domenica26 Marzo 2023
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La storia della donna indigena Juana Alonzo, migrante detenuta in Messico per più di sette anni senza motivo

Accusata di rapimento, era in Messico per aiutare economicamente la famiglia La donna, di origine Maya Chuj, era partita nel...

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Accusata di rapimento, era in Messico per aiutare economicamente la famiglia

La donna, di origine Maya Chuj, era partita nel 2014, era stata arrestata e detenuta senza processo. Il governo messicano ha ammesso le sue colpe: Juana Alonzo ha subìto torture e violazioni dei diritti umani. Il comune indigeno dov’è nata l’ha accolta con una festa

Juana Alonzo Santizo è tornata a casa, il 22 maggio, nella sua terra natale di San Mateo Ixtatán, un comune indigeno di etnia Maya Chuj, situato al confine con il Messico, in Guatemala. La donna, 35 anni, ha trascorso quasi 8 anni in custodia cautelare nelle carceri del Messico, senza un processo. Nel 2014, era migrata per sostenere economicamente gli studi di due sorelle, ma era stata arrestata e da allora è rimasta in detenzione preventiva in una prigione a Reynosa, Tamaulipas, senza che la giustizia messicana ne dichiarasse la colpevolezza o l’innocenza. L’accusa formulata dalla Polizia di Stato era di sequestro di persona, un reato che non ha mai commesso, ha detto.

La mia colpa è stata non parlare spagnolo

“Sono stati imprigionata per quasi 8 anni”, ha detto piangendo la donna appena tornata a casa. Juana o “Juanita”, come è chiamata nella sua città, ha assicurato che al momento del suo arresto, nel 2014, non aveva un traduttore nella sua lingua nativa Maya Chuj, né assistenza legale o consolare. “Non c’era un traduttore, non c’era nessuno, nemmeno il consolato e tutti si sono approfittati di me”, ha ricordato tra le lacrime. Le indagini per il sequestro di persona non si sono mai svolte e di conseguenza nemmeno un processo. “Ho trascorso parte della mia vita in carcere perché sono ignorante, non parlo lo spagnolo. È stata questa la mia colpa. Ero solo una migrante”.

Suo zio, Pedro Alonzo García, ha affermato che il crimine più grande commesso da Juanita è stato di essere nata in una città dove si parla Chuj. “Il crimine che ha commesso è stato quello di non essere andata a scuola per imparare lo spagnolo, questo è stato il motivo per cui è stata in carcere 8 anni”, ha detto. Per sopravvivere in prigione, Juanita ha svolto molte attività: “Ho aiutato le altre detenute affinché mi dessero dei soldi. Lavavo i loro vestiti, le pentole, facevo le pulizie nelle celle e le ragazze mi pagavano”. In carcere ha imparato anche a tessere e è riuscita a vendere i prodotti realizzati.

Il governo messicano ammette le sue colpe

“Non è stata condannata, è stata in custodia cautelare per 7 anni”, ha detto il Direttore Legale della Procura di Tamaulipas, Fredy López. Il pubblico ministero ha eluso la risposta quando gli è stato chiesto se fosse stato violato il giusto processo, la presunzione di innocenza, i diritti umani di Juanita e le ragioni per cui il processo è stato ritardato, ma è stato lo stesso governo messicano ad ammetterlo, seppur con quasi 8 anni di ritardo. Il rilascio della migrante è avvenuto, infatti, tre giorni dopo che il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, aveva chiesto l’immediata scarcerazione alle autorità giudiziarie. Il presidente messicano ha sottolineato che ci sono prove che l’indigena maya Juana Alonzo sia stata torturata. In una dichiarazione del 21 maggio, il governo messicano ha ampliato le dichiarazioni del presidente López Obrador, ed ha ammesso che la migrante è stata ingiustamente detenuta dalla Polizia di Stato ed è rimasta incarcerata per un crimine che non ha commesso. Il governo, inoltre, ha ammesso che al momento del suo arresto non parlava spagnolo e che non gli era stato fornito un traduttore. L’Organizzazione delle Nazioni Unite aveva già affermato, nel 2018, che Alonzo fosse incarcerata in modo arbitrario e ingiusto e, sotto misure di tortura, era stata costretta a firmare una dichiarazione incriminandosi per sequestro di persona e tratta di esseri umani. Dal Messico è intervenuto anche il Centro per i diritti umani Miguel Agustín Pro Juárez AC, che ha chiesto all’Istituto nazionale delle migrazioni (INM) il rilascio di un visto per motivi umanitari, “per essere stato vittima di violazioni dei diritti umani da parte dello Stato”. Il governo guatemalteco, da parte sua, ha offerto alla migrante “sostegno umanitario e psicosociale di rilevanza culturale e linguistica”, attraverso l’Istituto per le migrazioni guatemalteche (IGM).

Il sostegno della famiglia

Juana Alonzo è riuscita ad uscire dal carcere grazie anche al sostegno della sua famiglia e la collaborazione di un’organizzazione chiamata “Promotori della liberazione dei migranti“, con sede in Guatemala. Questa organizzazione ha condotto una serie di campagne sui social network, raccolta di firme, manifestazioni nella capitale, a Xela e in Messico per aiutare la donna maya di San Mateo Ixtatán. Al suo rientro nel luogo di origine, Juana Alonzo è stata accolta da una folla nel parco centrale del comune e poi una carovana l’ha accompagnata a casa sua, dove ha vissuto parte della sua infanzia e giovinezza, prima di partire per il Messico nel 2014. Tra lacrime e abbracci si è riunita alla sua famiglia e alle organizzazioni che si battevano per la sua libertà. Suo zio ha ricordato che Juana è emigrata dalla sua città perché voleva che la sua famiglia andasse avanti. “Aveva delle sorelline e voleva che due di loro studiassero. Quel sogno di Juanita continuerà ad essere un sogno”, in una città rurale e indigena che ha bisogno di andare avanti con opportunità di istruzione, salute e lavoro. “È quello di cui abbiamo bisogno”, ha concluso lo zio di Juana.

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