Il 1° febbraio alle 22 l’aviazione turca ha effettuato una sistematica campagna di bombardamenti contro aree civili in tutto il Kurdistan. Bombardato il campo profughi di Mexmûr, Maxmur in curdo, Geliyê Kersê, Barê e Çil Mêra vicino a Şengal, Sinjar per i curdi, nel Kurdistan meridionale, ovvero nel Nord dell’Iraq, così come il villaggio di Teqil Beqil vicino a Dêrik nel Rojava, in Siria settentrionale.
Si tratta di un crimine di guerra coordinato, avvenuto pochi giorni dopo che il regime di Erdoğan in Turchia ha tentato di salvare migliaia di combattenti dell’ISIS in un tentativo di evasione dalla prigione di Sina’a, nella città di Hasakah, Hesekê in curdo. Un’evasione fermata dalle Forze democratiche siriane (SDF) dopo cinque giorni di intensi combattimenti.
L’assalto alla prigione di Sina’a
Nella notte tra il 20 e il 21 gennaio, è iniziato il peggior attacco realizzato dallo Stato islamico dalla fine della battaglia di Baghouz nel 2019, quando l’Isis venne dichiarato sconfitto. La prigione di Sina’a, nel quartiere di Ghiweiran ad Hasakah, che ospita circa 5.000 detenuti dell’ISIS, è stata attaccata con diverse autobombe che hanno permesso ai detenuti di scatenare una rivolta, mentre all’esterno, in un attacco coordinato, centinaia di membri dell’organizzazione, appostati negli edifici civili, bersagliavano le forze di sicurezza siriane. Le SDF, Forze democratiche siriane, hanno immediatamente inviato numerosi rinforzi per chiudere il quartiere e forze speciali per catturare i prigionieri evasi. Veicoli blindati hanno coperto le operazioni delle SDF ed elicotteri hanno fornito, in più di un’occasione, supporto aereo ravvicinato contro le postazioni dell’ISIS e fuoco illuminante per agevolare le operazioni di liberazione del quartiere durante la notte. La popolazione civile è stata infatti costretta ad abbandonare la zona con il supporto delle HPC, le Forze di autodifesa civili, per non essere utilizzati come scudi umani dai jihadisti, che nella prima fase degli scontri hanno sequestrato e ucciso diversi civili. Per cinque giorni le SDF hanno respinto gli attacchi dei miliziani ISIS all’esterno della prigione, contenuto le rivolte all’interno e ripulito l’area casa per casa per catturare o neutralizzare i miliziani asserragliati nelle abitazioni. Le SDF hanno fatto notare che l’attacco di ISIS è stato ben organizzato e perfettamente coordinato, i miliziani hanno avuto armi, munizioni e logistica sufficiente per combattere per cinque giorni in stato di assedio. Fonti delle forze di sicurezza hanno dichiarato che i combattenti erano particolarmente ben addestrati e tra quelli uccisi o catturati ci sono molti foreign fighters. Sembra che molti dei miliziani e del loro equipaggiamento provenissero dalle aree occupate dalla Turchia a nord, altri dall’Iraq, dove contemporaneamente sono avvenuti diversi attacchi contro l’esercito iracheno.
L’appoggio della Turchia alla rivolta in carcere
Durante tutta la durata degli attacchi dell’ISIS alla prigione di Sina’a, la Turchia ha intensificato i propri attacchi da Nord impegnando le SDF. Durante le prime fasi dello scontro, la Turchia ha colpito con droni una colonna di SDF che si dirigeva dal fronte di Tel Tamer ad Heseke per fornire sostegno immediato alle forze di sicurezza per prevenire una fuga di massa dei jihadisti.
La vittoria delle Forze democratiche siriane
Dopo cinque giorni di intensi scontri, il quartiere è tornato sotto il controllo delle SDF. È stata intimata la resa agli ultimi miliziani asserragliati nella prigione, che hanno preso in ostaggio il personale della prigione e 700 ex bambini soldato che erano ospitati in un’ala della prigione per essere riabilitati. Alcuni gruppi di Isis si sono arresi e sembra che alcuni di loro siano stati uccisi dai propri commilitoni. Le SDF hanno quindi iniziato un’operazione per mettere in salvo gli ostaggi ed eliminare i jihadisti che rifiutavano la resa. Il bilancio provvisorio è di circa 30 caduti delle forze di sicurezza ad Heseke e 17 a Deir Ezzor, 5 civili uccisi e circa 210 membri di Daesh neutralizzati.
I bombardamenti del 1° febbraio
L’ultima sconfitta subita da Isis a Sina’a rispecchia l’eroica vittoria nella città di Kobanê, avvenuta sette anni fa e ricorda al mondo che non è finita la speranza della Turchia di utilizzare l’ISIS e simili mercenari contro l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est (AANES). Il regime di Erdoğan vuole distrarre la popolazione dai suoi fallimenti interni, rilanciando la sua crociata contro Rojava/AANES e occupare tutte le restanti aree all’interno della Siria, dove non solo i curdi vivono liberi, ma anche i loro alleati arabi, armeni, assiri, turkmeni e circassi. La Turchia vuole diffondere l’oscurità e la disperazione che si vive nella Siria nord-orientale, ad Efrîn, Serê Kaniyê e Girê Spî, occupate dalla Turchia.
Per questo, il 1° febbraio, Erdoğan ha bombardato di nuovo i civili a Mexmûr, Geliyê Kersê, Barê e Çil Mêra, vicino a Şengal. Gli aerei da guerra turchi sono partiti da Diyarbakir, nella regione curda del Bakur, dove la Turchia ha chiuso lo spazio aereo ai voli civili. Al momento non si hanno stime precise dei feriti e dei danni, ma si sa che molte persone hanno bisogno di soccorso dall’interno del campo di Mexmûr, sotto embargo e con un solo ospedale. Qui la co-presidente dell’assemblea del popolo ha riferito di sintomi di avvelenamento di alcuni feriti, per questo si sta verificando se siano state usate delle armi chimiche durante l’attacco.
Il Movimento per la libertà curdo è però più forte che mai e la Turchia non riesce a infrangere la sua volontà di autodeterminazione, democrazia, uguaglianza delle donne e una vita ecologica. Ciò che è scoraggiante, tuttavia, è il silenzio e la complicità delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, della NATO e del Consiglio d’Europa, tutti consapevoli di questo assalto dello stato turco.
Il silenzio della Comunità Internazionale
L’Occidente ha detto “Mai più” in merito al genocidio, ma alla Turchia è continuamente consentito di perseguire la sua barbarie genocida contro milioni di curdi in tutto il Kurdistan. Il Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK), chiede quindi che gli organismi internazionali fermino i massacri aerei di Erdoğan con tutti i mezzi diplomatici disponibili e applichino sanzioni economiche contro il suo regime, se necessario. “Erdoğan – afferma il KNK – dovrebbe essere portato davanti alla Corte penale internazionale, per rispondere di crimini contro l’umanità”. Il KNK, inoltre, chiede il riconoscimento legale dell’AANES e degli yazidi a Şengal, in modo che possano garantire pienamente la propria sicurezza dagli attacchi turchi.
Questi eventi rappresentano il fallimento della comunità internazionale. L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est da tempo mette in guardia la comunità internazionale sul pericolo crescente di ISIS, generato soprattutto dal sostegno turco, ma sono caduti nel vuoto tutti gli appelli ai governi occidentali a istituire un tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’ISIS e a rimpatriare i propri foreign fighters.