Il parlamento pakistano nomina un nuovo primo ministro dopo la deposizione di Imran Khan, sfiduciato per la sua gestione dell’economia e della politica estera
L’impero del Centro fornisce alla Serbia sistemi missilistici terra-aria in base a un progetto annuale di cooperazione; l’Iran accusa gli Stati uniti di tentare di imporre nuove condizioni al di fuori dei negoziati internazionali
Pakistan: movimenti di vertice
L’11 aprile, il parlamento del Pakistan ha nominato nuovo primo ministro il capo dell’opposizione Shehbaz Sharif, esponente della Lega musulmana del Pakistan e fratello di Nawaz Sharif, che aveva ricoperto lo stesso incarico per tre volte. Il giorno prima, infatti, era stato deposto dalla stessa carica Imran Khan, del Movimento pakistano per la giustizia, dopo che il parlamento aveva votato la sfiducia nei suoi confronti accusandolo di cattiva gestione dell’economia e della politica estera. In suo favore, invece, hanno manifestato, oltre ai suoi sostenitori in patria, centinaia di pakistani residenti a Dubai e a Doha. Il parlamento, d’altronde, aveva tentato di sfiduciarlo il 4 aprile, anche in questo caso su proposta di una coalizione di deputati, tra i quali diversi ex esponenti del partito di Khan. Da mesi, il suo governo era alle prese con l’inflazione e l’esaurimento delle riserve di valuta estera, e a nulla erano valsi gli aiuti sauditi dello scorso ottobre: 4,2 miliardi di dollari, di cui tre depositati nella Banca centrale di Islamabad e 1,2 in forniture petrolifere a credito. Infatti, via via che l’aumento dei prezzi dei carburanti inaspriva le tensioni sociali, cresceva contestualmente l’opposizione parlamentare, finché il 3 aprile Khan aveva chiesto e ottenuto dal presidente Arif Alvi lo scioglimento del parlamento, che aveva appena proposto di sfiducia. Tuttavia, il 7 aprile la Corte suprema aveva dichiarato illegale la mossa dell’ex primo ministro, ponendo le basi per un ulteriore tentativo di sfiducia, le cui consultazioni erano inizialmente previste per il 9 aprile. Secondo Khan, sarebbe in atto una “cospirazione straniera” legata agli Stati Uniti, che non avrebbero gradito la sua politica estera poco accondiscendente, ma da Washington è prontamente giunta la smentita.
Serbia: armi convenzionali cinesi
L’11 aprile, il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato di aver consegnato alla Serbia “forniture militari convenzionali”, nel quadro di un accordo di cooperazione bilaterale con scadenze annuali, precisando che si tratta di progetti non legati agli attuali sviluppi geopolitci. Tali dichiarazioni sono state diffuse in risposta ad Associated Press (Ap), secondo cui Pechino aveva inviato a Belgrado un “sofisticato sistema antimissile”, suscitando in “Occidente” il timore che “una corsa agli armamenti nei Balcani mentre è in corso la guerra in Ucraina potesse minacciare la fragile pace nella regione. Tanto più che la Serbia, è “alleata della Russia”. Citando fonti militari, Ap ha riportato che sei aerei da trasporto strategico Y-20 dell’aviazione militare cinese sono atterrati il 9 aprile all’aeroporto civile di Belgrado, trasportando sistemi antimissile terra-aria HQ-22. Nessun commento finora dalla Serbia, che già nel 2020 era stata ammonita dagli Stati uniti a non acquistare simili armamenti dalla Cina, pena la messa in discussione del percorso di adesione all’Unione europea.
Iran: stallo nei negoziati internazionali
Il 10 aprile, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha accusato gli Stati uniti di voler imporre nuove condizioni al di fuori dei negoziati internazionali sul programma nucleare dellla Repubblica islamica, in cambio della rimozione delle sanzioni. Il giorno prima, durante un suo discorso in occasione del Giorno della tecnologia nucleare, il presidente iraniano Ebraim Raisi aveva dichiarato che Tehran non avrebbe rinunciato ai diritti nucleari propri e del suo popolo. Pertanto, aveva aggiunto, il governo sosterrà le ricerche nel settore, esclusivamente ad uso civile e pacifico. Gli Usa, che finora hanno rifiutato il dialogo diretto con l’Iran, hanno inserito di recente il corpo dei guardiani della Rivoluzione iraniana nella lista delle organizzazioni terroristiche. Secondo Jawaid Iqbal, professore di scienze politiche presso l’università musulmana di Aligarh, in India, citato dal quotidiano cinese China Daily, la ragione principale dello stallo nei negoziati internazionali sono le dinamiche “turbolente” della politica interna statunitense: lo scarso consenso di cui gode il presidente Usa Joe Biden, in parte legato al disastroso ritiro dall’Afghanistan, avrebbe rafforzato sia il partito repubblicano, sia la lobby israeliana, entrambi contrari ai negoziati internazionali con l’Iran.