Economic Freedom Fighters: terra e lavoro subito!

L’eredità di Sankara

Un personaggio poliedrico come Thomas Sankara, con le sue conquiste politiche contro il debito pubblico o a sostegno dell’emancipazione femminile da un lato e le denunce di Amnesty International per violazione dei diritti umani dall’altro, ha ispirato un movimento politico contemporaneo altrettanto sfaccettato e ricco di buone proposte 

Gli Economic Freedom Fighters rivendicano l’eredità dell’ex presidente del Burkina Faso, Sankara come modello di governo ideale che fonde principi socialisti con emancipazione femminile, tutela delle minoranze e politiche ambientali. L’assassino di Sankara è stato arrestato dopo 35 anni, mentre il movimento nasceva nel 2013, da un’idea di Julius Malema e  dall’unione di attivisti e organizzazioni con l’obiettivo della liberazione economica dell’Africa e degli “oppressi del mondo” come recita la pagina web per diventare membri EFF. È infatti possibile iscriversi attraverso un modulo scaricabile online, giurando di attenersi al principio del “centralismo democratico”, per cui la minoranza è subordinata alla maggioranza, perseguendo i sette pilastri del loro Manifesto.

I sette pilastri

I sette punti programmatici o “pilastri” che ricordano il socialismo arabo del primo Ghedaffi, riguardano temi come l’espropriazione della terra e sua ridistribuzione senza compenso, nonché la nazionalizzazione delle miniere, delle banche e di altri enti con conseguente abolizione degli appalti privati. Il movimento nato in Sud Africa, si è poi esteso all’intero continente e ha attribuito un ruolo essenziale all’educazione gratuita, all’assistenza sanitaria e alla casa per tutti. Fondamentale anche lo sviluppo industriale, con l’introduzione di uno o più salari minimi per colmare il divario tra ricchi e poveri, “chiudere il divario salariale dell’apartheid e promuovere rapidi percorsi di carriera per gli africani sul posto di lavoro”, come recita il quinto punto del loro manifesto. Infine si cerca di promuovere un governo senza corruzione e giustizia sociale in tutto il continente africano, con un’apertura alle tematiche di genere ed LGBT. Se il movimento EFF non può prescindere dal suo ispiratore, Sankara, altrettanto rilevante è la personalità e l’impegno del suo fondatore.

Julius Malema

Julius Malema, nato il 3 marzo 1981, a Seshego in Sudafrica ha fondato gli EFF, dopo essere stato presidente dell’African National Congress Youth League (ANC), da cui fu espulso per aver cantato in comizio Dubula iBunu – Spara al Boero. Era il 2011 e quella esibizione gli costò una denuncia per incitamento all’odio, trattandosi di un insulto agli Afrikaneers, gli africani bianchi discendenti dei coloni olandesi e inglesi. Nel suo nuovo partito sono confluite molte delle idee politiche che coltivava da anni, riguardo alla nazionalizzazione e alla giustizia sociale mentre per il suo stile carismatico e provocatore è stato al centro di diversi scontri. L’ultimo con Donald Trump riguardo al presunto genocidio bianco dei “farm attacks” in Sud Africa (BBC, 23.8.2018), per cui Malema ha ribattuto parlando di “genocidio nero” negli Stati Uniti. A ogni modo, la teoria sostenuta da Trump è stata da più fronti smentita, poiché è vero che dopo l’apartheid in Sud Africa le tensioni razziali sono notevoli e c’è un alto tasso di criminalità, tuttavia i bianchi sono colpiti in misura molto inferiore alla media ( https://africacheck.org/reports/are-white-afrikaners-really-being-killed-like-flies/), molte vittime delle rapine sono persone di colore e il movente è sempre la povertà, non una cospirazione politica.

 

 

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