Alcune popolazioni non hanno potuto ricevere le cure mediche dopo aver contratto il Covid-19, la loro casa e foresta, la foresta Amazzonica, le ha salvate.
Le popolazioni dell’Amazzonia hanno gestito la pandemia con rimedi naturali della propria zona
ROMA – In Italia e nel mondo, il vaccino e le cure per il Covid-19 sono state osteggiate e criticate aspramente, eppure hanno salvato migliaia di vite e dato una spinta considerevole all’attuale situazione di relativa calma e tranquillità in cui il mondo occidentale si trova oggi.
Non è questa la sede per parlare di vaccino o non vaccini, di cure sperimentali e qualsiasi altra facezia di cui ci si riempie la bocca ultimamente senza esserne competenti, è però bene portare alla luce che alcune popolazioni dell’Amazzonia non hanno potuto, causa isolamento e condizioni mediche, ricevere le cure per questo virus, ma loro non ne hanno avuto bisogno e hanno recuperato dalla più grande foresta del mondo, la Foresta Amazzonica, i principi naturali di cui avevano bisogno per guarire.
L’iniziativa per preservare la farmacia naturale della Foresta Amazzonica
Ne ha parlato Nemo Andi Guiquita, a capo della divisione Donne e salute della Confederacion de las Nacionalidades Indigenas de la Amazonia Ecuatoriana (Confeniae), branca amazzonica della più importante organizzazione di rappresentanza dei popoli originari dell’Ecuador, uno degli enti organizzatori dell’iniziativa per preservare la Foresta Amazzonica e le ancestrali conoscenze che contiene.
«Un’immensa farmacia che ha contribuito a salvaguardare molte vite in aree che “sono state le ultime a essere assistite dai governi – ha detto all’agenzia DIRE Guiquita – Allo stesso tempo però, rafforzare la rete di connessione con le istituzioni, per poter rendere il loro lavoro nelle comunità più efficace» Un processo rivolto sia verso l’interno che l’esterno della foresta, la più grande del mondo, è stato quindi quello che ha segnato il primo incontro regionale degli agenti comunitari di salute dall’Amazzonia, chiamata “Nuestro Territorio, Nuestra Salud”.
Questo incontro, durato per un totale di 48 ore, è stato organizzato anche dalla ong Hivos, la Pontificia Universidad Catolica del Ecuador, si è tenuto nei giorni scorsi nella sede dell’organizzazione a Puyo, nella provincia centrale di Pastaza, nel cuore della foresta dell’Ecuador, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e il ministero della Salute di Quito. I rappresentanti che hanno preso parte all’incontro provenivano da cinque Paesi del bacino amazzonico: oltre Ecuador anche Perù, Brasile, Colombia e Bolivia.
Una farmacia a cielo aperto praticamente infinita
«Vi hanno partecipato circa 70 delegati, che hanno condiviso esperienze e conoscenze come agenti di salute a partire da diversi ambiti: rapporto tra medicina tradizionale e convenzionale, processi formativi, uso della tecnologia, riconoscimento istituzionale», ci racconta Andi Guiguita, che è anche leader della comunità Waroani. «Una delle necessità che è emersa è quella di organizzare una rete di relazioni più efficace con i rappresentanti istituzionali: l’agente di salute comunitario deve essere infatti un ponte fra le comunità e gli enti che rappresentano la medicina occidentale e lo Stato- afferma Guiguita. – Quello dei “promotores de salud comunitaria“, una figura che si dedica a facilitare l’accesso alle cure per le comunità, è un percorso centrale della Ruta de salud indigena amazzonica che Confeniae e Hivos, con altri, portano avanti per migliorare il sistema di cura nelle aree della foresta e che hanno dovuto rafforzare durante la pandemia».
«Siamo stati gli ultimi a essere assistiti dai governi in fatto di salute, di formazione e di assistenza umanitaria. Oltre a questo i rappresentanti dei vari Stati amazzonici non hanno messo un freno all’industria estrattiva di idrocarburi che tanti danni comporta alle nostre comunità – continua la dirigente,esprimendo un punto condiviso da più organizzazioni nel mondo. Un rapporto pubblicato dalla Coalicion contra la pandemia minera, una coalizione internazionale di associazioni, ha scoperto ed evidenziato che almeno nove governi dell’America Latina, di cui quattro amazzonici hanno approfittato della pandemia per incrementare le attività estrattive e per metterle al centro dei programmi di ripresa post crisi sanitaria.
«L’incontro che abbiamo organizzato a Puyo ci è servito anche a fare un punto sui sistemi di auto governo e di auto organizzazione che si sono resi necessari durante la pandemia e che di fatto ci hanno permesso di gestirne la fase più critica».
L’elemento centrale di un approccio di questo tipo è stato sicuramente l’insieme di conoscenza medica tradizionale tramandata per secoli dai nativi dell’Amazzonia e della loro profonda conoscenza delle piante e radici officinali che rendono l’Amazzonia una farmacia a cielo aperto.
«L’utilizzo di questi rimedi, che ci viene trasmesso dai nostri saggi, ha dato riscontro positivo nel trattamento di diversi sintomi del Covid-19, salvando molte vite».
Durante queste 48 ore, i partecipanti all’incontro hanno potuto visitare l’orto della Confeniae, un’iniziativa promossa dalle attiviste dell’organizzazione nell’ambito della Ruta de salud indigena per la conservazione delle piante medicinali.
Questi incontri hanno portato a nuove consapevolezze che sono servite per mettere le basi per una serie di future iniziative, come dice anche la dirigente della Confederazione dei popoli originari.
«Abbiamo gettato le basi per delle iniziative informate dalla solidarietà, l’unione, il ruolo delle donne native. Nello specifico dei piani di salute preventiva e di cura da implementare attraverso le politiche pubbliche e dei programmi per tutelare e promuovere le conoscenze ancestrali. Stiamo anche promuovendo e cercando un finanziamento per il Centro de Investigación de Medicina Ancestral, che abbiamo costruito nella sede di Confeniae».
La Foresta Amazzonica sta scomparendo
Come è ormai risaputo, la Foresta Amazzonica è il polmone del mondo, sparita lei, perderemmo circa il 20% di tutto l’ossigeno del mondo (anche se la percentuale è dubbia, rimane comunque tanto, tantissimo ossigeno), è la foresta più estesa del mondo con circa 5,5 milioni di kmq, pari a circa 18 volte l’Italia, ha uno degli ecosistemi più vasti e più fragili del mondo con circa 16mila specie di piante e circa 390 miliardi di alberi, è talmente estesa che, da sola, la Foresta Amazzonica costituisce circa la metà di tutte le foreste pluviali ancora esistenti sulla Terra e ora è una farmacia per la più grave epidemia che il nuovo millennio abbia (finora) visto.
Eppure, questo non sembra essere importante.
La sua deforestazione è partita ormai 80 anni fa, durante gli anni ‘40 e nel 2017 risultava che risultava che più del 20% dell’intera superficie forestale fosse stata disboscata.
Le cause?
L’allevamento intensivo e l’agricoltura in gran parte.
Quello che ormai di sta ripetendo da anni è confermato: siamo troppi su questo pianete e se l’unico modo per sfamare l’essere umano (e nemmeno tutti, tra l’altro), è distruggere e annichilire le risorse umane, abbiamo davvero, davvero sbagliato qualcosa.
Forse questa nuova iniziativa potrà aiutare questo gigante verde a prendere un po’ di respiro e ad essere più protetta da tutti coloro che la vivono giornalmente e che dipendono totalmente da lei.