Terreni confiscati alle Mafie, la storia della cooperativa “Michele Cianci”

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La legge 109 del 1996, approvata il 7 marzo di quello stesso anno, prevede che i beni che lo Stato ha confiscato alla mafia possano essere riutilizzati per scopi sociali. La 109 era stata presentata da alcuni deputati e promossa, attraverso una campagna di raccolta di firme, dall’associazione Libera, fondata da Don Ciotti, nel suo primo anno di vita. L’obiettivo era togliere i patrimoni accumulati dalle organizzazioni criminali con le loro attività illecite e “restituire il maltolto” alla società. Per farlo, però, bisognava cambiare alcune norme antimafia aggiungendo dei tasselli.

A Cerignola, in provincia di Foggia, ancora oggi i clan, specializzati nel traffico di sostanze stupefacenti, hanno radici molto forti. Si tratta di un territorio difficile, con storie complicate e molte vittime della Mafia e del Caporalato. Eppure qui, su un terreno di otto ettari confiscato alla criminalità organizzata, si coltivano zucchine e melanzane per farne conserve, melograno per estrarne il succo e si produce olio.

Il terreno è stato dato in gestione alla cooperativa sociale agricola Alterecco – fondata nel 2008 da Vincenzo Pugliese e da tre altri soci – ed è stato ribattezzato “Michele Cianci”, in memoria di un commerciante ucciso a freddo nel 1991. Si tratta già del secondo territorio che la cooperativa ha avuto in gestione. Durante la vendemmia di fine 2021 sono state prodotte le prime 2.300 bottiglie di Rosso Libero. Ma come si fa ad ottenere un terreno confiscato? Nel caso di “Michele Cianci”, il Comune di Cerignola ha partecipato al bando della Regione Puglia “Cantieri innovativi di antimafia sociale”, vincendolo con il progetto “La strada. C’è solo la strada su cui contare”. La cooperativa sociale, insieme alla cooperativa di formazione Medtraining ed il servizio di volontariato foggiano, è partner del progetto in questione. Molti altri progetti come questo sono fioriti nelle regioni più colpite dal fenomeno mafioso.

Lo scopo che si è prefisso “Michele Cianci” è quello di inserire sul piano lavorativo persone appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate: chi proviene dal circuito penale, tossicodipendenti, migranti, vittime di sfruttamento di vario genere. Sono loro a coltivare i terreni, mentre il personale della cooperativa li accompagna in percorsi di rieducazione, dimostrando che si può vivere anche del proprio lavoro. Dice Vincenzo Pugliese: “Abbiamo voluto fondare questa cooperativa perché quando nasci in determinati luoghi devi decidere da che parte stare. Se decidi di rifiutare questo sistema ma poi non fai nulla, in realtà sei dalla parte della criminalità. Puoi invece decidere di agire, le leggi sui terreni confiscati ce ne hanno dato l’opportunità”.

Sono quasi mille le realtà che gestiscono beni confiscati. Associazioni, cooperative sociali, parrocchie, diocesi, gruppi scout, è la bella Italia che, nei territori più infestati dai clan, offre lavoro ed una speranza per il futuro.

Giulia Cortese

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