Le italiane stragi impunite
“Stato forte con i deboli e debole con i forti”: Alessio Lega mette in parallelo due vicende avvenute a Piazza la Loggia a Brescia, la strage del ’74 e la protesta di un gruppo di lavoratori immigrati che nel 2010 rimase su una gru per più di due settimane
Nella mattinata del 28 maggio 1974, a Brescia, era in corso una manifestazione antifascista, con la partecipazione di centinaia di persone, quando in Piazza della Loggia esplose una bomba all’interno di un cassonetto della spazzatura, causando la morte di otto persone e circa cento feriti. Fu la seconda grave strage degli anni di piombo, dopo Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969 fino ad arrivare alla strage di Bologna del 1980. Inizialmente furono accusati alcuni membri di Ordine Nuovo, come esecutori materiali: Maurizio Tramonte, dei Servizi Segreti, Carlo Digilio e Marcello Soffiati come addetti agli esplosivi. In qualità di mandante fu invece incriminato il dirigente di ON Carlo Maria Maggi mentre altri imputati appartenenti al MSI furono assolti, anche se gli sviluppi giudiziari della vicenda sono ancora in corso. Le persone decedute furono: un pensionato ed ex partigiano, Euplo Natali di 69 anni, due operai, Bartolomeo Talenti di 56 anni e Vittorio Zambarda di 60 anni e diversi insegnanti: Giulietta Banzi Bazoli di34 anni, Livia Bottardi di 32 anni, Alberto Trebeschi di 37 anni, Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni e Luigi Pinto di 25 anni.
Iter giudiziario
Dopo una prima istruttoria, fu condannato nel 1979 Ermanno Buzzi, esponente dell’estrema destra di Brescia, poi assassinato e in secondo grado, alcuni anni dopo, i condannati furono assolti per insufficienza di prove. Successivamente, negli Ottanta, in seguito a nuove rivelazioni di pentiti il processo fu riaperto e si risolse ancora con delle assoluzioni, per una serie di intralci anche istituzionali che hanno fatto sì che per decenni nessuno abbia pagato per i crimini commessi. Anche nel 1989 emersero nuove prove da parte del SISMI (Servizio Segreto Italiano Militare) attraverso comunicazioni governative ufficiali, in seguito alle quali il possibile testimone fuggì all’estero poco prima di essere interrogato, in una rete di protezione internazionale difficile da scalfire da parte degli inquirenti. Nel 2005 la Corte di Cassazione richiede l’arresto di Delfo Zorzi ormai cittadino giapponese non estradabile e nei successivi processi gli imputati continuarono a essere assolti, quando ancora viventi, finché nel 2015 vennero condannati all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte: il primo morirà qualche anno dopo e il secondo, arrestato, ha richiesto una revisione della condanna, per cui l’8 luglio prossimo si discuterà della sua presenza in Piazza della Loggia in seguito a nuovi rilevamenti antropometrici.
La canzone: La Piazza, la loggia, la gru
Il brano di Alessio Lega, non ha la struttura della forma-canzone e ricorda una cantata di cantastorie che alterna strofe cantate a momenti narrati. Si incrociano nelle sue parole la strage del ’74 con una storia contemporanea (la canzone è del 2013) avvenuta nello stesso luogo, Piazza la Loggia: la protesta di alcuni lavoratori immigrati che per sedici giorni, dal 30 ottobre al 15 novembre 2010, dall’alto di una gru, hanno manifestato la loro esigenza di rientrare avere un documento i Italia. Nel frattempo a terra c’erano sempre dei sostenitori che issavano cibo e vestiti con una carrucola e non mancarono gli scontri con la polizia. Prima in dieci rimasero poi in sei, mandarono un video al Presidente della Repubblica con le loro richieste, sostenendo che se qualcuno fosse salito a prenderli si sarebbero buttati giù. L’8 novembre fu sgombrato il presidio nei pressi della gru e i manifestanti dall’alto impedirono ai vigili del fuoco di montare delle reti protettive da installare per prevenire eventuali suicidi. Si svolgono lezioni universitarie sotto la gru, in segno di solidarietà con loro, finche il 15 novembre gli ultimi quattro rimasti su scesero applauditi dalla folla.
L’autore
Alessio Lega è un cantastorie, scrittore e chitarrista, nato a Lecce e residente a Milano è considerato oggi il rappresentante più coerente del canto sociale in Italia. I suoi punti di riferimento musicale stanno nella canzone d’autore italiana, francese, slava e nella musica popolare del mondo. Nel 2004 Alessio Lega vince la Targa Tenco per l’opera prima con l’album “Resistenza e amore” e oltre alle sue canzoni, canta anche versioni italiane di brani di Brel, Brassens, Ferré, ecc. Nel 2014 è fra gli interpreti dello storico riallestimento Bella Ciao (diretto da Riccardo Tesi) ed è fra i curatori e gli interpreti della Rassegna Tenco dedicata alle Resistenze. Del 2018 è Nella corte dell’Arbat, un CD book sul padre della canzone russa Bulat Okudzava tradotto e cantato in italiano, presentato in anteprima al Tenco 2018 e vincitore della Targa nel 2019. Sempre nel 2019 ha pubblicato la biografia di Ivan Della Mea La nave dei folli, e ha curato varie iniziative nel decennale della sua scomparsa. Nel 2020 ha debuttato con uno spettacolo per bambini cantando i testi di Gianni Rodari ed è stato insignito del Premio Peppino Impastato.
