Mentre continuano le operazioni in golfo della Coalizione a guida saudita in Yemen, gli Emirati intercettano un missile lanciato dai ribelli sciiti durante la prima visita di un presidente israeliano nel paese; Israele, Egitto, Turchia cercano di integrare la Penisola araba nella loro visione strategica del Medio Oriente, mentre Cina e Stati Uniti vorrebbero farne un tassello del loro sistema di alleanze
Abu Dhabi: equilibri complessi…
Il 31 gennaio, il ministro della Difesa degli Emirati arabi uniti (Eau) ha reso noto che poco dopo la mezzanotte la difesa antiaerea emiratina aveva intercettato e abbattuto un missile balistico lanciato nel suo spazio aereo dai ribelli sciiti yemeniti Houthis. Nello stesso comunicato, si legge che non ci sono stati né vittime, né danni materiali, anche perché i detriti dell’ordigno sono caduti in un’area disabitata. Secondo il ministero, inoltre, i caccia dell’aviazione saudita impegnati in Yemen hanno distrutto anche la piattaforma di lancio utilizzata dagli Houthis per colpire gli Emirati, ma nessuna precisazione è arrivata da Abu Dhabi né sul bersaglio dell’attacco, né sulla posizione della piattaforma di lancio e dei lanciamissili colpiti. Di contro, l’agenzia stampa emiratina Wam ha riportato che nessuna interruzione si è registrata per i voli di linea, che hanno continuato a funzionare regolarmente. Qualche ora dopo, a sua volta, il portavoce degli Houthis, Yahya Saree, ha dichiarato in un discorso televisivo che i suoi combattenti hanno lanciato «un certo numero» di missili balistici contro Abu Dhabi e di droni contro Dubai, aggiungendo che gli obiettivi dei prossimi attacchi saranno le sedi delle multinazionali in territorio emiratino. Gli Eau, «paese nemico», ha spiegato Saree, non saranno al sicuro «finché gli strumenti del nemico israeliano saranno ad Abu Dhabi e a Dubai». Un chiaro riferimento al tour diplomatico del presidente israeliano Isaac Herzog.
… nella morsa tra Tehran e Tel Aviv
L’ultimo attacco dei ribelli sciiti, dietro i quali si intravede la longa manus di Tehran, è stato sferrato al termine della prima delle due giornate di visita ufficiale di Herzog. Un momento storico, poiché mai finora un presidente israeliano si era recato negli Emirati. Nella prima giornata, il presidente israeliano ha incontrato il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, mentre nella seconda, il 1 febbraio, si è intrattenuto con l’emiro di Dubai e vicepresidente degli Eau, Mohammed bin Rashid al-Maktoum e il ministro della Tolleranza e della Resistenza, Nahyan bin Mubarac al-Nahyan. In programma, anche la visita a Expo 2020 Dubai e la visita alla Grande moschea sheykh Zayed. Dopo l’elogio sulla combinazione di spirito innovativo e rispetto della tradizione musulmana, Herzog ha focalizzato la sua attenzione sulle uniche due alternative per il Medio Oriente: la pace, la prosperità e la cooperazione, oppure la destabilizzazione della regione messa in atto dall’Iran. All’ordine del giorno ci sono state anche le relazioni bilaterali tra Israele ed Eau nel commercio, negli investimenti, nel turismo e nell’innovazione tecnologica. Le relazioni tra i due paesi sembrano quindi avviate a stringersi sempre più, ma Tel Aviv, che nella guerra contro gli Houthis aveva offerto sostegno logistico e tecnologico agli emiratini (offerta ribadita da Herzog), vorrebbe siglare gli accordi di Abramo con altri paesi arabi. Anzitutto con l’Arabia saudita, che l’aereo del presidente israeliano ha sorvolato prima di atterrare ad Abu Dhabi: «un momento commovente», ha commentato il presidente israeliano. Le sue parole hanno fatto eco a quelle del ministro degli esteri israeliano Yair Lapid, che pochi giorni prima aveva espresso la speranza che gli accordi di Abramo si potessero siglare anche con Arabia saudita e Indonesia, anche se, come egli stesso ha detto, ci vorrà del tempo.
