Giustizia, fisco, concorrenza, appalti. I partiti fiutano già le elezioni e tentano di difendere interessi corporativi, mettendo a rischio il PNRR.
L’assegno da 21 miliardi di euro, prima tranche del Next Generation EU spettante all’Italia, è stato staccato lo scorso 13 aprile, con tanto di messaggio di congratulazioni da parte di Ursula von der Leyen. Non si trattava di un passaggio automatico: il versamento era legato al raggiungimento dei famosi 51 obiettivi previsti per il 2021 nell’ambito del PNRR, molti dei quali conseguiti nel terzo trimestre dell’anno scorso.
Nel 2022, tutto si raddoppia: per quest’anno gli obiettivi da raggiungere sono 102, le riforme da varare 66 e i miliardi della prossima rata 40.
Ed è proprio sulle riforme da attuare che potrebbero esserci problemi, per l’esecutivo guidato da Mario Draghi. Da diversi mesi i partiti della maggioranza sono sempre meno compatti nel sostenere l’esecutivo, complice anche l’appuntamento elettorale di marzo 2023. Il risultato di queste fibrillazioni è un “impaludamento” di molte riforme, per molte delle quali ancora non è iniziata la discussione in aula. Con annesso rischio di vedersi rifiutare dall’Europa le rate successive.
Ma quali sono queste riforme? Ecco una carrellata delle più importanti.
Giustizia: la rivolta delle toghe
Il primo grosso ostacolo riguarda la giustizia. Gli obiettivi che il Ministro Cartabia si era posta riguardavano una serie di storici punti dolenti: arginare lo strapotere delle correnti nel CSM, mettere un freno alle “porte girevoli” per i magistrati che passano dalle aule di tribunale alla politica (e viceversa), introdurre un sistema di valutazione per i magistrati. Tutti punti su cui si è fatta registrare la ferma contrarietà dei vertici della magistratura, le cui rimostranze hanno trovato supporto in alcuni partiti della maggioranza (soprattutto il M5S).
Al momento, l’unico partito che ha dichiarato l’intenzione di votare contro il testo, qualora risultasse così “snaturato” rispetto agli intenti originari è Italia Viva. I voti del partito di Matteo Renzi non sono numericamente indispensabili, ma resta il dato politico, ovvero il fatto che l’area più “garantista” del Paese è attualmente rappresentata solo da IV. Un’area la cui visione del problema si può leggere nell’editoriale di Piero Sansonetti su Il Riformista dello scorso 13 aprile: nell’articolo, Sansonetti punta il dito contro le correnti, e in particolare contro Magistratura Democratica, considerata la più potente in quanto “titolare”, fino a poco tempo fa, delle tre più importanti procure d’Italia (Milano, Roma e Napoli).
Concorrenza: stessa spiaggia, stesso mare
Il Consiglio dei Ministri aveva approvato il ddl concorrenza lo scorso 21 novembre, ma da allora i partiti hanno presentato circa un migliaio di emendamenti sui quali non si è ancora iniziato a votare. Tra i punti più contestati l’annosa questione dei titolari di stabilimenti balneari, una categoria che finora è sempre riuscita a sottrarsi all’applicazione della direttiva Bolkestein sulla concorrenza. Sono cambiati governi, maggioranze, schieramenti, ma la sostanza è rimasta finora la stessa: proroga delle concessioni in essere e nessuna gara. L’ultimo regalo era arrivato dal governo giallo-verde, che aveva prorogato le concessioni fino al 2034. Con annessi scandali che da anni vengono denunciati: canoni demaniali irrisori (due su tre pagano meno di 2500€/anno), barriere abusive per impedire l’accesso al mare, massiccio ricorso al lavoro in nero.
La riforma approvata dal CDM andrebbe a scardinare rendite di posizione pluriennali e tutelare maggiormente i consumatori, ma la resistenza dei diretti interessati è feroce, esattamente come quella dei partiti di riferimento: Lega e Forza Italia, storici difensori della categoria.
Altri punti di attrito riguardano i taxi, gli NCC e il trasporto pubblico locale.
Appalti
Questa riforma è quella in migliore stato di avanzamento (approvata dal Senato ad inizio marzo), ed ha un’importanza doppia: l’Italia è attualmente sotto procedura di infrazione da parte dell’UE per alcune norme che violerebbero la legislazione comunitaria, e dunque la riforma, se approvata in tempo, non solo rappresenterebbe un altro tassello nel percorso, ma eviterebbe anche sanzioni pecuniarie al Paese. La deadline per l’approvazione è giugno 2022.
Fisco: destra in fibrillazione su catasto e flat tax
Anche in materia fiscale è il centrodestra l’area in maggior fibrillazione.
Sulla riforma del catasto, nonostante le ripetute rassicurazioni di Draghi, Lega e Forza Italia continuano ad agitare lo spauracchio dell’aumento delle tasse, tema su cui insiste molto anche Giorgia Meloni.
Altro punto critico è la flat tax: il governo pare intenzionato a mantenere il regime forfettario a 65.000€, ma ci sono divergenze d’opinione con altri partiti della maggioranza sul cosa fare per chi supera quella soglia.