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La resa del Battaglione Azov e quello strano saluto della Kalush Orchestra all’Eurovision

Finito l’assedio di Mariupol, la città è in mano russa Dopo 82 giorni il Battaglione Azov ha lasciato l’acciaieria Azovstal,...

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Finito l’assedio di Mariupol, la città è in mano russa

Dopo 82 giorni il Battaglione Azov ha lasciato l’acciaieria Azovstal, dove si era rinchiusa dall’inizio della guerra con oltre mille civili, usati come scudi umani. Non sono bastati gli appelli internazionali e dal palco dell’Eurovision per un’uscita dignitosa dei militari, che si sono arresi come chiedeva Mosca.

Il Battaglione Azov si è arreso ed ha lasciato l’acciaieria Azovstal dopo 82 giorni. La Federazione Russa aveva chiesto di consegnarsi disarmati e così è stato. Circa 300 soldati appartenenti al Battaglione Azov sono usciti dall’Azovstal, i feriti hanno ricevuto i primi soccorsi dai soldati russi e quelli della Repubblica popolare di Donetsk, poi sono stati trasportati su dei pullman verso l’ospedale regionale centrale di Novoazovsk. Gli altri prigionieri sarebbero stati trasportati in direzione di Yelenovka. Giorni fa era finito l’incubo dei civili che erano nei sotterranei dell’acciaieria dall’inizio della guerra. Mariupol è ora libera ed è in mano russa. Gli abitanti apprezzano il lavoro dei militari russi e li ringraziano, continuando a raccontare di come siano stati usati come scudi umani dai militari del Battaglione Azov, che hanno occupato case, ospedali e scuole, cacciando le persone, uccidendole e rendendo gli edifici civili obiettivi militari.

Le autorità ucraine parlano di operazione riuscita. Il comandante dell’Azov, Denis Prokopenko, ha dichiarato che, “per salvare vite umane, la guarnigione sta attuando la decisione approvata dal comando supremo, sperando nel sostegno del popolo ucraino”. L’ordine di arrendersi è arrivato dall’alto. Per settimane, i militari chiusi nell’Azovstal avevano detto che la resa non era un’opzione e chiedevano dei corridoi umanitari per uscire insieme ai civili che stavano usando come scudi umani. Avevano anche chiesto di essere liberi di dirigersi in un paese terzo o in Ucraina. Proposta che la Federazione Russa ha ovviamente rifiutato, poiché in guerra si fanno prigionieri, è bene ricordarlo a chi si chiede che fine faranno i militari dell’Azov. Appelli per farli uscire erano stati lanciati anche da parte del presidente ucraino Zelensky, che sperava in un intervento internazionale per salvarli. Le mogli dei militari si sono rivolte addirittura a Papa Francesco, che le ha ricevute in udienza, chiedendo a lui di fare qualcosa. Le interviste che i media italiani hanno fatto alle donne dell’Azov erano mirate anche alla semplificazione degli ideali nazisti del battaglione. Nulla è stato chiesto sui crimini di guerra perpetrati dal 2014 in Donbass, di cui sono accusati i loro mariti. Nel frattempo, continuavano ad emergere foto di militari con i simboli nazisti, tatuati sul corpo, appesi come stendardo sulle divise dei militari o stampate sulle attrezzature dell’esercito. Gli stessi simboli sono stati usati dal 18enne suprematista Payton Gendron, che a Buffalo, negli Stati Uniti, ha ucciso dieci afroamericani. Imbarazzanti le giustificazioni di alcuni ucraini che hanno detto che la svastica è un simbolo antico. Lo è, ma per la cultura induista, non per quella Ucraina. Quella che i militari hanno inciso a fuoco sul corpo di una donna, in una scuola di Mariupol usata dall’Azov come base militare, non era un simbolo induista. In Europa la svastica vuol dire sei milioni di ebrei torturati e uccisi, senza contare le altre minoranze che hanno subìto la stessa sorte nei campi di sterminio.

Il cantante della Kalush Orchestra e quello strano saluto all’Eurovision

È circolato, il 16 maggio, un video in cui un soldato ucraino cantava, ancora rinchiuso nell’Azovstal, la canzone Stefania della Kalush Orchestra, vincitrice dell’Eurovision. Si tratta di Dmytro ‘Orest’ Kozatskyi, di cui si possono trovare foto con magliette naziste e una torta decorata con una svastica. Una vittoria scontata, quella della Kalush Orchestra, di cui perfino Zelensky si è occupato, lanciando un appello per far vincere l’Ucraina. Era forse poco impegnato con la guerra e si è potuto occupare di una manifestazione canora che da sfigata è diventata, negli ultimi anni, una kermesse importante. La canzone Stefania è un mix di folk e rap. Al di là della qualità, perché qualsiasi cosa avessero cantato sarebbe stata vincente, ciò che preoccupa è che all’Ucraina tutto è concesso. Il cantante Oleh Psiuk, dopo l’esibizione, ha fatto un appello per aiutare Mariupol e l’Azovstal “subito”, violando il regolamento dell’Eurovision che vietava qualsiasi riferimento alla politica. Si era parlato addirittura di squalifica per l’Ucraina, ma l’appello è stato fatto passare come umanitario e non politico. Come se nell’Azovstal non vi fossero militari in guerra che inneggiano al nazismo. Ciò che è passato inosservato, invece, è quello che sembra  un saluto romano di stampo fascista, offerto dal cantante sul palco di Torino. Una strana coincidenza. In ogni caso, in Italia quel saluto significa morte, razzismo, persecuzione e distruzione. Ed è bene ricordarlo. 

Sembra che agli ucraini tutto sia concesso, perché è un paese aggredito che sottolinea in ogni occasione di essere vittima. “Porta rispetto perché sono Ucraina”, ha detto una donna che era stata criticata per l’adorazione nei confronti di Stepan Bandera, in un talk show italiano. Bandera era un nazista che ha collaborato con Hitler uccidendo migliaia di polacchi, che lo hanno accusato di genocidio. A sterminarli, in un’operazione che voleva cacciare i non ucraini dal Paese, fu l’Esercito popolare ucraino (UPA), il cui capo politico era Stepan Bandera. L’UPA salutava i suoi soldati morti con il motto Slava Ukraïni! Herojam slava! Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi, utilizzato di nuovo oggi in tutto il mondo. 

In Ucraina lo chiamano ancora “nostro padre Bandera”. La canzone vincitrice dell’Eurovision, scritta per la madre del cantante del gruppo, in rappresentanza di tutte le madri ucraine, si intitola invece Stefania. Papà Stefan e mamma Stefania. Sarà anche questa una strana coincidenza.

Lo sdoganamento del nazismo in Europa è cominciato all’inizio di questa guerra. Chissà se tra qualche anno chiunque potrà fare il saluto romano. Tanto, se lo fanno gli ucraini. 

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