Riyadh: pragmatismo riluttante
Come gli Eau, anche l’Arabia saudita, nel corso del 2021, ha tentato di stabilire un dialogo con la Repubblica islamica: i primi quattro colloqui esplorativi sulle relazioni regionali e sui rapporti bilaterali si erano tenuti a Baghdad, mentre l’ultimo, lo scorso 17 gennaio, è avvenuto a Gedda. Tentativi di distensione motivati anche dal coinvolgimento dell’Iran e dell’Arabia saudita su opposti fronti nel conflitto in Yemen. Dunque, mentre Israele potrebbe chiedere agli Stati Uniti la testa dell’Iran, in cambio di un suo sostegno a Washington nello scontro con Russia e Cina, gli Eau e l’Arabia saudita hanno optato per la distensione, puntando piuttosto sul loro potenziale in termini di collocazione geografica, diproduzione di petrolio e di possibilità di investimento all’estero, per insidiarsi in zone di mercato storicamente di competenza russa. Più che il controllo dell’assetto geopolitico regionale, a Riyadh e ad Abu Dhabi interessa infatti concludere partenariati finanziari, commerciali e nel settore della difesa, soprattutto per compensare la diminuzione di disponibilità di denaro conseguente al calo delle vendite petrolifere e all’abbassamento dei prezzi dell’oro nero. La soluzione adottata è, quindi, la diversificazione. Ne è un esempio l’accordo firmato dalla compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco con l’azienda polacca PKN Orlen SA, per coprire la metà del fabbisogno energetico della Polonia. L’intesa prevede, tra le altre condizioni, l’acquisto da parte della compagnia saudita di una raffineria polacca sul Baltico, di unità di carburante all’ingrosso e del 30% delle quote di una raffineria di Danzica (nonché del commercio ad essa associato). Un altro accordo interessante è quello firmato da Saudi Aramco, PKN Orlen SA e Saudi Basic Industries Corporation, per cercare petrolio da estrarre nel sottosuolo dell’Europa orientale e centrale. In tal modo, Riyadh si è insinuata in aree il cui approvvigionamento petrolifero era finora affidato per lo più alla Russia.
Medio Oriente: l’inferno sono gli altri
Anche gli Usa, sia pure con maggiore discrezione che in altri contesti regionali, prendono parte alla partita mediorientale, vedendo nelle monarchie del Golfo dei potenziali alleati per colpire gli alleati di Russia e Cina, e, al contempo, considerando Israele un importante riferimento nel settore dell’intelligence, per arginare l’intraprendenza geopolitica della Turchia e contenere eventuali ambizioni dell’Iran senza l’uso della forza. E soprattutto, possibilmente, senza interventi diretti. Per questo, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani è volato in visita ufficiale negli Stati uniti: è stato così il primo capo di Stato della Penisola araba ad aver incontrato il presidente Usa Joe Biden, con cui ha discusso di approvvigionamento energetico. Il Qatar, inoltre, è stato designato come maggiore alleato non-Nato, come già era avvenuto per il Kuwait. In questo mosaico, un tassello importante è rappresentato dall’Egitto, che con Israele e le monarchie del Golfo ha instaurato buone relazioni, ma la cui immagine internazionae è inficiata dalla sospensione degli aiuti militari statunitensi, motivata con gli scarsi progressi fatti dal Cairo nel rispetto dei diritti umani. Ciononostante, l’Egitto è prezioso quanto Israele come alleato Usa, per via della sua posizione geografica, sul mar Mediterraneo orientale, ma soprattutto per la sua capacità di proiettare la propria influenza in aree in cui negli ultimi anni si è consolidata la presenza economica cinese, come nel Corno d’Africa, o quella paramilitare russa, come in Libia. In particolare, l’Egitto potrebbe rivelarsi fondamentale per contenere l’espansione in Africa e in Medio Oriente della Turchia, rivale tanto dell’Egitto quanto delle monarchie del Golfo, anche se ultimamente il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta cercando di migliorare le sue relazioni con gli storici rivali regionali. Da un lato, questa è una scelta coerente con la linea politica neo-ottomana, secondo cui i rapporti con i paesi vicini devono essere costruttivi, ma si tratta anche di un tentativo, ben più vigoroso di quelli messi a segno finora da Riyadh o da Abu Dhabi, di portare avanti i propri interessi strategici, a prescindere dalle esigenze degli alleati, e talvolta anche contro di esse.