Turchia-Arabia saudita: l’occasione del disgelo

Dopo oltre un decennio di tensioni e di falliti tentativi di dialogo, Ankara e Riyadh sembrano definitivamente avviate verso la riconciliazione

Superata la rottura provocata dal caso Khashoggi, i due paesi si concentrano sulla geopolitica mediorientale e sulle opportunità economiche future

Profilo basso

Il riavvicinamento tra Turchia e Arabia saudita fa parte di un ampio e intricato progetto di ridefinizione degli equilibri regionali, portato avanti da Ankara tramite il suo ministro degli Esteri Mevlut Çavuşoğlu. La visita del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan in Arabia saudita, lo scorso 28 aprile, la prima dal 2017, si inserisce dunque in un contesto di distensione nelle relazioni tra Ankara e i suoi rivali storici, in particolare Israele, Emirati arabi uniti (Eau), Arabia saudita e Armenia. Infatti, il primo maggio, Çavuşoğlu ha annunciato che, dopo i «progressi» con Riyadh e Abu Dhabi, ora è la volta dell’Egitto, con cui «il processo (di distensione) è iniziato prima ma è andato avanti più lentamente». Allo stato attuale, ha spiegato il ministro, con gli Eau e con il Bahrein il percorso è stato più rapido, mentre, quanto all’Arabia saudita, «normalizzare le nostre relazioni fa parte della nostra strategia». Dopo il trasferimento del processo per l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi (residente negli Stati uniti e collaboratore del Washington Post) al consolato saudita di Istanbul, sembra dunque che Ankara e Riyadh siano sul punto di voltare pagina dopo oltre un decennio di tensioni, iniziate con l’ascesa, dopo le cosiddette primavere arabe, dei partiti ispirati all’islam politico (come i Fratelli musulmani), sostenuti dalla Turchia. Contrasti diplomatici alimentati dalle continue accuse turche alle monarchie del Golfo di ignorare la questione palestinese per ragioni di interesse, ma sfociati in rottura dopo l’affaire Khashoggi. Contestualmente, peraltro, la Turchia aveva stretto intese con il Qatar, dove aveva stabilito una sua base militare e sul cui denaro contava per dare linfa vitale a un’economia in declino, e, sia pure con maggior diffidenza, con l’Iran, con il quale aveva portato avanti il processo di Astana, per la soluzione politica del conflitto siriano.

Gli affari del signor Recep Tayyip Erdoğan

Anche se la visita di Erdoğan in Arabia saudita non ha comportato la stipula di accordi, è significativa l’intenzione espressa da Ankara e Riyadh di inaugurare «una nuova era» nelle relazioni bilaterali, stabilendo una cooperazione che dovrebbe investire più settori, a partire da quello commerciale e finanziario: un passo da cui la Turchia spera di ottenere la fine del boicottaggio dei prodotti turchi, deciso silenziosamente dall’Arabia saudita dopo la netta presa di posizione di Ankara contro Riyadh nel caso Khashoggi. La normalizzazione implicherebbe dunque benefici immediati per l’economia e le finanze turche, aprendo la via agli investimenti della monarchia saudita e, auspicabilmente, una ripresa dei commerci, che potrebbero riguardare anche l’industria della Difesa. Del resto, Ankara punta in misura crescente sulla sua emergente industria degli armamenti, in particolare sulla produzione di droni, come strumento di proiezione delle proprie velleità geostrategiche. In tal modo, la Sublime porta cerca di trarre un vantaggio indiretto dall’aumento dei profitti delle petromonarchie del Golfo (dovuto all’aumento dei prezzi del petrolio), non solo attirandone gli investimenti, ma anche tentando di aprire un mercato turistico promettente, in sostituzione di quello russo, attualmente reso assai difficile dalle sanzioni euroatlantiche che colpiscono Mosca. Tanto più che, dal 2021, il Qatar è stato reintegrato nel Consiglio di cooperazione del Golfo, dopo quattro anni di crisi diplomatica.

Fronte anti-iraniano

Secondo il quotidiano turco Daily Sabah, tra i motivi che rendono necessario un riavvicinamento turco-saudita c’è l’aumento del peso geopolitico di Ankara in Medio Oriente. Non solo per i «successi» ottenuti dall’industria della Difesa turca, ma anche, e forse soprattutto, per i traguardi conquistati dalla Turchia nei suoi interventi in alcuni conflitti regionali, come quelli in Siria e in Libia, o come le proposte di mediazione tra Russia e Ucraina. Inoltre, sia Riyadh, sia Ankara hanno perso gran parte della loro fiducia negli alleati occidentali e cercano intese diverse per mantenere la propria indipendenza. Ad esempio, la Turchia potrebbe essere per l’Arabia saudita una fonte alternativa per l’acquisto di armamenti. Nondimeno, tra gli aspetti più significativi del riavvicinamento tra Ankara e Riyadh c’è la questione dell’Iran, percepito come una minaccia tanto dalle monarchie del Golfo, quanto da Israele, dove è prevista una visita ufficiale di Çavuşoğlu per il 24 marzo. Come per il conflitto ucraino, dunque, la Turchia potrebbe proporsi come mediatrice anche, ad esempio, per la guerra in Yemen o, almeno nelle intenzioni di Ankara, per la spinosa questione del programma nucleare iraniano. Similmente, a fine febbraio Erdoğan aveva ventilato l’ipotesi che la normalizzazione turco-israeliana potesse condurre a una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese, che sarebbe stato uno dei potenziali argomenti di discussione durante i colloqui bilaterali. L’obiettivo, ufficialmente, è la «stabilità» nella regione, ma in ballo potrebbe esserci, al contrario, uno stravolgimento del suo assetto geopolitico.

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