giovedì23 Marzo 2023
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Pena di morte, preoccupante aumento delle esecuzioni secondo l’annuale Rapporto Amnesty International

In Iran il più alto numero di esecuzioni dal 2017 579 esecuzioni in 18 stati, con un aumento del 20...

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In Iran il più alto numero di esecuzioni dal 2017

579 esecuzioni in 18 stati, con un aumento del 20 per cento rispetto al 2020. La fine delle restrizioni dovute alla pandemia ha causato l’aumento delle condanne a morte

Con la fine delle restrizioni dovute alla pandemia, i tribunali hanno ripreso a funzionare a pieno regime e hanno fatto eseguire un numero superiore di condanne a morte rispetto al 2020, con un aumento del 20%. È quanto emerge dal Rapporto Amnesty sulla pena di morte nel 2021. “Invece di cogliere l’occasione offerta dalla pausa del 2020, una minoranza di stati ha manifestato un preoccupante entusiasmo nel preferire la pena di morte a risposte efficaci alla criminalità, dimostrando un profondo disprezzo per il diritto alla vita persino mentre erano in corso gravi crisi dei diritti umani”, ha commentato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

In Iran 314 detenuti uccisi dallo Stato

L’Iran è il Paese dove sono state eseguite più condanne a morte. Su un totale di 579 esecuzioni in 18 Stati, l’Iran da solo ha ucciso almeno 314 detenuti, il numero più alto nel Paese dal 2017. Nel 2020 erano state 246 le condanne eseguite in Iran. La principale ragione è l’aumento del numero di esecuzioni per reati di droga, una evidente violazione del diritto internazionale che proibisce l’uso della pena di morte per reati diversi dall’omicidio intenzionale. L’Iran, infatti, ha continuato a prevedere l’obbligatorietà della condanna a morte per il possesso di determinati tipi e quantità di droghe. Il numero delle esecuzioni per reati di droga è salito di cinque volte rispetto al 2020 (132 rispetto a 23). Le donne messe a morte sono state almeno 14 rispetto alle nove dell’anno precedente mentre tre sono state le esecuzioni di minorenni al momento del reato, in violazione degli obblighi di diritto internazionale dell’Iran. 

L’Arabia Saudita ha più che raddoppiato il dato del 2020 e la tendenza è destinata a proseguire nel 2022, considerato che in un solo giorno di marzo sono state messe a morte 81 persone. Oltre a quello dell’Arabia Saudita (da 27 nel 2020 a 65 nel 2021), vanno registrati aumenti delle esecuzioni in Somalia (almeno 21 rispetto ad almeno 11 dell’anno precedente), Sud Sudan (almeno nove rispetto ad almeno due), Yemen (almeno 14 rispetto ad almeno cinque), Bielorussia (almeno una), Giappone (tre) ed Emirati Arabi Uniti (almeno una). In questi tre ultimi stati non c’erano state esecuzioni nel 2020.

“Dopo il calo del 2020, Iran e Arabia Saudita hanno ripreso a usare massicciamente la pena di morte, persino violando vergognosamente i divieti del diritto internazionale. La voglia di far lavorare il boia non è venuta meno nei primi mesi del 2022”, ha dichiarato Agnès Callamard.

2052 condannati nel mondo

I giudici di 56 stati hanno emesso almeno 2052 condanne a morte, con un aumento di quasi il 40 per cento rispetto al 2020. Almeno secondo i dati che Amnesty International è riuscita a registrare, il che vuol dire che potrebbero essere molte di più. I maggiori numeri di condanne alla pena capitale sono stati registrati in Bangladesh (almeno 181 rispetto ad almeno 113), India (144 rispetto a 77) e Pakistan (almeno 129 rispetto ad almeno 49). Significativi aumenti del numero delle condanne a morte rispetto al 2020 si sono visti anche nella Repubblica Democratica del Congo (almeno 81 rispetto ad almeno 20), Egitto (almeno 356 rispetto ad almeno 264), Iraq (almeno 91 rispetto ad almeno 27), Myanmar (almeno 86 rispetto ad almeno una), Vietnam (almeno 119 rispetto ad almeno 54) e Yemen (almeno 298 rispetto ad almeno 269).

