L’atleta sudafricana due volte campionessa olimpica negli 800 metri a 18 anni era pronta a mostrare la vagina ai giudici di gara.
Caster Semenya è stata costretta ad assumere farmaci per continuare a gareggiare
Sembra surreale, ma non lo è, è la storia di Caster Semenya, atleta sudafricana due volte vincitrice alle olimpiadi nella competizione sugli 800 metri e tre volte campionessa mondiale nella stessa specialità. L’atleta è affetta da DSD, una patologia in cui vi è un anomalo sviluppo del sesso cromosomico, gonadico o fenotipico. Molte sono le varianti, e non sempre la valutazione viene effettuata alla nascita, ma spesso in pubertà o a causa di condizione di infertilità e che nelle forme più gravi potrebbe rendere difficile assegnare un sesso biologico alla nascita del bambino.
Questa patologia e il suo talento nello sport l’hanno resa un simbolo degli atleti con differenze nello sviluppo sessuale, ma lei ha dovuto combattere fin da giovanissima con discrimazioni e controversie per ciò che lei è. Ora ha 31 e ha deciso di rivelare tutto durante un’intervista a HBO Real Sports.
«Pensavano che avessi il cazzo» racconta l’atleta ricordando un episodio avvenuto quando lei era giovanissima, appena diciottenne e lei ha risposto che era disposta a far vedere la vagina ai giudici pur di essere presa sul serio.
Semenya continua il suo sfogo, raccontando alle telecamere come la World Athletics l’abbia costretta a prendere farmaci che l’hanno “torturata” e l’hanno fatta stare così così male che temeva che avrebbe avuto un infarto. Abbassare artificialmente i suoi livelli di testosterone naturale per competere nelle gare femminili è stato «come pugnalarsi con un coltello ogni giorno» dichiara la donna.
L’atleta è stata costretta ad abbassare i livelli di testosterone
«Pensavano che avessi il cazzo e io gli ho risposto “sono una femmina. Se vuoi vedere che sono una donna, ti faccio vedere la vagina. Va bene”?» si sfoga l’atelta.
Semenya è nata con i testicoli interni che le hanno dato un livello di testosterone più alto delle sue colleghe. Le fu detto che per continuare a competere nelle gare femminili avrebbe dovuto assumere farmaci per abbassare il livello di testosterone.
La campionessa ricorda quei giorni come orribili.
«Mi hanno fatto ammalare, mi hanno fatto ingrassare, avevo attacchi di panico, non sapevo se avrei avuto un infarto. È come pugnalarsi con un coltello ogni giorno. Ma non avevo scelta. Avevo 18 anni, volevo correre, volevo arrivare alle Olimpiadi, era l’unica opzione per me».
L’avvocato di World Athletics, Jonathan Taylor, contesta che i farmaci somministrati a Semenya le abbiano causato dolori o fastidi, ma la campionessa non ci sta.
«Jonathan deve tagliarsi la lingua e buttarla via – ha risposto Semenya – Se vuole capire come quella cosa mi ha torturato, li prenda quei farmaci. E capirà».
La causa di Semenya per i propri diritti e per continuare a correre
Semenya ha dovuto sopportare l’assunzione di quei farmaci per diversi anni prima di decidere di presentare una causa legale per le gare sulle distanze dai 400 metri al miglio.
Nel tempo, ha fatto diversi ricorsi presso la Corte Arbitrale dello Sport (TAS) e la Corte Suprema Federale Svizzera, ma si sono rivelati inutili e non ha potuto prendere parte ai Giochi di Tokyo per difendere i titoli olimpionici vinti a Londra e Rio.
Attualmente è in attesa di un’udienza presso la Corte europea dei diritti dell’uomo e, nel frattempo, ha gareggiato su distanze più lunghe, facendo segnare un personale di 8 minuti e 54 secondi su 3.000 metri a marzo.
Un ultimo sfogo su Twitter conferma il suo (giusto) malcontento.
«Quindi, secondo World Athletics e i suoi membri, sono un maschio quando si tratta di correre i 400, gli 800m, i 1500 e il miglio. Poi una femmina nei 100, 200 metri e negli eventi a lunga distanza. Che razza di scemenza è?»
I diritti dei transessuali nel mondo dello sport
Si è già dibattuto su come comportarsi per gli atleti transessuali MtF (cioè chi è nato con un corpo biologicamente maschile e ha cominciato la transizione), fino a che punto l’assunzione di estrogeni può contrastare la produzione di testosterone, è legittimo dire che una donna nata con un corpo biologicamente maschile sia, per forza di cose, più forte, più veloce, più resistente di una collega nata biologicamente donna e che quindi sia avvantaggiata nelle competizioni?
Questo tema è ancora oggetto di dibattito, è discriminazione impedire a una donna transessuale di gareggiare in competizioni femminili o è imparzialità sulle effettive prestazioni atletiche delle concorrenti? Oppure è giusto valutare caso per caso l’effettiva “forza” delle atlete transessuali?
In ogni caso, ciò che ha colpito la campionessa Semenya è un caso di controllo del suo corpo, imposto, viene da dire, per far sì che sia conforme a un determinato standard (Alan Turing nel 1953 subì una condanna simile solo per essere omosessuale, per citare un caso su migliaia).