applicazione del principio di giurisdizione internazionale, secondo cui i reati più gravi sono perseguibili ovunque, a prescindere dal luogo in cui sono avvenuti e dalla nazionalità dell’imputato.

Branch 251

C’è una piattaforma online, Branch 251, che attraverso una serie di podcast, ha permesso di seguire le fasi del processo penale in corso, contro gli ufficiali siriani: https://branch-251.captivate.fm/

Il nome è lo stesso della prigione di Damasco dove venivano commessi i crimini atroci, per i quali sono stati denunciati i due rifugiati siriani in Germania, Anwar Raslan e Eyad al-Gharib.

Da richiedenti asilo a sospettati 

Nell’aprile del 2020, Raslan e Gharib erano stati convocati, per dare avvio a questo primo processo sulla guerra civile in Siria. Essi erano giunti in Germania tra il 2012 e il 2014, per chiedere protezione internazionale, ma diversamente dagli altri rifugiati, erano interni al sistema di oppressione e quando la verità è venuta allo scoperto è iniziato questo storico processo.  Le accuse sono nate proprio a partire dalle loro dichiarazioni, nel corso dell’interrogatorio per la richiesta d’asilo, anche se fondamentali sono state le denunce di alcune vittime delle loto torture, che li avevano intravisti e riconosciuti a Berlino. I due ufficiali parteciparono alla repressione del dissenso politico durante il governo di Bashar al-Assad e la loro conoscenza dettagliata dei metodi di tortura ha insospettito gli inquirenti, i quali dopo averli sentiti come richiedenti asilo, li hanno riconvocati come sospettati.

Crimini contro l’umanità

Il processo è stato molto seguito in tutto il mondo, per un totale di 108 giorni di udienza, con circa 80 testimoni che hanno accusato Raslan e Gharib di aver sottoposto le vittime a elettroshock e violenze di ogni tipo. Anwar Raslan, era il coordinatore degli scagnozzi addetti agli interrogatori ed era naturalmente consapevole dell’entità dei crimini commessi su circa 4mila persone, nel carcere Branch 521, avendone inoltre uccise ventisette, di suo pugno, Il coimputato Eyad Al-Gharib, ex funzionario di rango minore dei servizi siriani, è stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere per complicità nei reati commessi tra l’aprile del 2011 e il settembre 2012.

Coblenza e la giurisdizione internazionale

Il “processo di Coblenza” si è dunque svolto secondo il principio di giurisdizione universale per i crimini contro l’umanità, per cui il governo tedesco ha potuto procedere alle condanne, nonostante i reati fossero avvenuti altrove. Già nel 2003, era stata istituita un’unità investigativa per crimini simili, che indagava su sospetti genocidi nella Repubblica Democratica del Congo e nei Paesi dell’ex Jugoslavia. Con l’arrivo dei rifugiati dalla Siria, sono giunte migliaia di denunce per reati commessi sotto il regime di Bashar al-Assad. Così il processo ha contraddetto la versione ufficiale di Damasco, che aveva sempre negato le torture. Allo stato attuale la Germania può teoricamente processare chiunque e senza limiti giuridici, per crimini di guerra, anche se commessi all’estero.

Anwar al Bunni e Caesar

L’accusa contro Raslan è stata coordinata dall’avvocato Anwar al Bunni e dall’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) di Berlino. Persone che oltre a marciare davanti al tribunale, hanno raccontato i dettagli delle torture, le privazioni di cibo e sonno, gli stupri, l’uso di cavi elettrici sui corpi ecc. Raslan si è sempre dichiarato innocente, ma molte persone hanno esultato per il suo arresto, con in mano le foto dei parenti deceduti nelle carceri siriane. Il materiale fotografico è stato il nodo essenziale del processo, grazie alle prove schiaccianti nelle foto di Caesar, pseudonimo di un uomo che lavorava per la polizia siriana come fotografo. Con lo scoppiare della guerra civile era riuscito a salvare i file dei suoi scatti e dopo la fuga in Europa, nel 2014, aveva presentato il suo materiale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In seguito sono state organizzate delle mostre fotografiche in diverse parti del mondo, anche in Italia, al Maxi a Roma, nel 2016. Proprio le foto di Caesar hanno permesso di ricostruire l’identità delle vittime e documentare l’intero sistema di oppressione, per poter incastrare Raslan e Gharib.

Add a comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *