Missili lanciati dai ribelli yemeniti Houthis contro Arabia saudita ed Emirati arabi uniti; continuano i bombardamenti della coalizione guidata da Riyadh, che nega di aver colpito la prigione di Saada
Yemen, dal tramonto all’alba
La mattina del 24 gennaio, il ministero della Difesa degli Emirati arabi uniti (Eau) ha riferito di aver intercettato e distrutto, nei cieli di Abu Dhabi, due missili balistici, lanciati dai ribelli sciiti yemeniti Houthis, e i cui resti sono caduti in due aree separate intorno la città. «Siamo pronti ad affrontare qualunque minaccia», ha precisato in una nota diffusa dall’agenzia stampa Wam, «siamo disposti ad adottare qualsiasi misura per proteggere lo Stato». La sera stessa, il comando statunitense della base militare di al-Dhafra, vicino Abu Dhabi, ha dichiarato di aver collaborato con le autorità emiratine nell’abbattimento dei due missili. Intanto, i media sauditi hanno riportato che, nella notte tra il 23 e il 24 gennaio, due missili balistici, sempre di provenienza Houthi, sono caduti nel territorio del Regno. Il primo nella provincia meridionale di Jazan, nell’area industriale di Ahad al-Massarihah, dove due cittadini stranieri, un bengalese e un sudanese, sono rimasti feriti e sono stati riportati danni a veicoli ed esercizi commerciali. Il secondo missile, invece, sarebbe stato intercettato poco prima dell’alba e immediatamente distrutto, nei cieli di Dhahran al-Janub, nella provincia meridionale di Asir, non lontano dal confine yemenita. I resti dell’ordigno hanno provocato lievi danni materiali. Poco dopo, la Coalizione a guida saudita, che dal 2015 cerca di strappare il territorio yemenita dal controllo degli Houthis, ha annunciato di aver individuato e distrutto in un bombardamento aereo la pista di lancio usata dalla milizia sciita per lanciare missili contro Arabia saudita ed Eau.
Piombo su piombo
Dal canto loro, gli Houthis hanno rivendicato come operazione conclusa con successo il lancio di missili contro Abu Dhabi, ma hanno parlato di un attacco contro «siti importanti» nell’area di Dubai, che non è stato segnalato dalle autorità emiratine. Il loro portavoce Yahya Saree, ha minacciato di estendere le operazioni nella prossima fase del conflitto, rispondendo «all’inasprimento con l’inasprimento». Gli Houthis, infatti, il 21 gennaio avevano diffuso le immagini del bombardamento, da parte della Coalizione, del centro di detenzione temporaneo di Saada, nell’omonima provincia settentrionale dello Yemen, gestito dagli stessi combattenti: secondo il bilancio di Medici senza frontiere, che ha parlato di attacco «orribile», almeno 70 persone erano morte nell’attacco, mentre altre 138 erano rimaste ferite. Tuttavia, il giorno dopo, la Coalizione aveva prontamente negato di aver colpito un tale obiettivo, denunciando, di contro, la disinformazione a scopo propagandistico portata avanti dai ribelli sciiti. Secondo un comunicato diffuso dal portavoce della Coalizione, il generale Turki al-Maliki, che sostiene di aver esaminato molto attentamente le informazioni sul raid di Saada, le operazioni del 21 gennaio erano concentrate sulla città di Hodeidah, nell’Est dello Yemen. Peraltro, il centro di detenzione di Saada, ha spiegato al-Maliki, non è nella lista degli obiettivi proibiti dall’Ufficio delle Nazioni unite per la coordinazione degli Affari umanitari in Yemen (Ocha), né è stato segnalato dal Comitato internazionale della Croce rossa.
Appelli della comunità internazionale
Intanto otto organizzazioni umanitarie, tra le quali Save the Children, Oxfam e Azione contro la fame, in un comunicato congiunto, hanno segnalato la presenza di migranti tra i morti del bombardamento di Saada, riferendo che il centro di detenzione colpito era utilizzato come centro di accoglienza temporanea. Nello stesso documento, le organizzazioni firmatarie si sono dette «atterrite» dalla notizia di tante vittime civili, «in palese disprezzo» delle vite umane. Più duro, d’altronde, era stato il direttore di Medici senza frontiere in Yemen, Ahmed Mahat, secondo cui non è la prima volta che la Coalizione colpisce scuole, ospedali, mercati, feste di matrimonio e istituti penitenziari. Come era avvenuto nel settembre 2019, quando un raid aveva colpito il centro di detenzione di Dhamar, nel Sud-Ovest del paese, uccidendo oltre 100 persone. Il segretario generale delle Nazioni unite (Onu) Antonio Guterres, da parte sua, ha condannato i raid su Saada e su Hodeidah, chiedendo che sia aperta un’inchiesta immediata, oggettiva e trasparente sui fatti, per accertarne le responsabilità. Per ora, al-Maliki ha dichiarato alla televisione saudita che la Coalizione fornirà presto delucidazioni, sia all’Onu, sia alla Croce rossa. Da Washington, invece, il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha invitato tutte le parti coinvolte nel conflitto yemenita a cessare l’inasprimento delle ostilità, e a impegnarsi, piuttosto, per una soluzione diplomatica che possa porre fine alla guerra. Nessuna risposta, invece, dalla comunità internazionale (Usa compresi) alla richiesta, formulata dalla Lega Araba il 23 gennaio, al termine della riunione straordinaria sulla questione yemenita, di definire ufficialmente gli Houthis come un’organizzazione terroristica.