Quaranta giorni di lutto nazionale e bandiere a mezz’asta negli Emirati arabi uniti, per dire addio alla «guida dell’emancipazione»
Emiro di Abu Dhabi e presidente degli Emirati dal novembre 2004, dal 2008 investitore attivo nel calcio estero, dal 2014 sostituito di fatto da suo fratello, il principe ereditario e ministro della Difesa Mohammed bin Zayed, che ora gli succederà anche formalmente alle redini del paese
Cordoglio internazionale
Il 13 maggio, all’annuncio della morte dell’emiro di Abu Dhabi e presidente degli Emirati arabi uniti (Eau) shaykh Khalifa bin Zayed Al Nahyan, le autorità hanno disposto una chiusura di tre giorni per ministeri e uffici e quaranta giorni di lutto nazionale, con bandiere a mezz’asta. «Invero apparteniamo a Dio e invero a lui ritorneremo», ha commentato sulla rete sociale Twitter il suo successore, ex principe ereditario Mohammed bin Zayed, «gli Emirati hanno perso il loro figlio virtuoso, la guida della fase dell’emancipazione e il custode del suo cammino benedetto. Le sue posizioni, i suoi successi, la sua saggezza, la sua generosità e le sue iniziative sono in ogni angolo della nazione. Khalifa bin Zayed, fratello mio, mio mentore e maestro, che Dio abbia pietà di te nella vastità della sua misericordia e che ti accolga nella sua soddisfazione e nel suo paradiso». Sulla stessa linea, il tweet dell’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid Al Maktoum: «con i nostri cuori pieni di rammarico e con le anime fiduciose nella volontà e nella potenza di Dio, esprimiamo il nostro cordoglio al popolo degli Eau, alle nazioni arabe e islamiche e al mondo, per la morte del presidente del nostro paese sheykh Khalifa bin Zayed Al Nahyan, guida del nostro cammino. O Dio, egli ha compiuto il suo viaggio presso di te. Rendi onorevole il suo arrivo. Aprigli le porte. Assicurargli la massima ascesa al paradiso». Manifestazioni di di cordoglio sono giunte inoltre dai capi di Stato e di governo arabi, dall’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) e dai principali leader mondiali, tra i quali il presidente statunitense Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron. In Francia, peraltro, aveva finanziato, con circa 10 miliardi di dollari, i restauri del teatro del castello di Fontainebleau, che, in cambio, è stato a lui intitolato.
La «guida dell’emancipazione»
Il regno ventennale di Khalifa bin Zayed, succeduto al padre Zayed bin Sultan (fondatore degli Eau), è stato caratterizzato da una progressiva emancipazione degli Emirati rispetto allo storico predominio saudita nel Golfo, accrescendone il peso geopolitico mediante un sapiente equilibrio nelle relazioni internazionali. Sul piano interno, inoltre, ha spianato la via alla supremazia dell’emirato di Abu Dhabi, favorendo al contempo lo sviluppo economico e finanziario dell’emirato di Dubai. In tal modo, a differenza di Riyadh, gli Eau hanno differenziato la loro economia, evitando di far dipendere i loro introiti esclusivamente dai proventi del petrolio (la schiacciante maggioranza delle riserve si trovano nel territorio di Abu Dhabi). È questa dunque la sostanza del suo epiteto «guida dell’emancipazione»: come suo padre aveva fondato gli Eau, così Khalifa bin Zayed ne aveva fatto una pedina indispensabile nel Golfo, anche grazie alla sua capacità di utilizzare i proventi del petrolio per attrarre centri culturali e accademici, come parte del museo del Louvre e sezioni satelliti dell’Università di New York e della Sorbona. Come direttore dell’Arab Investment Fund, soprattutto dal 2008 Khalifa bin Zayed si era lanciato negli investimenti nel calcio estero, facendone uno dei pilastri del soft power emiratino. Nel 2009, inoltre, affrontò la crisi finanziaria globale, salvando Dubai dall’indebitamento: al punto che il celebre grattacielo Burj al-Arab (Torre degli arabi) è stato ridenominato Burj Khalifa in suo onore. Nondimeno, un cablogramma dello stesso anno, diffuso da Wikileaks, l’allora ambasciatore statunitense negli Eau lo definì «distante e non carismatico». Inoltre, nel 2016 è stato coinvolto negli scandali legati ai Panama Papers: in un documento nominava lo studio legale Mossak Fonseca fiduciario della Boston House Properties Limited. Ma il suo regno è rimasto impresso anche per l’esperimento delle prime elezioni della storia del paese, nel 2006.