L’«operazione speciale» della Russia in Ucraina, preceduta e accompagnata da una serie di attacchi informatici, innesca micro-scosse di assestamento: mentre le cancellerie euro-atlantiche condannano l’azione di Mosca, la Bielorussia si schiera in prima linea in suo favore, la Siria nelle retrovie; intanto, la Cina sceglie la discrezione e la Turchia guarda agli stretti
Conflitto quadridimensionale
Dal tardo pomeriggio del 23 febbraio, prima che il presidente russo Vladimir Putin annunciasse la sua «operazione speciale» condotta congiuntamente dai territori di Russia e Bielorussia, Kiev è oggetto di una nuova ondata di attacchi informatici, che finora hanno colpito diversi siti istituzionali, di banche e di organismi finanziari, non solo in territorio ucraino, ma anche in Lettonia e Lituania, entrambe alleate importanti per gli Stati Uniti nello scontro con la Russia. Sul quarto fronte, oltre ai tre aperti dalle truppe russe nella notte tra 23 e 24 febbraio, è stato sferrato un attacco DDoS, che comporta un’interruzione distribuita del servizio, rendendo inaccessibili i siti interessati. Nel quadro di quest’ultimo attacco, simile a quelli subiti dall’Ucraina negli ultimi mesi e soprattutto a quello della scorsa settimana (di cui tuttavia il Cremlino nega la paternità), l’agenzia di cybersicurezza slovacca ESET ha riscontrato su centinaia di computer in Ucraina un nuovo programma malevolo che cancella i dati dal supporto di memoria dei dispositivi (data wiping). Il malware in questione sarebbe stato creato il 28 dicembre 2021, un aspetto che ha indotto gli analisti ESET a pensare che l’attacco fosse stato preparato, anche se questo non è l’unico attacco informatico lanciato dalla Russia. Anzi, il Cremlino ha avviato la modernizzazione della sua strategia bellica dal ritiro dalla Georgia nel 2008, affidandone la guida alla Direzione generale dell’intelligence (Gru), che pertanto ha annoverato il cyberspazio tra i possibili terreni di scontro, talvolta accordando ad esso la preferenza su quelli tradizionali (terra, mare, aria, spazio).
Blocco occidentale
Intanto, Unione europea e Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato) si schierano in modo unanime condannando le ultime mosse di Mosca e preparandosi a imporle sanzioni di inaudita severità. Misure che, tuttavia, potrebbero colpire di riflesso le economie europee, già messe a dura prova dalla crisi finanziaria del 2008 prima, successivamente dall’emergenza sanitaria iniziata nel 2020, e infine, dai pesanti rincari di gas e petrolio, legati, appunto, al conflitto russo-statunitense. Gas a parte, bisognerà vedere quali conseguenze a lungo termine avrà per il Vecchio (in)continente il blocco da parte della Germania del gasdotto Nord Stream, una misura che dal punto di vista di Bruxelles appare tutt’altro che vantaggiosa. Questo discorso vale soprattutto se ci si interroga su quali benefici possano derivare all’Europa dall’alleanza con gli Usa, che, al contrario, potrebbero trarre considerevoli vantaggi economici dall’eventuale messa in moto della macchina bellica in un (altro) teatro di conflitto lontano da casa. Vantaggi che dunque potrebbero risultare utili all’amministrazione del presidente Usa Joe Biden, da un lato per riconquistare consensi facendo leva sul metus hostilis (la paura del nemico, di sallustiana memoria), dall’altro per la gestione di una società che, come ha osservato ultimamente il linguista e scrittore statunitense Noam Chomsky, tra povertà, conflitti sociali e tensioni mai risolte tra i gruppi etnici, si trova ora sull’orlo di una guerra civile. Intanto la Nato, che il 25 febbraio terrà un vertice virtuale sull’argomento, ha condannato l’attacco russo all’Ucraina per bocca del suo segretario generale Jens Stoltenberg, che ha espresso la sua disponibilità a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i paesi alleati, rafforzando la propria presenza in Europa orientale. Inoltre, nella dichiarazione odierna del Consiglio Nato, oltre alle accuse rivolte a Mosca di violare il diritto internazionale, si ribadisce la presa di posizione per il popolo ucraino e per le sue istituzioni democratiche, nella difesa dell’integrità territoriale e della sovranità di Kiev. Più moderato, anche se sempre sulla linea del biasimo, il profilo scelto dall’ Organizzazione delle Nazioni unite (Onu), il cui segretario generale António Guterres ha esortato Putin a interrompere immediatamente l’attacco, appellandosi al suo senso di umanità.
