L’allarme lanciato dalla Coldiretti: dall’inizio del conflitto il prezzo del grano è salito del 36%
Dal World Economic Forum di Davos emerge il rischio inflazione e carestia. L’emergenza rischia di cambiare gli equilibri geopolitici mondiali. In Italia è sparito un campo di grano su cinque e si dovrebbe investire di più nell’agricoltura per essere indipendenti
L’Ucraina, essendo la maggior produttrice di questo cereale, è definita il granaio d’Europa e rifornisce paesi ricchi e poveri che rischiano, rispettivamente, inflazione e carestia a causa della guerra. Le navi cariche di grano sono ferme nei porti contesi da Russia e Ucraina e non vengono lasciate partire, con la Russia che le ferma e l’Ucraina che ha gettato mine in mare. Il raccolto per il 2022/2023 in Ucraina è stimato a 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione, mentre in controtendenza sale il raccolto in Russia, a sottolineare ancora una volta che le sanzioni contro la Russia fanno poco e danneggiano l’Europa. L’allarme è stato lanciato dalla Coldiretti in occasione dell’apertura del World Economic Forum di Davos, in cui è intervenuto anche il presidente ucraino Zelensky, che ha ricevuto una standing ovation da tutti i presenti tranne dai delegati cinesi, che sono rimasti seduti. La Coldiretti ha fatto sapere che “dopo tre mesi dal suo inizio, la guerra è già costata oltre 90 miliardi di dollari a livello globale solo per l’aumento dei prezzi del grano, che sono balzati del 36%, ma effetti a cascata si sono fatti sentire su tutti i prodotti alimentari”. Secondo l’Onu sono ben 53 i Paesi a rischio alimentare.
La produzione mondiale
Come riporta l’agenzia Dire, la produzione mondiale di cereali scenderà di appena il 2%, secondo i dati riportati dall’’International Grains Council (IGC), ovvero 2.251 milioni di tonnellate per il biennio 2022-23 ma, riferisce Coldiretti, “è comunque la seconda produzione più ricca di sempre”. Per quanto riguarda il grano, invece, la produzione mondiale per il 2022/23 è in calo a 769 milioni di tonnellate, per effetto anche della riduzione negli Stati Uniti (46,8 milioni), in India (105 milioni) e, come già detto, in Ucraina. “Una situazione – afferma Coldiretti – che rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia, Yemen, Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi”.
La situazione in Italia
Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sottolinea l’importanza di investire sull’agricoltura nel nostro Paese per ridurre la dipendenza dall’estero e non sottostare ai ricatti alimentari. L’Italia importa il 64% del grano di cui ha bisogno per produrre pane e biscotti, e il 53% di mais per il fabbisogno alimentare degli animali. L’Unione Europea, nel suo insieme, ha un livello di autosufficienza delle produzione comunitaria che varia dall’ 82% per il grano duro destinato alla pasta, al 93% per i mais destinato all’alimentazione animale, fino al 142% per quello tenero destinato alla panificazione.
In Italia, negli ultimi 10 anni, è scomparso un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati. Come spiega ancora il presidente Prandini all’agenzia Dire: “L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, che hanno dovuto ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais. È importante intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende, stalle e strutturali e per programmare il futuro. Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”.