Ankara appare determinata a bloccare le richieste di adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia, finché non saranno soddisfatte determinate condizioni
Intanto, la Sublime porta tesse le sue trame, aspirando al ruolo di punto di incontro, o di scontro, tra «Occidente» e «Oriente»
Turchia-Nato: alleanza di comodo
Dopo due giorni di colloqui a porte chiuse, ad Ankara, con i rappresentanti della Turchia, il 27 maggio, le delegazioni svedese e finlandese sono tornate in patria. «Non è un processo facile», ha commentato un funzionario della Sublime porta, spiegando che Stoccolma e Helsinki devono compiere passi «difficili» se vogliono che la Turchia accetti la loro adesione all’Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato). I negoziati, dunque, continueranno, ma senza scadenze definite, neppure la data del vertice di Madrid previsto per fine giugno. Del resto, il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, il 27 maggio, ha dichiarato che Ankara attende azioni concrete da Svezia e Finlandia, a partire dalla fine del supporto a organizzazioni come il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e il movimento del predicatore islamico Fethullah Gülen, che vive in esilio negli Stati uniti (cui la Turchia ultimamente ne ha chiesto a più riprese l’estradizione). Infatti, alla vigilia dell’incontro con Stoccolma e Helsinki, il portavoce della presidenza turca İbrahim Kalın ha sottolineato che non si avranno progressi nel loro processo di adesione alla Nato se le «preoccupazioni sulla sicurezza» di Ankara non saranno dissipate. D’altronde, il Pkk è nella lista delle organizzazioni terroristiche non solo della Sublime porta, ma anche di Unione europea e Stati uniti. A tal proposito, al termine dell’incontro trilaterale con i ministri degli esteri di Romania e Polonia, durante la conferenza stampa congiunta, Çavuşoğlu ha parlato di un «nuovo concetto strategico della Nato», che dovrebbe comprendere la determinazione a combattere tutte le forme di terrorismo. Ragion per cui, se i due paesi scandinavi vogliono entrare nella Nato, devono smettere di sostenere «organizzazioni terroristiche» ed eliminare le restrizioni all’acquisto di armi dalla Turchia. «La solidarietà all’interno della Nato è importante», ha chiarito, «noi comprendiamo le preoccupazioni per la sicurezza di Finlandia e Svezia, ed è necessario che tutti comprendano le legittime preoccupazioni della Turchia».
Mediterraneo orientale nel mirino
Intanto, il 26 maggio, Çavuşoğlu ha ammonito la Grecia a non oltrepassare il limite di truppe ammesse dai trattati di Losanna (1923) e Parigi (1947) sulle isole greche dell’Egeo, assicurando che Ankara «non bluffa» ed è pronta a ridiscutere la sovranità di alcune di esse. Secondo il ministro degli Esteri turco, infatti, l’atteggiamento greco è una minaccia per la Turchia. Washington ha esortato i due alleati Nato a risolvere diplomaticamente una controversia inasprita dalla scoperta, nel Mediterraneo orientale, di importanti giacimenti di gas, di cui finora hanno beneficiato Israele, Egitto e Cipro. Dunque, il riavvio, benché turbolento, di colloqui «esplorativi» con la Grecia, a gennaio 2021, sembra vanificato da una nuova climax di tensioni tra i due paesi. D’altronde, il 23 maggio, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto che il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis «non esiste più», affermando la sua intenzione di non incontrarlo ancora. Questa è stata la risposta all’invito rivolto, giorni prima, da Mitsotakis al Congresso Usa, di non sostenere la proposta del presidente Joe Biden di vendere armamenti alla Turchia, perché «l’ultima cosa di cui ha bisogno la Nato, mentre è concentrata sul sostegno all’Ucraina di fronte all’aggressione russa, è un’altra fonte di instabilità nel Mediterraneo orientale». Un maggior peso geopolitico in questo bacino strategico potrebbe essere, quindi, tra le contropartite che Ankara chiederà in cambio dell’assenso all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. Al pari di un ruolo preponderante in Libia, dove ha inviato soldati a sostegno del governo di Tripoli, in Siria, nel cui territorio, negli ultimi anni, ha inviato più volte l’esercito per colpire i curdi del Rojava, e in Iraq, dove le incursioni militari sono rivolte contro presunte postazioni del Pkk e contro le milizie yazide del Sinjar.