Equilibri dinamici, ma non troppo
Pechino, intanto, mantiene la propria discrezione, anzitutto per la sua posizione rispetto a Russia e Ucraina: con la prima, ultimamente l’Impero del centro ha intensificato i rapporti di cooperazione anche nel settore militare, mentre con la seconda ha instaurato significative relazioni commerciali, considerandola un ponte verso l’Europa. Inoltre, la Cina intravede nella situazione ucraina implicazioni non trascurabili sulla politica dell’unità e della lotta al separatismo, tra i cavalli di battaglia del presidente Xi Jinping. Riconoscendo l’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, Pechino potrebbe essere chiamata a fare concessioni per lei inaccettabili alla regione del Xinjiang, o a riconoscere l’alterità di Hong Kong e Taiwan, ma troncare le relazioni con Mosca significherebbe rinunciare a una ghiotta occasione economica: prendere il posto dell’Europa o di altri alleati degli Usa tra i partner commerciali della Russia, approfittando della cooperazione sino-russa nel settore della difesa. Ragion per cui, Pechino non ha condannato l’attacco russo all’Ucraina ma non l’ha neppure esplicitamente sostenuto, continuando a lanciare appelli alla moderazione e al dialogo. Una posizione analoga, sia pure con ragioni diverse, a quella dell’Iran, che a sua volta subisce le sanzioni statunitensi e internazionali legate ai sospetti destati dal suo programma per il nucleare civile. Con i negoziati di Vienna ancora in corso e la speranza di riportare in vita l’accordo del 2015, Tehran non vuole provocare altre fratture, ma al contempo non intende perdere il suo rapporto privilegiato con la Russia, che coinvolge il settore strategico dell’energia.
Tensione nel Mar Nero
Altrettanto delicata è la posizione della Turchia, cui l’Ucraina ha chiesto di chiudere, oltre al suo spazio aereo, anche gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, mentre Mosca ha bloccato le attività delle navi commerciali nel mar di Azov. Il 23 febbraio, di ritorno dalla sua visita diplomatica in Senegal, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha chiarito che Ankara, manterrà relazioni costruttive sia con Mosca, sia con Kiev, coerentemente con i propri interessi strategici, e che non intende aderire alle sanzioni imposte da Usa e Ue. Membro della Nato, venditore di droni all’Ucraina, la Turchia ha relazioni importanti con la Russia, che coinvolgono paesi di importanza essenziale per la profondità strategica turca, come la Siria, e per le sue velleità neo-ottomane, come la Siria e il Caucaso (e più in generale l’Asia centrale). Inoltre, pur sostenendo da sempre l’integrità territoriale ucraina, con un occhio alla propria (si pensi alla dimenticata questione curda), Ankara, che negli ultimi mesi si era proposta come mediatrice nel conflitto russo-ucraino, rimprovera le cancellerie europee, in particolare Francia e Germania, per l’inefficacia del loro dialogo con Mosca. In Medio Oriente, invece, a schierarsi con la Russia è stata la Siria, il cui governo non solo ha sostenuto il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche autoproclamate del Donbass, ma si è anche impegnato ad allacciare con esse rapporti di cooperazione. Damasco, che da un mese è sotto il tiro dell’aviazione israeliana e delle mire turche nel Nord, ha bisogno del supporto russo, sia di fronte agli altri paesi della regione, sia sullo scenario politico interno, visto il sostegno di Putin al presidente siriano Bashar al-Assad nel conflitto iniziato nel 2011. Intanto, Israele guarda con preoccupazione gli sviluppi dello scontro russo-ucraino, temendo che la sua alleanza con Washington possa minare la collaborazione con il Cremlino in Siria. In attesa delle prossime evoluzioni, Tel Aviv si prepara ad accogliere i profughi ebrei dall’Ucraina. Un paese nel quale attualmente ciascuno vede uno sbocco per i propri interessi geopolitici.