Scambio di frecciate tra Washington e Pechino, mentre il presidente statunitense Joe Biden è in visita diplomatica in Asia, per lanciare il suo piano economico regionale
Intanto, il nuovo presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr, annuncia di aver discusso l’estensione del trattato militare con gli Usa, che il suo predecessore sembrava voler far saltare
Sticomitia
Nella seconda tappa della sua visita diplomatica in Asia, il 23 maggio, a Tokyo, il presidente degli Stati uniti Joe Biden, ha rivolto un monito indiretto alla Cina. A un giornalista che, in conferenza stampa, gli ha domandato se gli Usa siano disposti a difendere Taiwan, nel caso in cui «si dovesse arrivare a questo», Biden ha risposto che questo è l’impegno preso da Washington. «Siamo d’accordo con la politica di una sola Cina», ha precisato, «ma l’idea che si debba prendere con la forza, solo con la forza, non è giusta». Il presidente statunitense ha dichiarato, inoltre, dei non credere che Pechino tenterà questa via, anche grazie alla forza dissuasiva della reazione internazionale contro la Russia. Secondo il quotidiano cinese Global Times, Biden si era espresso in termini simili a proposito di Taiwan parlando con il primo ministro giapponese Fumio Kishida, immediatamente dopo il vertice del 23 maggio. Kishida, da parte sua, avrebbe commentato che «tentativi di cambiare lo status quo con la forza, come in Ucraina, non dovrebbero mai essere tollerati nell’Indo-Pacifico», sostenendo l’impegno del suo omologo per la stabilità nello stretto di Taiwan. Immediata la risposta del portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbing, secondo cui Taipei è solamente una questione interna alla Cina, in cui, pertanto, non sono ammesse ingerenze esterne. Similmente, il portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo cinese, Zhu Fenglian, ha tuonato che gli Usa, «giocando con il fuoco», rischiano di bruciarsi. «Usare Taiwan per controllare la Cina» è rischioso, anche perché il principio di «una sola Cina» è da decenni il fondamento delle relazioni sino-americane, cui Washington dovrebbe attenersi.
Forze in visita
A Tokyo, peraltro, Biden ha rivelato i dettagli del suo Indo-Pacific Economic Framework (Ipef), per contrastare l’espansione economica dell’Impero del Centro in Asia. Il piano è fondato su quattro pilastri: commercio, catene di approvvigionamento, energia pulita e infrastrutture e, infine, fisco e lotta alla corruzione. Annunciati anche i dodici paesi individuati come partner regionali, con i quali sono previsti standard economici comuni in diversi settori: Corea del Sud, Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Tailandia, Vietnam e Filippine, che, complessivamente, rappresentano il 40% della produzione economica globale. Secondo Bloomberg, una delle incognite del tour asiatico di Biden è rappresentata da Manila, dove ancora è da chiarire se la vittoria alle ultime elezioni presidenziali di Ferdinand Marcos Jr (noto, in patria, con il soprannome di «BongBong») sia una buona notizia per Washington. Il neoeletto presidente, infatti, è il figlio maggiore del defunto dittatore e fedele alleato degli Usa Marcos, deposto nel 1986, e governerà assieme alla vicepresidente Sara Duterte, figlia del presidente uscente. Quest’ultimo, d’altronde, aveva relazioni a tratti tese con gli Usa (ad esempio, aveva chiamato l’ex presidente statunitense Barack Obama «figlio di puttana»), e, malgrado il monito cinese sui rischi legati alle alleanze militari, aveva ricevuto da Pechino la promessa di nuovi investimenti. Eppure, Usa e Filippine, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, hanno tenuto le esercitazioni militari annuali Spalla a Spalla, che quest’anno sono state le più imponenti. Sara Duterte, dal canto suo, è stata eletta per dare una certa continuità al governo filippino, in particolare, nell’intensificazione delle relazioni con la Cina.
Filippine: tra pressioni geopolitiche e minacce jihadiste
Il 23 maggio, Marcos Jr, dopo i colloqui con gli ambasciatori di Giappone, India, Corea del Sud e Stati Uniti, ha annunciato di aver discusso con un inviato da Washington l’estensione dell’accordo militare bilaterale sulle «forze in visita» (Visiting Forces Agreement, Vfa), che potrebbe essere ridefinito alla luce dei cambiamenti sullo scenario geopolitico regionale. Altro tema trattato da Marcos Jr e dall’inviato statunitense è quello dei finanziamenti per alleviare gli effetti del cambiamento climatico. «Accoglieremmo ogni assistenza all’economia che possiamo ottenere dagli Stati uniti», ha commentato il nuovo presidente filippino, precisando che si tratta di «commercio, non aiuti». Questo potrebbe essere dunque il primo elemento di discontinuità rispetto alla presidenza di Rodrigo Duterte, che aveva più volte minacciato di far saltare il Vfa, per scegliere, lo scorso luglio, la via del proseguimento delle relazioni con gli Usa). Ma, come ha spiegato il suo successore, «le preoccupazioni per la sicurezza, certamente, hanno sempre avuto un grande peso nelle nostre relazioni con gli Usa». Eppure, una settimana prima Marcos Jr, durante un colloquio con il presidente cinese Xi Jinping, aveva auspicato che i rapporti bilaterali aumentassero di livello. Anche per questo, molti analisti temevano e temono che il nuovo governo filippino possa mantenere e rafforzare i suoi legami con Pechino. Dunque, da un lato Manila subisce le pressioni geopolitiche contrarie di Cina e Stati uniti, mentre, dall’altro, è alle prese con le tensioni con la minoranza musulmana. Così, nel 2012, Manila ha siglato con Washington l’Enhanced Defense Cooperation Agreement (Edca), anche per un impegno militare congiunto contro le formazioni terroristiche di matrice islamica (fedeli prima ad al-Qaeda, poi ai cartelli dei jihad del cosiddetto Stato islamico), attive nel Sud dell’isola di Mindanao e nell’arcipelago delle Sulu. Un accordo, che, tuttavia, data la sua posizione strategica, rischia di imbrigliarla ancor di più nelle dinamiche innescate dalle rivalità sino-statunitensi.