Stupri di guerra: la guerra silenziosa contro le donne

Stupri di guerra all’ordine del giorno in Ucraina, la guerra silenziosa contro le donne.

La guerra in Ucraina sta sconcertando il mondo con immagini crude e violente. Tuttavia, non si combatte più solo con le armi e le donne e i loro corpi diventano un campo di battagli altrettanto cruento.

Una certezza quasi data per scontata, che si manifesta in una tale brutalità che ad oggi è difficile anche solo immaginare, eppure, là dove ci sono le guerre ci sono anche gli stupri, perché nei conflitti il corpo delle donne diventa un campo di battaglia. Diventano quindi vittime, bersagli strategici da colpire per terrorizzare i civili, per distruggere le comunità.

Gli stupri di guerra

Era il 28 marzo scorso, quando iniziavano ad arrivare le testimonianze di donne stuprate e poi impiccate dai soldati russi nel villaggio di Brovary, a soli 20 chilometri da Kiev. Nelle città di Bucha e Irpin, si legge su La Repubblica, “le violenze sarebbero state perpetrate anche contro donne anziane, ancora più vulnerabili perché impossibilitate a fuggire”. Secondo alcune testimonianze, queste donne sarebbero state violentate a turno da un gruppo di soldati russi, devastate a tal punto da decidere in seguito di togliersi la vita. “Una donna avrebbe raccontato di essere stata violentata di fronte alla figlia dopo che i soldati russi le avevano ucciso il marito”.

La Russia respinge ogni accusa

Se gli stupri di guerra sono un fatto assodato e le testimonianze più vere che mai, la Russia dal canto suo nega tutto. Di fatto, come riporta La Repubblica, le autorità russe continuano a respingere tutte le accuse dicendo che gli ucraini mentono sugli attacchi contro i civili. Non dimentichiamo infatti che la Russia continua a definire quella che ormai è una vera e propria guerra “operazione militare speciale” per denazificare l’Ucraina.

Le accuse di stupro non sono state ancora confermate da fonti indipendenti e molti ricordano come la violenza sessuale sia spesso rientrata nella propaganda di guerra. Tuttavia, Human Rights Watch (l’organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani) avrebbe sottolineato che le truppe russe si sarebbero già macchiate di reati sessuali in passato, soprattutto durante la guerra in Cecenia. Nel frattempo, si legge, “il procuratore capo della Corte penale internazionale, la cui autorità non è riconosciuta né dai russi né dagli americani, è arrivato a Leopoli per raccogliere prove su presunti crimini di guerra commessi dall’esercito di Mosca”.

Le testimonianze

Sono in tanti a raccontare di donne portate via, ma con i miei occhi questo non l’ho visto. Io sono riuscito a mettere in salvo mia moglie e una figlia, mentre i miei genitori sono rimasti a Kherson con l’altra perché non c’era modo di far uscire anche loro. Non potete immaginare quanto stia soffrendo per questo: non poter fare nulla per loro senza avere nemmeno notizie”, racconta Roslan fuggito a Kherson da Odessa al Corriere della Sera.

Una donna, invece, identificata dal Corriere della Sera con il nome di fantasia Olha, ha raccontato a Human Rights Watch che un soldato russo l’ha violentata ripetutamente in una scuola nella regione di Kharkiv dove lei e la sua famiglia si erano rifugiati il 13 marzo. Spiega che “il militare l’ha stuprata, picchiata e le ha tagliato la faccia, il collo e i capelli con un coltello”.

A 15 soldate liberate in uno scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca il 1° aprile, invece, è stata rasata la testa. A darne notizia il presidente della Commissione diritti umani del parlamento ucraino, Dmytro Lubinets, che ha diffuso le immagini tramite i social media, scrivendo “Lo hanno fatto in segno di umiliazione, arroganza e disprezzo”.

Le modalità con cui vengono compiute le violenze sessuali sembrano essere particolarmente brutali, con un livello di violenza in molti casi inaspettato”, ha detto Kateryna Busol, ricercatrice del centro studi inglese Chatham House ed esperta di diritto internazionale a Il Post, parlando dei soldati russi accusati di compiere gli stupri dopo aver ucciso i familiari delle donne, oppure di fronte a loro. Secondo Busol si tratterebbe di una “strategia politica ben precisa, volta a degradare e umiliare non solo la donna e i suoi familiari, ma in qualche modo tutto il popolo ucraino”.

Perché si verificano gli stupri di guerra

Lo scopo, come hanno riportato vari studiosi nel corso degli anni, è quello di umiliare e dominare, sancire l’esuberanza dell’uomo rispetto alla donna. Tuttavia, vi sono altre motivazioni più intrinseche e forse altrettanto arretrate e brutali, come ad esempio il loro “scopo” nei conflitti bellici. Lo stupro di guerra, come riporta La Repubblica, avrebbe “l’intento di generare vita, di far nascere figli. Per i nazionalisti le donne sono anzitutto generatrici e riproduttrici, il loro ruolo è quello di essere madri della nazione”.

Mettere incinta una donna, significherebbe infatti “contaminare l’etnia, affermare la supremazia di un popolo su un altro” e dunque distruggere una comunità.

Le dichiarazioni del Premio Nobel per la Pace Nadia Murad

In una lunga intervista per La Repubblica, il Premio Nobel per la Pace Nadia Murad ha espresso tutto il suo supporto verso le donne vittime di stupri di guerra.

Donne ucraine, non siete sole. Conosco bene le vostre sofferenze. Non vi dimenticheremo. E continuerò a lottare per voi, dopo le terribili violenze che avete subito – promette Nadia Murad – ma affinché ciò non accada mai più, dovremo cambiare anche noi e la nostra società patriarcale. E lo stupro deve essere considerato un crimine contro l’umanità“.

La storia di Nadia Murad è altrettanto brutale, attivista per i diritti umani, nell’agosto del 2014 alla sola età di 21 anni venne rapita e tenuta in ostaggio da parte dello Stato Islamico. Nadia diventò una delle 6,700 e più donne yazide fatte prigioniere dell’Isis in Iraq, fatta schiava nella città di Mosul, fu picchiata, ustionata con mozziconi di sigarette e stuprata dagli uomini dell’ISIS.

Oggi, Nadia si batte per tutelare i diritti delle donne e nonostante abbia ricevuto numerose minacce per via del suo impegno alla causa, continua la sua battaglia.

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