Sex Work. Da Ugo Rosenberg un libro per superare la Legge Merlin

L’autore del volume “Sex Work”, pubblicato lo scorso anno dalle edizioni Croce, è stato intervistato da Italiani News per comprendere come la regolamentazione della prostituzione in Italia potrebbe essere cambiata in base ai modelli di gestione europei del fenomeno.

Nel suo libro lei ha analizzato in oltre quattrocento pagine come i diversi governi europei gestiscono il fenomeno della prostituzione. Quale modello potrebbe adottare l’Italia riformando la ormai datata Legge Merlin? È possibile adottarne uno già esistente oppure anche quello andrebbe migliorato, visto che sono esperienze che oramai durano da tempo?

In Europa vi sono differenti modelli per la gestione della prostituzione. Si va da quello neo-proibizionista, che persegue penalmente il cliente per l’acquisto o la richiesta di acquisto di prestazioni sessuali (Svezia, legge del 1999), a quello neo-regolamentarista, che considera la prostituzione un lavoro a tutti gli effetti (Germania, leggi del 2002 e del 2017).
In Italia siamo ancora fermi al 1958, quando con la legge Merlin furono abolite le “case chiuse”. In conseguenza di quella riforma, la prostituzione (rimasta comunque un’attività lecita) trovò nella strada e, individualmente, in appartamento le principali forme di esercizio: proprio quelle più pericolose per l’incolumità di chi la pratica e più spesso fonte di malcontento tra i cittadini. Una legge divenuta ormai anacronistica, per un fenomeno che è negli anni profondamente mutato (a seguito dei processi migratori e dello sviluppo di internet) e che include al suo interno realtà assai diverse tra loro: abbiamo purtroppo vittime di tratta, così come vi sono tante persone che esercitano la prostituzione per propria decisione, soddisfatte della loro scelta di vita.
A mio avviso bisognerebbe riconoscere la prostituzione in Italia come una libera professione, consentendone l’esercizio anche in edifici e locali ad essa dedicati (eros center, centri benessere FKK, night-club, studios, ecc.), gestiti da soggetti terzi privati, come già avviene in diverse realtà europee. Si è potuto verificare come lo svolgersi dell’attività di prostituzione prevalentemente in strutture riconosciute sia, oltre che vantaggioso in termini di igiene e sicurezza, assai proficuo nel contrasto alle infiltrazioni malavitose, che resta l’obiettivo primario per qualunque legislatore. Tra i paesi europei, Germania, Austria, Olanda e Svizzera possono essere considerati, per diversi aspetti, validi punti di riferimento per una riforma del settore. È naturale che nella stesura di una nuova legge si dovrà anche tener conto delle condizioni italiane preesistenti.

La prostituzione di strada ne risentirebbe e in che tempi, scomparirebbe? Nel suo volume c’è un capitolo dedicato a una regione italiana di confine che è già un “laboratorio naturale” di quello che potrebbe accadere, ce lo può raccontare?

Nei paesi neo-regolamentaristi sopracitati, la prostituzione su strada è divenuta un fenomeno marginale, in presenza di alternative più vantaggiose. A Monaco di Baviera il numero di prostitute su strada si è ormai ridotto a circa una decina, da oltre un centinaio che vi erano a fine anni ’90; a Berlino, dove sono presenti ben 500 locali di prostituzione, si può riscontrare come attualmente siano meno di una cinquantina le lavoratrici del sesso che esercitano in strada. Situazioni lontanissime da quella di Roma in cui, prima della pandemia, il numero di prostitute su strada era stimato superiore a 7.000.
Significativo è il caso del Friuli Venezia Giulia dove, già da 15 anni, la prostituzione su strada si è ridotta a poche unità, senza che siano state attuate politiche repressive (comunque inefficaci). Decisiva è stata la creazione in Austria e Slovenia, subito dopo il confine, di diversi club e, in particolar modo, di centri benessere FKK: impianti dotati di piscine, saune, ristorante, cinema ed ogni genere di comfort, destinati quindi non solo agli incontri di prostituzione ma ad una più generale attività ricreativa. Quest’offerta, abbinata allo sviluppo della prostituzione in appartamento tramite internet, ha in pochi anni prosciugato la clientela delle prostitute su strada in Friuli Venezia Giulia, determinando la loro pressoché totale sparizione.

È possibile al momento fare una ipotesi di ricaduta dal punto di vista fiscale, lo stato avrebbe un beneficio dalla regolamentazione della prostituzione?

Una regolamentazione della prostituzione produrrebbe indubbi benefici economici, sia in termini di indotto, che di entrate fiscali. Difficile è al momento fare una previsione realistica, ma possiamo prendere a riferimento quanto avviene in Germania.
L’erario tedesco, prima della pandemia, incassava ogni anno circa 3 miliardi di euro di tasse dal mercato del sesso; questi erano versati quasi esclusivamente dai club, i cui introiti erano facilmente tracciabili, essendo determinati, in misura principale, dagli accessi alle strutture o dagli affitti delle stanze. I contributi fiscali delle prostitute, lavoratrici autonome, si limitavano invece, complessivamente, a poche decine di milioni di euro.

È quantificabile il “fatturato” della prostituzione che usa il web e si svolge unicamente in abitazioni private?

Secondo Escort Advisor, nel 2021 più di 130.000 prostitute si sono pubblicizzate online, sui diversi siti.
Il “fatturato” ammonta sicuramente a svariati miliardi; è però del tutto illusorio supporre di ricavare rilevanti introiti fiscali da questa forma di prostituzione, svolta all’interno di appartamenti o case vacanze, da persone che, in molti casi, nemmeno risiedono stabilmente nel nostro paese.

A suo avviso il crociano “non possiamo non dirci cristiani”, cioè la morale cattolica presente in maniera diffusa nei partiti politici italiani può essere uno dei motivi che fa storcere il naso ai nostri parlamentari davanti all’argomento?

Certamente vi sono resistenze di matrice cattolica; pesano però, nella nostra società, lo stigma diffuso verso prostitute e clienti e la falsa convinzione che la prostituzione sia sempre soggetta a forme di violenza e sfruttamento.
Anche le posizioni dei nostri politici sono condizionate da questi pregiudizi: alcuni invocano misure sanzionatorie, altri auspicano un ritorno alle “case chiuse”, modello segregativo di gestione statale del fenomeno.
Sarebbe opportuno prendere atto di una realtà che è assai composita, diversa da come viene descritta, e guardare con dovuta attenzione alle esperienze di gestione di paesi a noi vicini. Avere anche in Italia migliori opzioni logistiche per la prostituzione, riconoscendo dignità lavorativa a chi svolge questa attività (che ha una sua funzione sociale), sarebbe un’importante conquista di civiltà.

di Marco Orlando

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