Una sentenza definitiva errata può rovinare una vita per sempre
La cassazione è sempre affidabile?
Lo scorso 21 maggio 2022 la trasmissione di Italia 1 “le iene” ha mandato in onda un interessante ed articolato servizio sul processo penale in cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto a Garlasco, in provincia di Pavia, nel lontano 2007. Alberto Stasi era stato assolto in primo grado da un giudice coscienzioso del Tribunale di Vigevano mentre è stato condannato in appello dalla Corte d’assise di Milano a 16 anni di reclusione e la sentenza di secondo grado “bis” è stata confermata dalla Cassazione, così per il ragazzo si sono aperte le porte del carcere già dal 2015 ed attualmente sta scontando la pena. Da notare che il processo è stato aperto e chiuso nel giro di 8 anni come dovrebbe accadere in un paese civile, ma questo è potuto succedere soprattutto perché si è trattato di un caso mediatico e solitamente i processi che in questo paese non vengono mai lasciati prescrivere sono proprio quelli accompagnati dalla grancassa mediatica, da sempre molto apprezzata dai giudici che sono esseri umani sensibili, come tutti, a finire sui giornali. Quindi, dovrebbe essere cosa buona e giusta che il processo sia durato un tempo più o meno ragionevole, peccato solo che Stasi abbia raccontato una storia davvero sconvolgente. Infatti, secondo lui, la condanna definitiva a suo carico non sembra che sia stata provata “oltre ogni ragionevole dubbio” come prevede espressamente la legge ai sensi dell’art 530 cpp. Anzi, dagli atti processuali potrebbero emergere alcuni elementi di segno contrario che potrebbero lasciare intravedere “quell’ipotesi alternativa altamente plausibile” che, secondo il costante orientamento delle sezioni unite della Corte di Cassazione, avrebbe dovuto indurre i giudici di secondo grado a confermare l’assoluzione di primo grado. Infatti, gli atti sembrano costellati da plurimi aspetti indiziari che, da un lato, non sono univoci e coerenti a carico dell’imputato e, dall’altro, coinvolgono anche una persona di sesso femminile che sarebbe stata vista da una testimone, sempre secondo “Le iene”, “aggirarsi nei pressi dalla scena del crimine con un corpo contundente in mano in un orario compatibile con la morte della ragazza”.
Gli accertamenti del Pm
Altro particolare agghiacciante raccontato dal ragazzo sta nel fatto che gli accertamenti compiuti dal PM di Vigevano hanno comportato addirittura che sia stato perso il possibile alibi che avrebbe potuto scagionarlo e che Alberto Stasi aveva fornito alla polizia giudiziaria in corso d’indagine. In effetti, il ragazzo aveva escluso la propria responsabilità sostenendo di essere stato impegnato al computer per tutto l’arco della mattinata a scrivere la tesi, ma la perdita dei dati ha impedito la possibilità di un riscontro proprio su questo fondamentale punto. I particolari raccontati da Alberto Stasi gettano un’ombra davvero inquietante perché lasciano intravedere il concreto rischio che la condanna definitiva possa essere sbagliata e confermano che in questo paese le sentenze anche definitive sono tutt’altro che affidabili. Bisogna dare atto che, in qualche caso, gli errori giudiziari vengono sanati dalla Corte di Cassazione, tuttavia, andrebbe acceso un faro anche sulle condanne definitive perché, sovente, recano errori giudiziari del tutto irreparabili e rispetto ai quali andrebbero rapidamente introdotti dei rimedi processuali straordinari. Il racconto di Stasi è molto interessante perché permette di cogliere come i giudici della corte d’appello di Milano abbiano considerato sufficienti per la condanna elementi di colpevolezza estremamente deboli e che, in quanto tali, erano stati del tutto disattesi dal giudice di primo grado che lo aveva assolto. Quindi, in assenza di una flagranza di reato, di una confessione garantita o di testimoni