Nel 2021 il consorzio Biorepack segnala 38.400 tonnellate di imballaggi di plastica che sono state riciclate, si parla di quasi il 52% dei pack immessi nel mercato nello stesso anno.
Un dato confortante se si pensa che nel mondo solo il 9% della plastica viene riciclato.
Biorepack, consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, ha visto le imprese consorziate passare da 6 a 202 in un solo anno, una cifra che ha dell’incredibile, specie se sommati ai 330 organismi convenzionati per un totale di 3.706 comuni e 36 milioni di persone servite, un numero che è facilmente riconducibile al 61% della popolazione italiana. Per dirla in parole semplici, il 61% degli italiani fa la raccolta differenziata. Un numero importante e quasi commovente, specie se consideriamo che solo nel 2020 la percentuale era sotto al 50% con 48,7 punti percentuali di italiani coinvolti nel riciclaggio.
Questo nuovo circolo virtuoso ha portato a 38.400 tonnellate di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile riciclate organicamente, pari al 51,9% degli imballaggi immessi sul mercato nello stesso periodo (74.000 tonnellate) e, sempre nel corso del 2021, sono stati riconosciuti corrispettivi economici ai convenzionati pari a 7,5 milioni di €, raggiungendo il più alto numero mai rilevato dal consorzio.
«Questi numeri, dopo appena un anno dalla nascita di Biorepack – ha commentato Versari – dimostrano quanto sia stato importante aver creato questo nuovo consorzio all’interno del sistema Conai per garantire un trattamento corretto all’innovativo comparto delle bioplastiche compostabili. In particolare, va salutato con soddisfazione il fatto che il dato sulla quantità di imballaggi riciclati rispetto all’immesso al consumo sia già oggi superiore rispetto all’obiettivo minimo di legge previsto per il 2025 (pari al 50%) e assai vicino a quel 55% fissato per il 2030» ha spiegato Marco Versari, presidente di Biorepack, i durante l’assemblea dei consorziati tenutasi il 30 maggio a Milano.
«Ricordo – ha proseguito Versari – che l’Allegato Tecnico con Conai e con l’Anci che ha dato il via ufficiale alla possibilità di consorziarsi con Biorepack è stato firmato solo il 20 ottobre 2021. Segno tangibile di quanto il nostro consorzio venga percepito come un valido alleato nella gestione di questi materiali post-consumo, garantendo importanti risorse economiche ai Comuni e ai soggetti da loro delegati per la raccolta differenziata».
Il focus sui 330 organismi convenzionati mostra che 209 sono rappresentati da Comuni, 102 sono soggetti gestori deputati alla raccolta dell’umido urbano, 10 sono enti di governo del servizio rifiuti e 9 sono gestori di impianti di trasferenza o di riciclo organico.
I comuni coperti da Biorepack
La distribuzione territoriale dei comuni coperti dalle convenzioni di Biorepack sono il 79% al nord-est, 50% nel nord-ovest e 49% nel centro.
Il sud e le isole sono rimaste significamente più indietro con una copertura pari 29% nel sud e 14% nelle isole.
«Auspichiamo – ha concluso Versari – che i comuni e i soggetti da loro delegati alla raccolta rifiuti nelle regioni del Mezzogiorno colmino rapidamente questo divario. Convenzionarsi significa infatti poter accedere a risorse economiche che si rivelano cruciali, soprattutto per le realtà territoriali di medio-piccole dimensioni. E sono uno stimolo ad effettuare nel migliore dei modi la raccolta differenziata della frazione umida, essenziale anche in chiave ambientale».
Il resto del mondo
Rispetto all’inizio del millennio, il mondo intero sta producendo il doppio dei rifiuti in plastica e la maggior parte non viene riciclata, finendo in mare, in discarica o venendo addirittura bruciata.
Nel mondo solo nel 2019 sono state realizzate 460 milioni di tonnellate e 353 milioni sono diventati rifiuti.
Secondo un report dell’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico «solo 9% dei rifiuti di plastica sono stati riciclati in fine, mentre 19% sono stati inceneriti e circa 50% sono finiti in discariche controllate. Il restante 22% è stato abbandonato in discariche selvagge, bruciato a cielo aperto o gettato nell’ambiente».
Un danno ambientale terribile in un contesto storico in cui i cambiamenti ambientali non sono solo un’ipotesi, una possibilità, ma una solida realtà con cui a brevissimo dovremmo fare i conti e che sta già mostrando i suoi terribili effetti che vanno oltre allo scioglimento dei ghiacciai e alle estati sempre più secche e torride.