Londra e Bruxelles tentano di rafforzare le relazioni bilaterali con New Delhi: all’ordine del giorno ci sono soprattutto commercio, tecnologia, sicurezza
Tensioni latenti, ma ancora sensibili, tra indu e musulmani, mentre una commissione statunitense accusa il governo indiano di vessare le minoranze religiose
Unione europea: cooperazione strategica
Il 24 aprile, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è recata in India per due giorni di incontri diplomatici con il primo ministro Narendra Modi, il presidente Ram Nath Kovind e il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar. Von der Leyen, inotre, ha partecipato alla conferenza multilaterale annuale Raisina Dialogue, che quest’anno coincide con il sessantesimo anniversario delle relazioni tra l’Unione europea (Ue) e New Delhi. Per questo, in apertura della sua dichiarazione al termine dell’incontro con Modi, von der Leyen ha sottolineato gli elementi comuni che fondano il legame tra il vecchio continente e il subcontinente asiatico: democrazia, sostegno al diritto internazionale e grandi sistemi economici in un contesto globale in via di trasformazione. Per Bruxelles, dunque, rafforzare il partenariato strategico con l’India è una delle priorità, in particolare nel contrasto al cambiamento climatico e nei settori chiave del commercio, della tecnologia e della difesa. Tra i temi discussi, c’è anche la crisi sul fronte europeo orientale, che l’Ue percepisce come una minaccia diretta alla propria sicurezza: «faremo in modo che l’aggressione non provocata e ingiustificata contro l’Ucraina sia un fallimento strategico», ha precisato von der Leyen, chiarendo che le sanzioni «massicce, dure ed efficaci» imposte alla Russia sono inserite in una strategia più ampia, che include aspetti diplomatici e militari. Secondo la presidente della Commissione europea, infatti, questo conflitto si ripercuote sull’Indo-Pacifico, a livello sia economico, sia geopolitico. Il riferimento è alla Cina, i cui rapporti con la Russia inquietano Bruxelles, al pari della sua assertività geostrategica.
Polemiche per la visita di Boris Johnson in India
Il 21 e il 22 aprile, era stato il primo ministro britannico Boris Johnson a visitare l’India, cercando di intensificare le relazioni commerciali tra Londra e New Delhi, nel tentativo di allentare i suoi legami economici e militari con la Russia. Già annunciato un accordo di cooperazione da un miliardo di sterline, che comprende investimenti nei settori sanitario e tecnologico, ma tra i due paesi sono in corso, da gennaio, trattative su un trattato di libero scambio. L’India, del resto, è parte integrante del progetto Global Britain, visione strategica e di proiezione della potenza britannica su scala globale improntata sul Commonwealth. Come von der Leyen, Johnson ha sottolineato la necessità di un’alleanza tra le democrazie contro le minacce alla pace da parte degli Stati autoritari. Russia, quindi, ma anche (e soprattutto) Cina. Tuttavia, secondo il quotidiano britannico The Guardian, ha sollevato polemiche la fotografia di Johnson che si sporgeva dalla cabina di un escavatore prodotto dalla JCB, il giorno dopo che sette di quegli escavatori avevano abbattuto negozi e abitazioni di indiani musulmani ad Ahmedabad e la porta di una moschea nell’area di Jahangirpuri, a New Delhi, nonostante lo stop della Corte suprema. A ordinare le demolizioni erano state le autorità dello Stato del Gujarati, governato dal partito nazionalista indù (Bharatiya Janata Party, Bjp), cui appartiene anche Modi. Tali pratiche, infatti, fanno parte della politica dei governi locali di altri due Stati, il Madhya Pradesh e l’Uttar Pradesh, secondo una dinamica costante: manifestazioni anti-musulmane dei nazionalisti indu, seguite dalla demolizione di proprietà della minoranza musulmana.
La spinosa questione delle minoranze religiose
Ancor più critico riguardo la visita di Johnson in India, è l’articolo di Peter Oborne pubblicato da Middle East Eye, in cui si parla del «vergognoso silenzio» del premier britannico sulla «campagna anti-musulmana» di Modi. Quest’ultimo, secondo Oborne, ha portato l’India sulla via del conflitto con la numerosa minoranza musulmana (circa 200 milioni di persone). Scontri come quelli esplosi ad aprile tra musulmani e indu, infatti, non sono rari in India. Per questo, per il terzo anno consecutivo, la Commissione statunitense sulla libertà religiosa internazionale (Uscirf) ha invitato il Dipartimento di Stato a definirla, assieme ad altri 14 Stati (tra cui Cina, Iran, Pakistan, Russia, Arabia saudita e Siria), «un paese di particolare interesse», poiché il governo «impiega o tollera» sistematiche violazioni ai danni delle minoranze confessionali. In India, si legge nell’ultimo rapporto dell’Uscirf, la situazione è notevolmente peggiorata nel 2021, anche perché il governo porta avanti «la sua visione ideologica di uno Stato indu», avvalendosi peraltro di una legislazione ostile alle minoranze religiose. In particolare, il partito di Modi, è accusato di caldeggiare gruppi nazionalisti indu, imponendo una politica settaria, che mette a repentaglio la sicurezza delle altre confessioni. Nondimeno, in nome dell’utile alleanza con l’India in funzione anti-cinese, le amministrazioni statunitensi non hanno accolto le indicazioni dell’Uscirf, bollate dal ministero degli Esteri indiano come tendenziose e frutto di rappresentazioni fuorvianti.