In Yemen, la coalizione guidata dall’Arabia saudita risponde agli attacchi dei ribelli sciiti Houthis: l’Onu condanna entrambe
La Turchia, impegnata nella guerra in Siria, medita l’espansione della sua industria della difesa; l’India non-allineata si mostra pronta all’ascesa geopolitica
Yemen: doppia condanna delle Nazioni unite
Il 27 marzo, la coalizione a guida saudita ha bombardato diversi siti, in Yemen, identificati come postazioni dei ribeli sciiti Houthis, soprattutto la capitale Sana’a. Gli attacchi hanno seguito di poche ore l’annuncio da parte di questi ultimi di una tregua di tre giorni e della disponibilità ad aprire trattative di pace a condizione che Riyadh fermi l’apparato bellico e ritiri le «truppe straniere». Del resto, venerdì, gli Houthis avevano lanciato una serie di attacchi congiunti con droni e missili contro il territorio saudita, di cui uno aveva provocato un grave incendio in un’installazione petrolifera della società statale Aramco a Jeddah, non lontano dal circuito di Formula 1, provocandone il rinvio delle prove libere di quindici minuti. L’intensificazione degli attacchi degli Houthis è legata alla ricorrenza del 26 marzo, settimo anniversario dell’intervento militare in Yemen della coalizione a guida saudita. Riyadh, peraltro, aveva già messo in guardia sui rischi di una diminuzione forzata nella produzione di petrolio a causa di questi episodi, chiedendo maggiore sostegno agli Stati uniti. Da parte sua, il segretario generale delle Nazioni unite (Onu), Antonio Guterres, ha condannato sia gli attachi degli Houthis, sia quelli della coalizione a guida saudita, esortando tutte le parti coinvolte a cessare le ostilità. Il suo portavoce, Stéphane Dujarric, inoltre, ha detto che Guterres «condanna fermamente il recente inasprimento del conflitto in Yemen».
Turchia: finché c’è guerra…
Il 27 marzo, l’esercito siriano, di stanza alla Base 46, a Ovest di Aleppo, ha colpito un veicolo corazzato turco KİRPİ II, sulla strada tra la città di Atarib, controllata dai ribelli sunniti, e il villaggio di Kafr Noran. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, dopo l’esplosione, nella quale sono rimasti feriti tre soldati turchi, tutti immediatamente rimpatriati, sono stati avvistati due droni Bayraktar TB2 lungo la linea del fronte, nell’area occidentale della provincia di Aleppo. L’esercito di Ankara, inoltre, ha risposto all’attacco delle forze governative siriane con colpi di artiglieria, ma non si hanno notizie certe sull’esito. La Base 46, conquistata nel 2012 dai ribelli sunniti, sostenuti dalla Turchia, all’inizio del 2020 era stata conquistata dall’esercito governativo siriano con il sostegno della Russia e dell’Iran. Nondimeno, impegnata sul fronte ucraino, la Russia ha diminuito le operazioni in Siria, il cui presidente Bashar al-Asad (che osteggiava la presenza statunitense al fianco delle Forze democratiche siriane, costituite soprattutto dalle unità di difesa popolare curde) ne aveva chiesto formalmente il sostegno militare nel 2015 contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico. Frattanto, la Turchia mostra una crescente intraprendenza sia geostrategica, sia nell’industria della difesa. Il 17 marzo, l’azienda turca Nurol Makina, produttrice di veicoli blindati, ha annunciato l’apertura della sua prima filiale estera in Ungheria, membro dell’Unione europea. Inoltre, Ankara sta pensando di comprare i sistemi di difesa missilistica SAMP/T, prodotti dalla franco-italiana Eurosam, con cui le imprese turche Aselsan e Roketsan avevano firmato un accordo di 18 mesi, per un progetto di difesa contro missili di lunga gittata. Un progetto interrotto dai dissapori tra Francia e Turchia, che ora sembrano in via di attenuazione.
India: l’alleata riluttante
Il 25 marzo, a Nuova Delhi, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha discusso per circa tre ore con il suo omologo indiano Subrahmanyam Jaishankar, invitandolo a cooperare con Pechino e ad assegnare alle controversie di confine la posizione appropriata nelle relazioni bilaterali. Wang, ha poi assicurato che l’Impero del centro non persegue una politica di Asia unipolare, quindi non aspira all’egemonia geopolitica, ma rispetta il ruolo tradizionale dell’India negli equilibri regionali. Nondimeno, per Subrahmanyam le tensioni in corso tra i due paesi da aprile 2020 non si possono risolvere con normali relazioni di buon vicinato. Dall’invasione russa dell’Ucraina, l’India sembra emergere come pilastro fondamentale degli equilibri regionali dell’Asia orientale: dal punto di vista politico, mantenendo una sorta di equidistanza tra Russia e Stati uniti, ma anche dal punto di vista economico, registrando un incremento delle richieste di grano dall’estero (Russia e Ucraina ne erano i principali esportatori). Ad esempio, tra i paesi del quadrilatero democratico del Pacifico (Quad), è l’unico a non applicare le sanzioni a Mosca, malgrado le pressioni di Usa, Australia e Giappone. Pertanto, all’inizio di marzo, il ministro del Petrolio indiano aveva parlato di trattative con la Russia per acquistare petrolio a prezzo scontato, rispetto agli attuali costi sostenuti per comprare petrolio dal Medio Oriente. Peraltro, Washington, dichiarando di comprenderne il ragionamento economico, aveva detto che in tal modo non avrebbe violato le sanzioni. Un’ascesa geopolitica dell’india sarebbe inoltre favorita dalle crescenti richieste di grano dall’estero: tra le ultime, in ordine di tempo, c’è quella del Libano, che ha annunciato di voler presentare un’offerta per comprarne 50.000 tonnellate. Il piano è stato già sottoposto alla banca centrale libanese, che secondo il ministro dell’Economia Amin Salam, dovrebbe presto aprire un finanziamento di 26 milioni di dollari. L’India, ha spiegato Salam, è stata il primo paese a dare risposte su quantità e prezzi, mentre ancora non sono pervenute quelle di Kazakistan e Stati Uniti.