Su invito del Cremlino, il segretario generale dell’Unione africana vola a Sochi per sbloccare le esportazioni di grano ed evitare la crisi alimentare nel continente
Neutralità, ripristino della cooperazione, ma soprattutto rifiuto di essere vittime di un conflitto lontano
L’incontro di Sochi
Il 2 giugno, il segretario generale dell’Unione africana (Ua) e presidente senegalese Macky Sall è partito per Sochi, in Russia, dove, il giorno successivo, ha incontrato il suo omologo Vladimir Putin, con l’obiettivo primario di sbloccare navi e silos fermi nei porti ucraini sul Mar nero, con circa 20 milioni di tonnellate di cereali e semi di girasole. Putin ha espresso la volontà di «agevolarne» l’esportazione e la disponibilità russa ad assicurare la vendita del proprio grano e dei propri fertilizzanti. Dichiarazioni simili a quelle rilasciate, il 31 maggio, dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, secondo cui, «se Kiev risolverà il problema dello sminamento dei porti, la Marina russa garantirà il passaggio senza ostacoli delle navi con il grano nel Mediterraneo». Quanto al conflitto ucraino, Sall ha ribadito la posizione di neutralità di gran parte dei paesi africani, nonché asiatici e mediorientali, ma ha sottolineato il grave impatto economico delle sanzioni euroatlantiche ai danni di Mosca, che minacciano la sicurezza alimentare mondiale. Infatti, non si tratta solo del blocco delle esportazioni di grano da Russia e Ucraina, ma anche del fermo alla vendita di fertilizzanti (e il conseguente aumento dei loro prezzi sui mercati), senza i quali i suoli africani, perlopiù scarsamente produttivi, rischiano di rendere dal 20 al 50% in meno rispetto allo scorso anno. In effetti, già nel 2020, secondo l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), in Africa circa 282 milioni di persone hanno sofferto di denutrizione. Inoltre, come aveva già detto al cancelliere tedesco Olaf Scholz il 31 maggio, Sall ha ribadito a Putin che l’Africa rischia di essere vittima di un conflitto che non la riguarda. D’altronde, sia il Senegal, sia l’Ua, il 24 marzo hanno diffuso un appello ufficiale a Mosca e a «qualunque altro attore regionale o internazionale» di porre fine alle ostilità.
Mediazioni turche
Tra le richieste di Mosca per consentire la partenza dei cereali dai porti ucraini, c’è anche l’abolizione delle sanzioni europee. Pertanto, il 31 maggio, Sall si era rivolto al Consiglio europeo, a Bruxelles, precisando che «voi dite che c’è la guerra, la crisi, ma ci sono anche le sanzioni» e invitando a cooperare per lasciar fuori da queste ultime tutto ciò che riguarda i generi alimentari. Al termine dell’incontro, il presidente senegalese si è detto «rassicurato», ma quella che l’Onu ha definito per l’Africa una «crisi senza precedenti» rischia di passare in secondo piano, rispetto alla partita geopolitica maggiore. Intanto, la Turchia, anch’essa colpita da sanzinoi, si è nuovamente proposta per una mediazione. Il 31 maggio, il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha rivelato che Ankara è in trattativa con Mosca per stabilire un corridoio di sicurezza per le navi di generi alimentari, dai porti ucraini al Mediterraneo, con «centro di comando» a Istanbul. A tal fine, Lavrov è atteso l’8 giugno in Turchia, dove, secondo l’agenzia Anadolu, prenderà parte a un vertice istambuliota tra rappresentanti turchi, russi, ucraini e dell’Onu. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, del resto, ha già parlato con i suoi omologhi russo e ucraino il 30 maggio, per preparare il terreno, e Putin gli avrebbe manifestato la volontà di coordinarsi con i «partner turchi». Frattanto, il 29 maggio, le autorità turche hanno respinto un cargo contenente 60.000 tonnellate di grano, per questioni «fitosanitarie», imponendone il ritorno in India. Da Nuova Delhi, tuttavia, chiariscono che il carico, di proprietà della Itc Limited di Calcutta, era stato acquistato dai Paesi bassi e che la sua qualità non era in dubbio. Ad acquistarne il carico, infine, sarebbe stato un commerciante privato in Egitto.
Cooperazione tesa
Il Cairo, inoltre, è un rivale geopolitico della Turchia in Medio Oriente, al punto che la distensione tra i due paesi appare più travagliata di quella tra Ankara e altri storici avversari, come Arabia saudita, Emirati arabi uniti e Israele. Tanto più che nella rivalità indo-pakistana, la Sublime porta ha relazioni significative con Islamabad, mentre il Cairo ha rapporti più costruttivi con Nuova Delhi. Ad esempio, l’Egitto sta trattando con l’India per acquistare grano in cambio di fertilizzanti. Quanto alla Turchia, invece, qualche attrito è emerso ultimamente anche con gli alleati della Nato, non solo per l’opposizione di Ankara all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, ma anche per l’annuncio di una nuova operazione in Siria, contro le Unità di difesa popolare curde (Ypg), accusate di sostenere il Partito dei lavoratori del Kurdistan turco (Pkk). Dunque, chi media con il mediatore? Infatti, se è vero che la Turchia non applica le sanzioni alla Russia, quindi nel conflitto in corso è formalmente al di sopra delle parti, nondimeno, le sue pretese geostrategiche (come un’adesione all’Unione europea, l’abolizione delle sanzioni ai suoi danni) potrebbero creare frizioni in seno all’Alleanza atlantica. D’altra parte, alcune decisioni turche, in primo luogo la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, oltre alle sue velleità geostrategiche in Medio Oriente e in Libia, potrebbero aver accresciuto la diffidenza russa verso la Sublime porta. Di conseguenza, un suo ruolo di mediazione, anche a causa delle sue ripetute incursioni in Iraq e Siria, potrebbe non avere pieno riconoscimento dalla comunità internazionale, anche se il tentativo di coinvolgere l’Onu è, in tal senso, una mossa astuta.