Come l’Iraq, il paese dei cedri fatica a trovare una via d’uscita dalla crisi politica, mentre aumenta il malcontento sociale e la crisi economico-finanziaria si aggrava
Intanto, l’Iran, malgrado lo stallo nei negoziati internazionali sul suo programma nucleare, considera l’ipotesi di esportare petrolio all’Europa, a caccia di nuovi fornitori
Libano: la borsa e la vita
Il 23 marzo, a Beirut sono iniziati i lavori di demolizione delle mura di fortificazione che, per oltre due anni, avevano protetto il parlamento dall’ondata di proteste popolari contro il governo appena nominato, accusato di essere implicato nella corruzione del vecchio regime. Infatti, alle elezioni parlamentari del 15 marzo, mentre il blocco costituito attorno al movimento sciita filo-iraniano Hezbollah (sostenuto all’estero dall’Iran) ha perso la maggioranza dei seggi, i candidati indipendenti e il partito maronita Forze libanesi (Fl, sostenuto all’estero dall’Arabia saudita) hanno conquistato il maggior numero di consensi. Dei primi, ben tredici sono riusciti ad accedere al parlamento, molti dei quali hanno spodestato deputati di vecchia data nei loro stessi distretti elettorali. Ad esempio, due indipendenti hanno vinto nel Sud del paese, che è da sempre la roccaforte di Hezbollah e del movimento Amal. A quest’ultimo, d’altronde, appartiene il portavoce del parlamento Nabih Berri, in carica da trent’anni, ma che gli indipendenti, considerandolo un’«icona della corruzione dell’establishment», vorrebbero sostituire. Parimenti, la coalizione costituita attorno a Fl ha conquistato 22 seggi, sottratti al partito cristiano del Movimento patriottico libero (Mpl), guidato da Gebran Bassil. Nondimeno, le relazioni complicate tra Fl e Mpl ostacolano il dialogo politico e rendono difficile la formazione del nuovo parlamento, che a ottobre, terminato il mandato dell’attuale presidente Michel Aoun, dovrà nominarne il successore.
Banca-rotta
Frattanto, il 20 maggio, il governo ha varato un «recovery plan» economico-finanziario, che dovrebbe consentire al Libano di uscire da tre anni di crisi finanziaria. L’accordo tra i ministri, tuttavia, è stato raggiunto nell’ultima riunione dell’esecutivo, qualche ora prima che quest’ultimo perdesse i suoi poteri per effetto dei risultati delle legislative. Ora sta al nuovo parlamento nominare un nuovo primo ministro, che successivamente formerà la squadra di governo. Il «recovery plan» include misure necessarie per poter accedere a un prestito del Fondo monetario internazionale (Fmi), compresa la ristrutturazione delle banche e la riforma della legge sulla segretezza dei dati bancari. Ad aprile, infatti, Beirut aveva raggiunto un accordo preliminare con l’Fmi, che tuttavia chiedeva una serie di precondizioni per concludere un vero accordo. Nondimeno, alla fine di aprile, l’Associazione delle banche del Libano (Abl) aveva respinto una prima bozza del «recovery plan», con la motivazione che avrebbe addossato a banche e risparmiatori il prezzo maggiore dei 72 miliardi di dollari di voragine finanziaria. Per ora, l’Abl non ha ancora commentato il piano passato il 20 maggio, ma le autorità politiche dovranno tener conto della sua posizione, in quanto le banche sono state per decenni i principali creditori del governo, secondo un meccanismo che ha alimentato a dismisura un sistema corrotto, collassato, infine, nel 2019.
Il rovescio della moneta
Il sistema bancario libanese, peraltro, è nell’occhio del ciclone a causa delle indagini per riciclaggio lanciate a carico del direttore della Banca centrale libanese da parte delle autorità giudiziarie di Francia, Germania e Lussemburgo, che, a fine marzo, hanno congelato i suoi beni, assieme a quelli di altri quattro sospettati (per un valore complessivo di 132 milioni di dollari). Intanto, le condizioni di vita peggiorano, a causa dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari: il Libano traeva il 51% del suo approvvigionamento di grano da Russia e Ucraina, mercati chiusi dalla guerra e dalle sanzioni. Ciò significa il rischio di collasso, per un paese in cui già alla fine del 2021, secondo un rapporto dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), i tre quarti della popolazione vivono sotto la soglia di povertà multidimensionale. Tanto più se si considera che dal 2020 molti esercizi commerciali e piccole imprese hanno chiuso i battenti, dopo aver perso la fiducia nella possibilità di una ripresa economica. La tendenza sembra continuare nel 2022, con gravi ripercussioni sulla situazione occupazionale, al punto che, soprattutto tra i giovani, aumentano vertiginosamente le richieste di emigrazione. Chi resta, invece, cerca di riscoprire le piccole attività artigianali tradizionali, come la sartoria, la calzoleria e i mercati dell’usato. Ma se la situazione economica dovesse peggiorare, anche queste potrebbero essere spazzate via.
Iran: per qualche barile in più
Alcuni osservatori sostengono che l’eventualità di un cambiamento politico in Libano e in Iraq dipende in gran parte dagli equilibri politici interni della Siria e, in misura maggiore, dell’Iran, anche se movimenti e partiti alleati della Repubblica islamica stanno perdendo terreno. Inoltre, lo stallo nei negoziati internazionali sul suo programma nucleare e il perdurare del regime delle sanzioni mettono alle strette l’economia iraniana, inducendo Tehran a rafforzare le proprie relazioni commerciali con quei paesi che le hanno lasciato le porte aperte, Russia e Cina in primis. Inoltre, il 23 maggio, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian ha discusso telefonicamente degli ultimi sviluppi dei negoziati internazionali con il suo omologo qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, impegnato in un tour diplomatico europeo, finalizzato a rilanciare l’accordo congiunto del 2015. Tehran, da parte sua, vorrebbe accelerare la stipula di un nuovo accordo internazionale, che le consenta di rientrare nel mercato globale, in una fase di aumento dei prezzi degli idrocarburi. Il ministero del Petrolio iraniano, infatti, il 15 maggio, ha annunciato che la Repubblica islamica sta considerando l’ipotesi di exportare gas in Europa, anche se non è stata elaborata nessuna conclusione definitiva. L’Iran, del resto, ospita una delle più grandi riserve mondiali di gas, ma il suo mercato è chiuso dalle sanzioni statunitensi, reimposte nel 2018, quando l’ex presidente Donald Trump si è ritirato unilateralmente dall’accordo internazionale del 2015. Agli inizi di maggio, intanto, Tehran e Baghdad hanno firmato un protocollo d’intesa per aumentare le esportazioni di gas iraniano in Iraq, il cui debito con l’Iran dovrebbe essere saldato entro la fine di maggio.