Tra il 2020 e il 2021 il confinamento a casa dovuto alla pandemia ha portato ad aumentare di almeno 1 milione il numero delle bambini vittime di Mutilazioni genitali femminili (MGF) in tutto il mondo
Il ritiro in casa, lo stop a tutte le attività ha portato gravi conseguenze nella lotta contro le MGF, un fenomeno che coinvolge bambine in tutte le parti del mondo e che le vede protagoniste di interventi dolori, inutili e dannosi per la salute per motivi sociali-religiosi.
Cos’è la Mutilazione genitale femminile
Per Mutilazione genitale femminile si intende la rimozione parziale o totale dei genitali femminili o altre lesioni non a scopo medico, spesso compiute in casa con una lama e senza anestetico, una pratica illegale ma che comunque continua ad accadere quotidianamente.
Sono principalmente bambine e ragazze sotto i 15 anni a subire questa pratica, dovuta spesso alla concezione di purezza femminile e giustificata per motivi religiosi (pratica che, in realtà, di religioso non ha nulla).
I danni della MFG
Dolore intenso, difficoltà a urinare, problemi psicologici, mancanza di piacere sessuale o dolore durante i rapporti, aumento delle infezioni, cisti, infertilità, complicazioni durante il parto e addirittura aumento del rischio di decessi neonatali. Questi sono i danni a lungo termine che devono affrontare le donne vittime di questa pratica, se riescono a sopravvivere alle conseguenze che un intervento di questo genere svolto non in strutture ospedaliere può comportare.
Conferenza durante la Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili
Nel corso della Conferenza Internazionale dedicata al contrasto delle MGF nel contesto mondiale della pandemia da SARS-CoV-2 (“Per una tutela integrale della salute della donna tra Nord e Sud del mondo”), organizzata dall’Istitituto IRCCS San Gallicano (responsabile scientifico il prof. Aldo Morrone), in occasione della Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili emerge come questo sia un fenomeno da contrastare con ulteriore impegno, con finanziamenti, sensibilizzazione, consapevolezza dell’esistenza della pratica e la necessità di parlarne, operando soprattutto con le comunità per trovare anche soluzioni pratiche, coinvolgere le operatrici di MFG e a portarle ad abbandonare questa pratica a favore della salute e dignità delle bambine.
Al webinar hanno partecipato diversi medici dell’Istituto, parlamentari, avvocati, esperti ed operatori internazionali, tra i quali Emanuela Del Re (rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel), Annamaria Parente (presidente della Commissione del Senato Igiene e Sanità), Cinzia Leone (vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere), Alessandra Sannella (professoressa di Sociologia presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale), Omar Abdulcadir (Ospedale Careggi di Firenze), Anna Novara e Francesco Di Pietro (avvocati esperti in politiche migratorie), Ginevra Letizia (Italian Agency for Development Cooperation – Maputo), Paolo Magni (Amref Health Africa).
«Le ricadute delle MGF sulla salute psichica, sessuale e fisica delle donne mutilate sono molteplici, a cominciare da frequenti infezioni genitali da Chlamydia, gonorrea, e Papillomavirus umano (HPV), senza contare che le MGF causano una prevalenza di infezione da HPV fino a quattro volte più elevata rispetto alle donne non mutilate – ha spiegato il prof. Aldo Morrone, dermatologo infettivologo -Inoltre, il ruolo causale dell’HPV nello sviluppo del carcinoma della cervice uterina rende le donne sottoposte a MGF a maggior rischio di tumore del collo dell’utero. Sebbene limitati, i dati indicano almeno un 30% di rischio in più rispetto alle donne che non hanno subito MGF».
