(Dis)ordini mondiali. Balcani, Albania: forze centrifughe

Dall’ultimo vertice di Open Balkan, prospettive di allargamento dell’iniziativa e di adesione all’Unione europea

Intanto, l’Albania si districa tra equilibri interni e internazionali, tra questioni regionali e globali

Open Balkan: meglio in Europa

Il 7 e l’8 giugno, a Ohrid, all’ultimo vertice dell’iniziativa Open Balkan, i tre paesi promotori, Serbia, Albania e Macedonia del Nord, hanno siglato accordi e intese su evasione fiscale, riconoscimento reciproco dei titoli di studio e cooperazione turistica e culturale, ma l’obiettivo principale è l’integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione europea (Ue), in particolare a seguito delle turbolenze geopolitiche provocate dal conflitto in Ucraina. Il presidente serbo Aleksandar Vučić, ponendo l’accento soprattutto sulla cooperazione, ha spiegato che non si tratta di un’alternativa all’adesione all’Ue, ma della «migliore iniziativa degli ultimi decenni», che offrirà benefici ai singoli paesi. Vučić ha quindi proposto la creazione di «gruppi di lavoro» per fronteggiare questioni come la sicurezza alimentare ed energetica. Invece, il primo ministro macedone Dimitar Kovačevski ha richiamato l’attenzione sui rischi di ingerenza russa nei Balcani, che rendono necessario rafforzare la stabilità regionale. Di conseguenza, ha concluso, la scelta migliore è l’integrazione europea. Infine, il presidente del Consiglio albanese Edi Rama, ha chiarito che l’iniziativa non è della Serbia, ma delle popolazioni balcaniche, perché agevola la soluzione delle controversie regionali, come quella serbo-kosovara. Per questo, Rama ha rinnovato il suo invito al Kosovo (che finora ha rifiutato di partecipare), pur ribadendo il proprio rispetto per la sua scelta.

Ospiti di riguardo

Ai colloqui, peraltro, hanno partecipato come «ospiti» il Montenegro e la Bosnia Erzegovina: il primo ministro montenegrino Dritan Abrazović ha espresso il proprio sostegno, ritenendo l’iniziativa uno strumento per facilitare il dialogo e la cooperazione, mentre il suo omologo bosniaco, Zoran Tegeltija, si è dichiarato più «fiducioso» nella possibilità di aderirvi. Ciononostante, l’arrivo, il secondo giorno, del commissario europeo per l’allargamento Olivér Várhelyi ha suscitato qualche perplessità, sia per i suoi legami con il primo ministro ungherese Viktor Orbán, sia per il sospetto, sollevato soprattutto dalla stampa albanese di opposizione e kosovara, che rappresenti in qualche modo gli interessi russi e serbi. Tanto più che il vertice di Ohrid è iniziato il giorno dopo la cancellazione, della visita ufficiale in Serbia del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, per la chiusura dello spazio aereo di Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro. A seguito di tale «atto ostile», Lavrov ha infatti accusato l’Ue e l’Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato) di portare avanti una visione strategica dei Balcani come «Closed Balkans»: espressione interpretata da molti come un plauso indiretto di Mosca a Open Balkan. Dichiarazioni esplicite di sostegno sono giunte invece dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, secondo cui l’iniziativa rafforzerà la struttura economica dei paesi aderenti, avvicinandoli all’Ue.

Equilibri interni

Frattanto, il 4 giugno, il Parlamento albanese ha eletto presidente l’ex capo di Stato maggiore Bajram Begaj, che presterà giuramento il 25 luglio. La sua candidatura, proposta dal Partito socialista (Ps) di Rama, è stata respinta dal Partito democratico (Pd), maggiore forza di opposizione, che ha disertato le consultazioni (solo 84 deputati su 140 vi hanno preso parte, di cui 78 hanno votato a favore), con la motivazione ufficiale dell’incompatibilita del mandato presidenziale con i suoi incarichi militari. Così infatti ha commentato il neo-rieletto segretario generale del Pd Sali Berisha, che, dopo le dimissioni di Lulzim Basha, si è dichiarato di nuovo in corsa per riprendere il controllo del Parlamento. Molti, soprattutto tra le fila della sinistra, ricordano Berisha per il turbolento periodo successivo alla caduta del sistema comunista, in particolare per le violazioni dei diritti umani, il reclutamento di bande criminali per intimidire o eliminare gli avversari politici e per gli strenui tentativi, tutti falliti, di conquistare il Sud, ricorrendo a gruppi paramilitari composti da kosovari e, secondo fonti locali, anche da rom e da «egiziani balcanici». Così, Berisha aveva contribuito all’acuirsi dei contrasti etnici, al punto che, tra la sinistra del Ps, circolano voci secondo cui quella che la Corte europea per i diritti umani ha definito «segregazione» di rom e di egiziani balcanici nelle scuole di diverse città (per cui l’Albania è stata multata), esprimerebbe in realtà una diffidenza crescente da parte della popolazione e delle stesse autorità.

Trame diplomatiche

Intanto, a maggio, l’ex segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha visitato la cittadella militare di Ashraf3, vicino Tirana, che dal 2016 ospita i membri dei Mujaheddine del popolo, movimento dissidente iraniano di ispirazione islamico-marxista, trasferito in Albania dall’Iraq. Pompeo, inoltre, ha celebrato il centenario delle relazioni tra Albania e Usa, proprio mentre la Nato, che già sta allestendo la base aerea di Kuçovë, si accinge a realizzarne una terrestre a Pashaliman (entrambe sono ex-basi del periodo comunista). Infine, ha sponsorizzato, al cospetto di Rama, l’accordo tra la compagnia bulgara Overgas, l’albanese Albgaz e la statunitense Linden Energy, per costruire un «corridoio per il gas naturale» tra Albania e Bulgaria. Un passo, almeno nelle intenzioni, verso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico per tutta la regione. Dunque, l’Albania rischia di essere nuovamente il punto di convergenza di tensioni politiche e rivalità geostrategiche, mentre diventa sempre più difficoltoso gestire un malcontento sociale che cresce di giorno in giorno, di pari passo con l’aumento dei prezzi di carburanti e generi alimentari. Aumenti che gran parte della popolazione giudica insensati, visto che l’Albania esporta tutto il petrolio e quasi tutti gli ortaggi che produce.

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