Qui si può ascoltare La piazza, la loggia, la gru
https://www.youtube.com/watch?v=842XGUEaF58
La piazza, la loggia, la gru s’incrociano come in un campo di guerra
frustata dal vento la pioggia s’infogna ed in rivoli va sottoterra
si sperde nel buio obbligato di vicoli, trame, di oscure vicende
del tempo che passa, che passa, e non cura il dolore però lo sospende.
Sospesi al vento, sul braccio di una gru ci sono sei lavoratori immigrati
saliti per trentasei metri nel freddo d’autunno e rimasti aggrappati
a un esile filo a un pensiero, ad una speranza che brucia le ali
che gli uomini in fondo al futuro, mondati dall’odio, si svelino uguali…
Li prendono in giro i lavoratori stranieri
parlano di sanatorie e poi sono storie
inapplicabili tranelli legali
balzelli contro i più poveri
da anni venuti in Italia
sfruttati, beffati
fra il bisogno e la paura
paura di mostrare il viso
d’incontrare una divisa che ti dica
“tu qui non ci puoi più stare”
e così al mattino lavori
la sera ti chiudi in casa
e muori di nostalgia.
La pubblica via è un sofisma, c’è tutto un paese fantasma
l’identità è una carta
una corta illusione, una strana nazione.
Qui Brescia, qui nord produttivo
qui angoscia dal giorno che arrivo
qui niente sembra più vivo
la piazza è un deserto
trentasei anni fa
fu un luogo aperto
di speranza e di dolore: era un porto di resistenza ed amore
(il 28 maggio 1974 c’erano in piazza lo studente e il professore
perché un mondo migliore inizia da una scuola migliore).
Sui banchi di Piazza Loggia cade una pioggia che macchia di scuro
come l’inchiostro della sentenza che abbiamo lasciato al futuro
per raccontare ai nipoti dei figli l’assurdo segreto di stato
dei morti arrivati per caso nell’ora sbagliata e nel posto sbagliato:
otto morti sbranati dal fuoco, dall’urlo, il furore, dai canti assassini
lo scoppio, lo scolo di sangue in fretta pulito, lasciato ai tombini.
Passati dieci anni, vent’anni, trentasei anni quel lutto s’è stinto
si acceca il ricordo, muore memoria e il lutto è un pensiero indistinto.
E trentasei anni più tardi, trentasei metri sopra tutto questo
sei lavoratori stranieri resistono ad ogni costo
dal trenta di ottobre aggrappati a una gru stanno guardando dall’alto
il mondo fantasma che in basso ha perduto la sua strada nell’asfalto
ARUN, JIMI, RACHID, SAJAD, SINGH, PAPA
i nomi, il sudore, le ore, i bulloni, le viti, s’inciampa, si crepa
PAPA, SINGH, ARUN, SAJAD, RACHID, JIMI
al dieci novembre son stanchi e due fra di loro scendono primi…
Ancora la fame il vento la gru e il quindici undici solo
gli eroi della disperazione cedono infine e scendono al suolo
il quindici di novembre scendono piolo per piolo
mentre otto mute presenze da Piazza Loggia stan prendendo il volo.
Otto angeli custodi si fanno sotto le braccia
di croce della gru, col vento che punge la faccia
nel freddo che fa lacrimare, Rachid e gli altri hanno chiesto
“chi siete voi che salite qui su fino al nostro posto?”
Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante
uscita un mattino di maggio per una cosa importante
ho corpo d’amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta
aspettami dissi a mio figlio… è trentasei anni che aspetta.
Ed io impregnata di pioggia son Livia Bottardi Milani,
la pioggia che insanguina maggio, la pioggia che lava le mani
di quelli che fecero bombe e sperano il tempo cancelli
le tombe nel mare ai migranti e loro rimangono quelli.
Io Pinto Luigi emigrante, come voi, ma venuto da Foggia
per lavorare nel nord, col sangue mischiato alla pioggia
tornai stretto dentro una bara, la schiena straziata di schegge
l’Italia riunita nel sangue che ancora discrimina ma non protegge.
Io, Natali Euplo
fui partigiano qui a Brescia
di colpo mi colse l’angoscia
e venni in piazza a vedere
quanto era ancora da fare
cosa la liberazione
avesse lasciato in cantiere
e venni in piazza a morire
sai ‘eravamo in tanti
con Bartolo Talenti
e con Vittorio Zambarda
siamo i “vecchi” di piazza loggia
vecchi per modo di dire
pronti ancora a salire
in alto sul posto di guardia
perché chi è vecchio ricorda
e vede con la stessa angoscia
che l’orizzonte rovescia
il vecchio fascismo di Brescia
nel nuovo razzismo leghista.
Amore che insegna il percorso che c’è da una piazza a una gru
amore che non sciolse allora che non può sciogliersi più
amore che libera e sfida, ditelo ai nostri scolari
ha nome di Alberto Trebeschi e di Clementina Calzari
finché morte non ci separi, le frasi di rito un po’ orrende
noi fummo moglie e marito e il modo ancora ci offende
col quale una bomba feroce dentro una piazza di maggio
volle spezzarci la voce, volle disfare il coraggio
ma è amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
(Il 15 novembre 2010 a Brescia i lavoratori immigrati scendevano dalla Gru mentre la sentenza sulla strage di piazza Loggia poneva definitivamente una pietra tombale su quelle otto vittime. Nessuno è stato pare dunque. Continua la lotta.)