Pubblicato il rapporto annuale della rete Mare Caldo, a cui aderiscono ben 10 Aree Marine Protette
Oltre 535 mila misurazioni hanno rivelato che la temperatura dei mari italiani è salita, provocando l’estinzione di alcune specie marine e la proliferazione di altre, abituate a temperature più calde. Un progetto di grande valore realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DiSTAV) dell’Università di Genova e il laboratorio tecnico ElbaTech
Greepeace ha presentato, a bordo della sua nave Rainbow Warrior, il secondo rapporto annuale del progetto Mare Caldo, che ha raccolto, con oltre 535 mila misurazioni, le temperature del nostro mare, con risultati che indicano come soffra dei cambiamenti climatici. Gli obiettivi prioritari del progetto Mare Caldo sono il monitoraggio, attraverso l’adozione di un protocollo standardizzato di raccolta dati, dei cambiamenti della temperatura lungo la colonna d’acqua per periodi continui, per valutare gli effetti del riscaldamento globale sugli ecosistemi marini costieri, in modo da raccogliere dati utili per sviluppare adeguate misure di gestione e tutela; sensibilizzare l’opinione pubblica e aumentare la consapevolezza sui cambiamenti in atto, con il fine ultimo di stimolare i dovuti interventi per fronteggiarli; porre le basi per lo sviluppo di una rete nazionale di monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici sulle comunità di scogliera nei mari italiani. Il progetto, realizzato con il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DiSTAV) dell’Università di Genova, partner scientifico, e il laboratorio tecnico ElbaTech, evidenzia come l’aumento delle temperature stia portando drastici cambiamenti della biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare più caldo. Iniziato a fine 2019 con una stazione pilota nel mare dell’Isola d’Elba, oggi il progetto coinvolge ben 10 Aree Marina Protette. Dopo l’adesione nel 2020 di quattro AMP (Portofino in Liguria, Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara e Tavolara-Punta Coda Cavallo in Sardegna), nel 2021 si sono aggiunte le Aree Marine Protette di Torre Guaceto in Puglia, Miramare in Friuli Venezia Giulia, Isola dell’Asinara in Sardegna e Isole di Ventotene e Santo Stefano nel Lazio. Oggi è arrivata anche l’adesione dell’AMP delle Cinque Terre e dell’AMP delle Isole Tremiti.
“Il monitoraggio e il controllo del cambiamento della biodiversità in funzione del riscaldamento globale nelle Aree Marine Protette è molto importante – ha commentato il direttore dell’AMP di Miramare, Maurizio Spoto – Queste aree svolgono una funzione di “cuscinetto” mitigando diversi impatti del cambiamento climatico: l’acidificazione degli oceani, l’innalzamento del livello del mare, la maggiore intensità delle tempeste, le migrazioni delle specie animali e la riduzione della produttività e disponibilità di ossigeno”.
Temperature shock: così muoiono “i coralli” del Mediterraneo
Il confronto dei dati del 2021 con l’anno precedente ha permesso di individuare un’anomala e repentina “ondata di calore” a giugno 2020 all’Isola d’Elba e all’Area Marina Protetta di Portofino, con temperature che in pochi giorni e per un periodo di tre settimane hanno registrato un aumento di circa 1,5°C rispetto al valore medio mensile, fino a 35-40 metri di profondità. Questi shock termici, registrati anche in Spagna e Francia nello stesso periodo, sono dannosi per gli organismi sensibili come le gorgonie, definiti “i coralli” del Mediterraneo. Esattamente come avviene ai coralli tropicali che “sbiancano”, anche diverse specie mediterranee mostrano evidenti segnali di necrosi con conseguente mortalità delle colonie a causa dell’aumento delle temperature. I maggiori segnali di sofferenza sono stati registrati sulle gorgonie rosse, bianche e gialle della Area Marina Protetta di Capo Carbonara (Sardegna). A sbiancarsi sono anche le alghe corallinacee incrostanti, particolarmente colpite da questo fenomeno nelle AMP di Torre Guaceto (Puglia) e Capo Carbonara, e il madreporario mediterraneo Cladocora caespitosa, per il quale i ricercatori hanno messo in evidenza anche una significativa riduzione delle dimensioni delle colonie dagli anni Novanta a oggi. A Miramare, anche grazie alla rete di termometri installati per il progetto, nell’agosto 2021 è stato possibile evidenziare la relazione tra una moria di spugne nere dovute alla presenza di solfobatteri e un’ondata di calore in mare.
Le specie aliene nei mari italiani, dal vermocane al mollusco polinesiano
Mentre alcune specie muoiono, altre proliferano: è il caso del vermocane (Hermodice carunculata), aumentato in modo considerevole nelle Aree Marine Protette più meridionali, o di alcune specie aliene, come il mollusco cefalospideo alieno di origine polinesiana (Lamprohaminoea ovalis), osservato per la prima volta all’isola d’Elba durante i monitoraggi del progetto. Si tratta della segnalazione più settentrionale nel mar Mediterraneo per questa specie.
La soluzione: liberarci dei combustibili fossili e tutelare gli ecosistemi marini
I nostri mari stanno soffrendo l’impatto dei cambiamenti climatici. Per affrontare questa crisi, suggerisce Greenpeace, non c’è alternativa: “dobbiamo liberarci dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili e tutelare gli ecosistemi marini più sensibili. Si è visto che laddove proteggiamo la biodiversità dall’impatto di attività umane distruttive gli organismi marini sono in grado di riprendersi e adattarsi a un cambiamento che purtroppo è già in atto”. “Il valore scientifico del progetto è enorme – ha dichiarato Monica Montefalcone, responsabile scientifico del progetto Mare Caldo per il DiSTAV dell’Università di Genova –. Siamo orgogliosi di questo progetto che è stato capace di far lavorare assieme vari soggetti su una problematica urgente e attuale. Solo tramite l’adozione di protocolli comuni, la condivisione e il confronto dei dati è possibile valutare gli impatti dei cambiamenti climatici ad ampia scala sui nostri mari e promuovere politiche di conservazione e gestione. Abbiamo inoltre la disponibilità di dati storici raccolti dall’Università di Genova che ci permettono il confronto dei dati negli ultimi trent’anni, da cui emerge un drastico cambiamento negli ecosistemi marini. Sarà quindi fondamentale continuare la raccolta dei dati per comprendere la dinamica di tali cambiamenti nel tempo”.
“Il progetto Mare Caldo sta mettendo in evidenza come anche i nostri mari stiano soffrendo l’impatto dei cambiamenti climatici – ha aggiunto Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace -. Per affrontare questa crisi oggi più che mai è necessario da un lato liberarci dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili e dall’altro tutelare gli ecosistemi marini più sensibili. Si è visto che laddove proteggiamo la biodiversità dall’impatto di attività umane distruttive gli organismi sono in grado di riprendersi e adattarsi a un cambiamento che purtroppo è già in atto”.