Renzi d’Arabia e l’urgenza di approvare una legge sul conflitto d’interessi

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Nel processo comunicativo generato dal discorso politico, nelle sue molteplici forme provenienti dai Media, a dominare la scena oggi non sono tanto temi sociali e culturali, quanto i “fatti e misfatti” della Casta, la materialità e tracotanza di certi suoi membri. E’ piuttosto evidente che, in questi ultimi decenni, l’inarrestabile crisi dei partiti e, più in generale delle ideologie, hanno fatto da brodo di cultura ideale per la nascita di ogni tipo di avventurieri. In questo quadro spicca la figura dell’ex Presidente del Consiglio, il Senatore Renzi, le cui sfrontate attività lobbistiche a favore dell’Arabia Saudita hanno provocato forti polemiche nei Media.

Il leader di Italia Viva ha generato la crisi del governo di Giuseppe Conte e proprio nei giorni delle sue dimissioni (26 gennaio 2021) si trovava a Riad, in Arabia Saudita. Il quotidiano Domani ha scoperto che doveva partecipare a un congresso della Future Investment Initiative a cui prendono parte leader mondiali e investitori. Per via delle consultazioni col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Renzi ha dovuto anticipare il suo rientro con un aereo privato pagato dai sauditi. Prima era una conferenza; poi la partecipazione all’advisory board della Davos del deserto riconducibile al Fondo sovrano saudita; ora un incarico nel board della Royal Commission che si occupa della città “avveniristica” di Alula: i continui colpi di scena sulle attività segrete nella penisola arabica del Senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi destano sconcerto e preoccupazione. Dietro la partecipazione ad advisory board si celano in realtà attività lobbistiche confermate dal suo recente viaggio in Senegal e dalla recente apertura di una società di consulenza ad hoc.

Il leader di Italia Viva, nonché stimato stimato docente nella scuola d’innovazione del principe ereditario Mohammed bin Salman, il think tank del fondo sovrano saudita, definisce l’Arabia SauditaLa culla del nuovo Rinascimento“, aggiungendo “Sono geloso del vostro costo del lavoro”. Per qualche lezione nell’arco dell’anno il nostro incassa 80 mila dollari, quanto (al lordo) 25-30 operai asiatici in un anno di sfruttamento nei cantieri edili di Riyad.

Matteo Renzi diventa infatti un personaggio importante per la FII promossa dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita tra 2019 e 2020, cioè dopo la crisi di reputazione del regime di Riyad seguita all’uccisione del giornalista Jamal Kashoggi, in Turchia. L’opinione pubblica internazionale si indigna per l’omicidio a opera di sicari legati ai servizi segreti guidati da Mohammed bin Salman, che attirano con una trappola l’opinionista del Washington Post (molto critico nei contronti del regime) nell’Ambasciata saudita in Turchia, per poi ucciderlo e farlo a pezzi, in modo da occultare il cadavere.

Renzi dovrebbe dimettersi innanzitutto per una questione di opportunità e di dignità politica. In Germania due deputati di maggioranza (Cdu) si sono dimessi per aver fatto attività di lobby per l’acquisto di materiali per la pandemia; l’ex premier britannico David Cameron è travolto dalle polemiche per il suo ruolo di lobbista. Renzi non può continuare a fare spallucce, perché la questione è grave, anzi gravissima e deve portare a trovare un pronto rimedio.

Il leader di Italia Viva continua a schermarsi dietro il fatto che le sue attività non violano regole che peraltro non esistono. Come puntualmente ci ricordano tutte le istituzioni internazionali, l’Italia non ha ancora approvato una legge sui conflitti d’interesse, né una regolamentazione del lobbying che renderebbero incompatibili gli incarichi extra dell’ex premier con il suo ruolo istituzionale.

L’urgenza del momento porta comunque il senatore di Scandicci a puntare i riflettori sui suoi guai con la giustizia. E, complice la “scivolosità” di reati come appunto il finanziamento illecito, Renzi gioca facile: “Chi decide che cos’è politica e che cosa non è? – chiede retoricamente – nei Paesi democratici lo decide il Parlamento. Dove lo decidono i magistrati penali non si definisce correttamente il sistema democratico, se è un giudice a decidere, la libertà democratica è a rischio”. E ancora: “Il Pm dice che alla Leopolda si svolgeva un’attività di un partito o di una corrente di un partito. Incredibile, ho sempre detto che non farò mai una corrente dentro un partito, piuttosto faccio un partito e restituisco la tessera: fatto. E ora mi accusano di voler fare una corrente”.

Le istituzioni dovrebbe agire immediatamente, dotandosi di un codice di condotta che renderebbe difficile, se non impossibile, giustificare le attività che Renzi sta portando avanti da tempo in sfregio al suo ruolo istituzionale.

Giulia Cortese

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