sabato25 Marzo 2023
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Per le ong la Cina ha strumentalizzato la visita dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani

Dure critiche nei confronti di Michelle Bachelet L’Alta commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha effettuato un viaggio in...

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Dure critiche nei confronti di Michelle Bachelet

L’Alta commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha effettuato un viaggio in Cina, in particolare nella regione dello Xinjiang, dove diverse minoranze musulmane vengono private della libertà. Dure le reazioni di attivisti e Ong come Human Rights Watch e Amnesty International

Al termine della visita di sei giorni, effettuata a fine maggio, dell’Alta commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang, le ong hanno affermato che il viaggio è stato usato dalla Cina per mascherare gli abusi sulle minoranze. Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, infatti, Pechino ha cercato di mostrare al mondo che “può piegare un alto funzionario dei diritti umani alla sua volontà”. Il lungo viaggio di Bachelet l’ha portata nel remoto ovest del Paese, lo Xinjiang, dove Pechino è accusata di detenere un milione di uiguri e altre minoranze musulmane in centri di detenzione, di sterilizzare le donne e costringere i cittadini a svolgere lavori forzati. Gli Stati Uniti e i parlamenti di altri Paesi occidentali hanno denunciato un “genocidio”, accuse smentite con veemenza dalla Cina, che assicura che siano centri di formazione professionale per tenere la popolazione lontana dal separatismo e dall’islamismo estremo. Si è trattato del primo viaggio in Cina di un alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani in 17 anni ed è avvenuto solo dopo numerosi negoziati. Mesi fa Bachelet avrebbe dovuto pubblicare un rapporto sulle violazioni commesse dalla Cina nello Xinjiang, ma non è stato ancora reso pubblico. La Cina rifiuta qualsiasi critica alle sue politiche in questa regione e descrive i tentativi di intromettersi nella realtà dello Xinjiang come un’interferenza. La visita di Bachelet nello Xinjiang si è svolta con totale discrezione. Le autorità cinesi, nascondendosi dietro l’epidemia di coronavirus nel Paese, hanno tenuto lontano l’Alto Commissario dalla stampa estera. Non sono stati forniti, inoltre, dettagli precisi su quali luoghi e strutture Bachelet abbia potuto visitare. I suoi collaboratori hanno affermato che ha visitato le città di Urumqi, capoluogo della regione, e Kashgar, ma non ci sono foto a dimostrarlo. I media statali hanno elogiato gli incontri positivi con Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, e il ministro degli Esteri Wang Yi. Nello specifico, hanno affermato che Bachelet “ha ammirato gli sforzi e le conquiste cinesi nel campo dei diritti umani” durante il suo incontro, in videoconferenza, con Xi, notizia smentita dai suoi portavoce.

La reazione degli attivisti e delle ong

L’ attivista uigura Rahima Mahmut, che vive a Londra, ha definito la visita di Bachelet una “vetrina”. “Non è l’indagine neutrale, indipendente e illimitata che ci era stata promessa”, ha detto. Al contrario, “Pechino voleva ottenere carta bianca per continuare a esercitare repressione, sorveglianza, tortura e genocidio contro comunità come la mia”, ha aggiunto. Secondo Human Rights Watch, il viaggio di Michelle Bachelet sarebbe potuto essere un grande momento per discutere e condannare i crimini contro l’umanità delle autorità cinesi nella regione dello Xinjiang, ma ciò non è avvenuto. “Niente di ciò che abbiamo visto dal viaggio dell’alto commissario in Cina dissipa la nostra preoccupazione che questa sarà usata come una massiccia vittoria propagandistica per il governo cinese”, ha spiegato Louis Charbonneau, direttore di Human Rights Watch. Alkan Akad, di Amnesty International in Cina, ha invece affermato che “la Cina ha usato la sua visita per spingere la propria narrativa e difendere i suoi scarsi risultati in materia di diritti umani”. Dello stesso tono Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, che ha detto: “È giunto il momento che l’Ufficio dell’Alta commissaria riconosca pubblicamente la dimensione e la gravità delle violazioni dei diritti umani commesse dal governo cinese e metta a disposizione il rapporto, da lungo tempo atteso, sullo Xinjiang, presentandone le conclusioni alla prossima riunione del Consiglio Onu dei diritti umani, in programma a giugno. Se non verrà diffuso un rapporto che affronti adeguatamente i crimini contro l’umanità in corso in quella regione, si tratterà di un tradimento nei confronti delle vittime e delle loro famiglie. L’impressione che se ne ricava è che l’Alta commissaria sia finita dentro un esercizio ampiamente prevedibile di propaganda per il governo di Pechino. Michelle Bachelet ha confermato di aver ricevuto appelli da uiguri della diaspora a proposito di familiari scomparsi e probabilmente detenuti, e ha dichiarato di averne parlato con le autorità cinesi. Il suo ufficio deve ora dare seguito e insistere sul rispetto dei diritti dei detenuti, in particolare il diritto ad avere contatti regolari con i familiari, compresi quelli che vivono all’estero. Bachelet ha annunciato l’avvio di un gruppo di lavoro tra le Nazioni Unite e le autorità cinesi su imprese e diritti umani, terrorismo e diritti umani e diritti delle minoranze, ma non ne sono noti i tempi e gli obiettivi. Ciò non potrà in alcun modo sostituire l’urgente istituzione di un meccanismo internazionale indipendente per indagare sui crimini di diritto internazionale e su altre gravi violazioni dei diritti umani nello Xinjiang”.

La risposta di Michelle Bachelet

Al termine della visita, l’Alta commissaria ha tenuto una conferenza stampa online dalla città cinese di Guangzhou. Ha riferito di aver incontrato funzionari del governo di Pechino, rappresentanti dell’imprenditoria ed esponenti della società civile. Rispetto allo Xinjiang, ha detto che le misure antiterrorismo non dovrebbero causare violazioni dei diritti e dovrebbero essere sottoposte a un monitoraggio indipendente. Ha anche fatto riferimento al diritto all’istruzione e ai diritti religiosi, culturali e linguistici in Tibet e ad altre questioni relative ai diritti umani. Bachelet ha insistito sul fatto che la sua visita non fosse un’indagine, ma un’opportunità per parlare francamente con le autorità cinesi, così come con i gruppi della società civile e gli accademici. “Questa visita non era un’indagine”, ha detto ai giornalisti, insistendo sul fatto di avere avuto accesso senza supervisione alle fonti che le Nazioni unite avevano programmato di incontrare nello Xinjiang: il capo provinciale del Partito comunista e i capi della sicurezza. “Siamo consapevoli del numero di persone che cercano notizie sul destino dei loro cari. Questo e altri problemi sono stati sollevati con le autorità”, ha detto Bachelet, rifiutandosi di fornire ulteriori dettagli data la delicatezza della questione. Bachelet ha visitato una prigione a Kashgar, dove ha visto i detenuti e una corte d’appello interna, descrivendo il suo accesso come “abbastanza aperto, abbastanza trasparente”. Le è stato assicurato dal governo dello Xinjiang che una rete di “centri di formazione professionale”, che secondo i gruppi per i diritti umani sono campi di rieducazione forzata, è stata smantellata.

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