I dati incerti di Cina, Corea del Nord e Vietnam

La segretezza imposta dalle autorità statali e il limitato accesso alle informazioni ha reso impossibile verificare accuratamente i dati di Cina, Corea del Nord e Vietnam. Il numero delle esecuzioni registrate in questi stati deve essere considerato come dato minimo. Come negli anni scorsi, il numero delle esecuzioni e delle sentenze capitali non tiene conto delle migliaia di persone che Amnesty International ritiene siano state condannate e messe a morte in Cina, così come dell’elevato numero di esecuzioni che crede abbiano avuto luogo in Corea del Nord e Vietnam. “Cina, Corea del Nord e Vietnam hanno proseguito a tenere segreto l’uso della pena di morte ma, come sempre, quel poco che abbiamo visto ha suscitato grande allarme”, ha sottolineato Callamard. La Cina, infatti, sembra detenere il record mondiale di numero di esecuzioni effettuate.

Quasi 90 persone condannate a morte sotto la legge marziale in Myanmar

Non mancano i Paesi che usano la condanna a morte come strumento di repressione, soprattutto contro le minoranze e i manifestanti. È, ad esempio, il caso del Myanmar, dove grazie alla legge marziale, i militari hanno trasferito ai tribunali militari i processi contro imputati civili, sottoposti a procedimenti sommari senza diritto al ricorso in appello. Quasi 90 persone sono state condannate arbitrariamente a morte, diverse di loro in contumacia, in quella che è apparsa una campagna mirata contro manifestanti e giornalisti. Anche l’Egitto ha continuato a torturare e fare esecuzioni di massa, spesso al termine di processi iniqui celebrati dai tribunali di emergenza per la sicurezza dello stato. In Iran condanne a morte sono state inflitte in modo sproporzionato ai danni delle minoranze religiose con accuse come “inimicizia contro Dio”. Almeno 61 esecuzioni (il 19 per cento di quelle registrate) hanno riguardato la minoranza etnica dei baluci, che costituiscono circa il cinque per cento della popolazione. In Arabia Saudita c’è stato il caso profondamente iniquo di Mustafa al-Darwish, un minorenne della minoranza sciita accusato di aver preso parte a violente proteste antigovernative. La sua condanna a morte è stata eseguita il 15 giugno 2021, a seguito di un processo gravemente irregolare basato su una “confessione” resa sotto tortura. In questi Paesi in particolare vi è un profondo disprezzo per le garanzie e le limitazioni previste dal diritto internazionale.

I Paesi che hanno abolito la pena di morte

Sono stati fatti piccoli passi, tuttavia, verso un’abolizione globale dell’esecuzione capitale. Il primo passo di questo cammino è stato mosso proprio in Italia, nel 1786, quando il Granducato di Toscana decise di abolire questa pena crudele. Fu il primo stato al mondo. Da allora, molte cose sono cambiate ma molte ancora devono migliorare. Tra i Paesi che nel 2021 hanno deciso di abolire la pena di morte c’è la Sierra Leone, dove a luglio il parlamento ha approvato all’unanimità una legge che rimuoverà questo tipo di sentenza. A dicembre il Kazakistan ha adottato la normativa, entrata in vigore nel gennaio 2022, che abolisce la pena capitale per tutti i reati. Il governo di Papua Nuova Guinea ha avviato una consultazione nazionale che nel gennaio 2022 ha dato luogo a una proposta di legge abolizionista, ancora da esaminare. Alla fine del 2021 il governo della Malesia ha annunciato che nell’ultima parte del 2022 presenterà una proposta sulla riforma della pena di morte. In Ghana e nella Repubblica Centrafricana i parlamenti hanno iniziato a discutere sull’abolizione. Negli Stati Uniti d’America, la Virginia è diventato il primo stato abolizionista del Sud e il ventitreesimo in totale, mentre per il terzo anno consecutivo lo stato dell’Ohio ha riprogrammato o sospeso tutte le esecuzioni. A luglio la nuova amministrazione statunitense ha istituito una moratoria temporanea sulle esecuzioni federali, facendo registare, nel 2021, il più basso numero di esecuzioni dal 1988. Gambia, Kazakistan, Malesia, Federazione Russa e Tagikistan hanno proseguito a rispettare la moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Per il secondo anno consecutivo, infine, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte è risultato il più basso da quando Amnesty International ha iniziato a raccogliere i dati sulla pena capitale. “La minoranza di stati che ancora continua a usare la pena di morte sappia che un mondo senza omicidi di stato non solo è immaginabile ma è anche in vista; continueremo a perseguire questo obiettivo, denunciando l’intrinseca arbitrarietà, discriminazione e crudeltà di questa sanzione fino a quando anche una sola persona continuerà a subirla. È davvero giunto il momento di consegnare ai libri di storia questa punizione crudele, inumana e degradante”, ha concluso Callamard.

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