presenti ai fatti, la legge dovrebbe rapidamente introdurre un limite alla libera valutazione della prova da parte del giudice perché questo è sicuramente uno dei principali motivi che hanno permesso ai magistrati di adottare quelle terribili “decisioni irrazionali che contrastano con lo stato di diritto e che rovinano la vita delle persone” denunciate dal presidente Sergio Mattarella nel discorso tenuto in occasione del suo secondo insediamento lo scorso febbraio con cui ha duramente richiamato all’ordine la serietà delle valutazioni giudiziarie. E se il richiamo del capo dello stato si è soffermato proprio sulla congruità di alcune decisioni “sospette”, giocoforza c’è il serio rischio che alcuni magistrati abbiano perso il “prudente apprezzamento” che dovrebbe caratterizzare, da sempre, le sentenze ed i provvedimenti giudiziari, anche a prescindere dalla loro definitivita’. L’attenzione del capo dello stato su questo punto è da considerare una presa di posizione a tutela esclusiva dei cittadini perché Sergio Mattarella non è espressione di una maggioranza politica di cui fanno parte soggetti condannati o indagati, non rappresenta interessi di parte, ma solo l’unità nazionale.
Magistrati condannati e sospetti di calunnie
Una vicenda processuale molto simile a quella di Alberto Stasi riguarda un magistrato che è stato condannato nonostante la denuncia avesse un palese sospetto di calunnia, come sostenuto dal gip e dal Tribunale del Riesame che avevano escluso la penale responsabilità dell’imputato, mentre il Gup ha riconosciuto l’attendibilità della vittima anche perché non “mastica bene la sintassi della lingua italiana”. In questo caso è avvenuto che un dato probatorio secco agli atti di causa sia stato incredibilmente sostituito da una personale illazione del giudice. E questa sentenza è stata definita “indifendibile” perfino dal PG della corte d’appello che aveva chiesto l’assoluzione piena per l’imputato anche in secondo grado. Nonostante la richiesta del pg la condanna è stata comunque confermata, ma a dare il meglio di se’ è stata la cassazione che ha addirittura omesso di esaminare il motivo di ricorso che avrebbe comportato la sicura assoluzione dell’imputato, il quale doveva essere condannato “a tutti i costi”. Quindi, nel nostro sistema giudiziario è ben possibile che si possano nuovamente ripetere errori giudiziari se non verrà posto un serio argine alla libera valutazione degli elementi di prova a carico, anche responsabilizzando la categoria estendendo la verifica al merito delle decisioni giudiziarie ed introducendo rimedi processuali straordinari da esperire innanzi a giudici non togati. Novità che potrebbero fattivamente contribuire alla risoluzione del problema, ma che vengono colposamente ignorate dagli schieramenti politici di qualsiasi colore e casacca e non si capisce bene il perché. In effetti, se il sistema ha dato ripetutamente prova di essere inaffidabile, tale inaffidabilità non può essere automaticamente esclusa solo perché lo ha stabilito la corte di Cassazione in quanto anch’essa ha perso il prestigio di un tempo e non può essere considerata “zona franca”.
Immaginando un colloquio tra due menti illuminate che concordano sulle umane ingiustizie sebbene li separino oltre 2000 anni di storia, sovviene, in proposito, un celebre insegnamento del grande scrittore, nonché deputato dell’assemblea costituente ai tempi della Rivoluzione Francese, Victor Hugo, secondo cui: “È molto facile essere buoni, mentre è molto più difficile essere giusti”. Affermazione memorabile e assolutamente condivisibile, soprattutto, da chi, come il grande filosofo greco Platone, ha vissuto l’ingiustizia del processo farsa aperto dagli ateniesi al suo maestro Socrate ed ha significativamente insegnato che: “Il capolavoro dell’ingiustizia è quello di sembrare giusta senza esserlo”.
di Ferdinando Esposito