Libano-Israele: tensioni sul gas

Sia Beirut, sia Tel Aviv intendono sfruttare il gas a largo delle proprie coste, ma l’arrivo di una piattaforma internazionale in acque contese rischia di provocare tensioni nel Mediterraneo orientale

Il presidente libanese accusa le autorità israeliane di provocazioni e atti ostili, mentre Israele teme attacchi da parte del movimento sciita Hezbollah

Acque reflue

Il 6 giugno, giorno del sessantesimo anniversario della prima invasione del Libano da parte di Israele, nel 1982, il presidente libanese Michel Aoun ha accusato Tel Aviv di «provocazione» e «atto ostile», il giorno dopo l’arrivo di una nave della compagnia anglo-greca Energean Power presso il giacimento di Karish, in acque contese tra i due paesi. L’estrazione di gas naturale dovrebbe iniziare fra tre mesi, ma la compagnia è giunta sul posto per avviare i preparativi per la realizzazione di una stazione di estrazione e di stoccaggio, che dovrebbe essere operativa di qui a tre mesi. Tuttavia, il sito, rilevato da Israele, è rivendicato dal Libano. Già il 5 giugno, peraltro, subito dopo l’arrivo della Energean, Beirut aveva ammonito Tel Aviv a non commettere alcun «atto di aggressione», mentre lo stesso Aoun aveva precisato che sarebbe stato considerato tale ogni tentativo di avviare attività nelle aree contestate. Secondo Israele, tuttavia, il giacimento è situato nella sua zona economica esclusiva, riconosciuta dall’Organizzazione delle nazioni unite (Onu). L’unico timore di Tel Aviv, pertanto, è rappresentato dall’eventualità di attacchi da parte di Hezbollah contro la piattaforma, per la quale, secondo l’emittente Kan, l’esercito si starebbe preparando. Infatti, mentre la sicurezza degli impianti spetta alla compagnia che la gestisce, Israele è responsabile di garantire la sicurezza in mare. Dunque, la marina israeliana si è impegnata a proteggere la piattaforma con l’aiuto di sottomarini e del sistema Iron Dome.

Il nodo di Karish

D’altronde, Hezbollah aveva in precedenza avvertito Israele di non esplorare le aree contese in cerca di gas e petrolio, finché la controversia non fosse stata risolta, minacciando rappresaglie. Il movimento, peraltro, si era presentato cone difensore dei confini libanesi durante le aggressioni israeliane del 2000 e del 2006. Tali tensioni, secondo il quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi, sono indice, in realtà, del fallimento dei negoziati indiretti israelo-libanesi (avviati in modo sistematico a ottobre 2020) sotto l’egida di Stati uniti e Onu e di una sconfitta che potrebbe costare al paese dei cedri la perdita di un qualsivoglia punto di forza al tavolo delle trattative. L’incidente, inoltre, potrebbe aggravare la crisi politica interna del Libano, acuendo lo scontro tra governo e forze di opposizione, tra cui soprattutto Hezbollah ha criticato aspramente le autorità di mancanza di senso patriottico e di pianificazione strategica, oltre che di mercanteggiare con gli Usa sui diritti marittimi del Libano, scambiando il proprio silenzio con l’abolizione delle sanzioni statunitensi ai danni del genero del presidente. Anche per questo, il quotidiano francese Le Figaro, il 5 giugno, ha pubblicato un articolo dal titolo eloquente: «di fronte a Israele, il Libano è incapace di difendere le sue frontiere marittime». Intanto, il 6 giugno, Aoun e il primo ministro Najib Mikati si sono incontrati, concordando l’invito del mediatore statunitense Amos Hochstein a Beirut, per ottenere la ripresa dei colloqui indiretti con Israele. Il consigliere per la cooperazione internazionale di Aoun, Elias Bou Saab, avrebbe anche telefonato a Hochstein per pianificare una sua visita in Libano.

Rischio di collisione geopolitica

D’altronde, anche il ministero della Difesa israeliano è convinto che la contesa si risolverà grazie alla mediazione statunitense, anche perché i due paesi coinvolti non hanno relazioni diplomatiche. Finora, tuttavia, tale la mancanza di comunicazione diretta ha provocato uno stallo nelle trattative, che ha impedito la definizione di confini marittimi certi, creando un vuoto normativo con un potenziale rilevante di tensioni geostrategiche. Tanto più che, la causa immediata della sospensione dei colloqui è il rifiuto di Beirut di riconoscere la carta delle zone economiche esclusive presentata dalla controparte israeliana. Nel 2011, infatti, Beirut ha sottoposto all’Onu il decreto 6433, che limitava le rivendicazioni libanesi alla Linea 21, escludendo l’area che comprende il giacimento di Karish. Frattanto, gli studi dell’UK Hydrographic Office e, successivamente, delll’esercito libanese, hanno rilevato che Beirut può rivendicare altri 1430 kilomentri quadrati, fino alla cosiddetta Linea 29, che comprende il sito di Karish. Nondimeno, il paese dei cedri non ha mai emendato il decreto 6433. A tale scopo, una bozza era stata presentata ad aprile 2021 dall’allora primo ministro Hasan Diab, ma Aoun non l’ha mai firmata, sostenendo che proveniva da una figura politica transitoria e che stavano per essere riaperte le trattative indirette mediate dagli Usa. A febbraio 2022, del resto, il Libano ha formalmente informato l’Onu che Karish si trova nell’area contesa, invitando il Consiglio di sicurezza a impedire a Israele di avviarne lo sfruttamento. Intanto, il ministero dell’Energia israeliano ha confermato l’arrivo, il 5 giugno, della nave di Energean, illustrando l’importanza di un progetto che dovrebbe soddisfare la metà del fabbisogno israeliano di gas naturale e consentire l’esportazione verso Egitto e Giordania. Dal canto suo, Aoun ha sottolineato la necessità di concludere presto le trattative, per evitare ulteriori attriti tra Libano e Israele, con un occhio alla crisi economica che affligge Beirut dal 2019.

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