(Dis)ordini mondiali. Guerra da poveri

Molti analisti lanciano l’allarme sui rischi sempre meno remoti di recessione mondiale, o di frantumazione del mercato globale in tanti mercati regionali

Alcuni paesi si dirigono verso un sistema commerciale chiuso, mentre altri, come l’Albania, si districano tra bombe sociali e pressioni esterne

Profitti armati

L’edizione di quest’anno del rapporto EuroMemorandum 2022, redatto dalla rete europea di economisti EuroMemo Group, analizza il difficile scenario dell’Unione europea (Ue), complicato da due anni di misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria e dalle conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina. Di quest’ultima, in particolare, vengono analizzate le cause prossime e remote, nonché le conseguenze a breve e a lungo termine, in primo luogo la bomba sociale che incombe sulle economie avanzate, cresciute nel quadro del mercato globale. Nel rapporto, si sottolinea pertanto l’urgenza per l’Ue di impedire un’estensione del conflitto e di promuovere attivamente una soluzione diplomatica duratura. Il memorandum, inoltre, rileva un fallimento della cooperazione multilaterale su questioni cruciali come la pandemia e il cambiamento climatico, mentre, a proposito della guerra in Ucraina, esorta a riconsiderare le sanzioni e le loro conseguenze sulle economie europee. Infine, si fa cenno ai «massicci programmi finanziari di spesa per la difesa e il riarmo, ulteriormente rafforzati dalla Dichiarazione di Versailles». Soprattutto in Germania, dove il cancelliere Olaf Scholz ha stanziato 100 miliardi di euro per l’acquisto di armi per l’esercito tedesco. Di questo pacchetto, secondo Armin Papperger, direttore della Rheinmetall (i cui proventi per il 2022 ammonteranno, secondo le previsioni, a 142,9 miliardi di euro), la sua industria potrebbe riceverne 42. La Rheinmetall, peraltro, possiede la Rheinmetall Waffe Munition (RWM), che a Iglesias, in Sardegna, produce bombe destinate alla guerra in Yemen. Il 10 maggio, davanti alla sede di Bonn di questa importante compagnia tedesca, un gruppo di pacifisti ha organizzato una manifestazione contro la corsa al riarmo in Germania e in Europa. Frattanto, il sito Dirt Diggers Digest ha messo in luce una tendenza globale a riabilitare l’immagine dell’industria degli armamenti, contrariamente agli auspici di pace successivi alla fine della guerra fredda.

Albania: prendi i soldi e scappa

Se il Fondo monetario internazionale ha previsto per il vecchio continente gravi ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, con rischi di recessione per Italia, Francia e Germania, al di fuori dell’area Ue, l’Albania si districa fra tensioni sociali, arresti massicci nell’ambiente del crimine organizzato e pressioni euroatlantiche per la rottura delle (proficue) relazioni economiche con la Russia. Di recente, il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di avviare ufficialmente i negoziati per l’adesione all’Ue di Tirana e Skopje, sulla base del «contesto geostrategico» prodotto dal conflitto ucraino e dal conseguente deterioramento delle relazioni con Mosca. In particolare, nell’Albania Bruxelles vede un significativo potenziale di sviluppo sostenibile nei settori di agricoltura e allevamento, al punto da stanziare 112 milioni di euro nel quadro del programma di modernizzazione IPARD III. Tuttavia, la popolazione resta in buona parte diffidente, temendo di perdere il controllo di un settore che, sin dal secondo dopoguerra, è stato trainante per l’economia locale, costituendo uno dei pilastri del sistema autarchico concepito dall’ex presidente Enver Hoxha. Come, d’altronde, la produzione petrolifera, in cui negli ultimi anni si è insinuata la Cina, che nel 2016 ha acquisito i diritti di sfruttamento del giacimento di Kuçovë dalla canadese Bankers Petroleum (che ha mantenuto i suoi centri strategici a Calgary), per 442,34 milioni di dollari. Il gestore dello stabilimento resta però la compagnia di Stato albanese Albpetrol, accusata recentemente dagli abitanti dei dintorni di non curare la manutenzione per evitare che le perdite inquinino le aree circostanti.

Un paese (di nuovo) strategico

Inoltre, Tirana subisce le pressioni di Europa e, soprattutto, Stati uniti, per l’interruzione, o almeno la drastica riduzione, delle relazioni commerciali con la Russia. Eppure, dall’inizio del conflitto ucraino, l’Albania ha raddoppiato le importazioni da Mosca, non solo di grano, ma anche di acciaio e di ferro. Frattanto, la Commissione per gli investimenti strategici guidata dal premier albanese Edi Rama, per rilanciare il turismo, ha comunicato di aver iniziato, dallo scorso anno, a prendere in considerazione l’abolizione delle protezioni per le aree costiere. L’obiettivo è incoraggiare gli investimenti privati, anche stranieri, ma gli abitanti delle principali località marittime temono un ritorno ai tempi delle privatizzazioni selvagge lanciate dall’ex premier Sali Berisha, che sprofondarono il paese nella guerra civile e nello scontro tra bande criminali. Faide che sembravano tornare alla ribalta, in un contesto sociale dissestato da due anni di pandemia e dallo scricchiolamento del mercato globale causato dallo scontro russo-atlantico. Il 19 maggio, la procura speciale anti-corruzione Spak ha emesso 32 ordinanze di cattura per altrettanti esponenti del crimine organizzato, con cellule attive tra Tirana, Durazzo ed Elbasan.

Erosione sociale

Nondimeno, resta la preoccupazione per l’aumento delle diseguaglianze, al punto che il governatore della Banca d’Albania, Gent Sejko, presentando il bilancio annuale alla commissione parlamentare Economia e Finanza, ha esortato l’esecutivo ad adottare politiche fiscali a sostegno di persone e imprese colpite dall’inflazione (che ad aprile era al 6,2%). Infatti, ha spiegato, l’aumento del costo della vita e dei costi di produzione, la diminuzione del potere d’acquisto e l’incertezza dei mercati hanno impoverito (e continuano a impoverire) il paese, erodendo quanto restava della classe media e riducendo un terzo della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Un’involuzione che ha aggravato il fenomeno dell’emigrazione giovanile, che mette a repentaglio la produzione agricola e industriale locale. Questioni che, del resto, non contano per le tre potenze impegnate in varia misura nell’attuale titanomachia geopolitica, i cui interessi geoeconomici convergono e collidono nelle zone di faglia come i Balcani. Qui, infatti, anche la Cina, che in Europa orientale ha scelto un profilo basso, coltiva l’ambizione di far giungere in Europa le sue nuove vie della seta, una volta chiusa la porta ucraina.

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