«Non possiamo ignorare il grido di dolore, spesso soffocato, di queste donne, perché la salute della donna straniera deve rappresentare una priorità di assistenza per i servizi sanitari. Da oltre 30 anni l’Istituto Dermatologico San Gallicano – ha proseguito il direttore scientifico – promuove e organizza campagne per il contrasto alla pratica in Italia e in numerosi Paesi dell’Africa Subsahariana. Ha accolto e visitato oltre 3 mila donne, che avevano subìto una delle forme di mutilazione genitale, inserendole in percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali per le necessarie cure immediate e per la prevenzione delle patologie infettive, infiammatorie e neoplastiche più frequenti. Ha istituito un servizio, formato da mediatrici culturali, ginecologi, dermatologi, internisti, infettivologi, psicologi, antropologi, sociologi, ostetriche e infermiere, che ha consentito di offrire un approccio olistico alle donne e alle bambine che si rivolgono al nostro Istituto. Abbiamo sempre attivamente lavorato per porre fine alla pratica delle MGF anche attraverso la formazione di personale sociosanitario e scolastico in vari Paesi a basso reddito, in particolare in Etiopia e in Africa Sub-sahariana dove l’impegno politico ha portato, in molti casi, all’approvazione di leggi che proibiscono la pratica delle MGF. Inoltre noi sappiamo che le persone cambiano il loro comportamento, quando comprendono quali sono i rischi e l’oltraggio che alcune pratiche tradizionali comportano e quando capiscono che è possibile abbandonare tali pratiche, senza rinunciare agli aspetti qualificanti e significativi della propria cultura.»
Conclude infine il prof. Morrone.
«La pandemia da Covid-19 ha squarciato il velo delle ipocrisie sulle disuguaglianze e le iniquità in tema di salute. Solo attraverso un approccio transculturale e multidisciplinare potremo valicare le tradizioni e non scavalcarle, eradicando realmente le MGF, riconsegnando così la dignità al corpo delle donne e alle loro identità, nel pieno rispetto dell’appartenenza alle comunità di origine e alla storia. I migranti ci sfidano. Sfidano la nostra capacità di organizzare e garantire servizi sociali e sanitari efficienti, per un sistema sanità che sia universale, solidale, pubblico e gratuito, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione»
L’infibulazione
L’infibulazione è una delle mutilazioni dei genitali femminili più conosciuta, questa pratica ha come scopo la chiusura quasi completa dell’ostio vulvare e spesso si accompagna all’escissione del clitoride; la sutura che segue la mutilazione lascia aperto solo un foro, per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Al termine dell’intervento le gambe della vittima vengono legate e lasciate strette anche fino a 4 settimane così da garantire la guarigione.
Questa pratica non è reversibile e le donne che ne sono state vittima devono convivere coi problemi a lungo termine dall’infanzia fino alla morte.
I danni psicologici di queste pratiche sono incalcolabili, anche chi sopravvive dovrà avere a che fare con il trauma del dolore, della paura e delle mutilazioni subite.
Il corpo della donna come oggetto
Legato a un malsano concetto di purezza, questa pratica altro non è che un chiaro controllo del corpo della donna e del suo piacere.
Infatti questa pratica, tra le varie cose, provoca l’incapacità di provare piacere o di avere rapporti sessuali in modo normale. Questo è anche un “certificato di verginità” in quanto è il marito colui che dovrà tagliare la sutura per “defibulare” la moglie dopo il matrimonio così che possano consumarlo.
Questo dà loro diritto di possedere il corpo della moglie e di privarla del piacere del sesso, rendendo la propria moglie solo una fattrice di bambini e nulla più, d’altronde non è obbligatorio che una donna provi piacere per concepire, l’importante è che svolga il proprio lavoro da incubatrice.
Le Mutilazioni genitali femminili sono riconosciute come una violazione dei diritti umani e nel 2012 l’assemblea generale delle nazioni unite votò all’unanimità per combattere questa pratica in tutto il mondo, ma la strada è ancora lunga, nel frattempo ancora troppe bambine dovranno sottostare a questa pratica barbare, deumanizzante e completamente, totalmente inutile.


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