Dopo la TotalEnergies, anche l’Eni e la ConocoPhilips entrano nel progetto North Field East in Qatar, destinato alla produzione di gas naturale liquefatto
Nel contesto della crisi energetica, Doha cerca partner internazionali per sfruttare il più grande giacimento di gas del pianeta
Una potenziale alternativa al gas russo
Il 19 giugno, la compagnia petrolifera italiana Eni ha firmato un accordo con la Qatar Energy per la creazione di una joint venture che controllerà il 12,5% del progetto North Field East per la produzione di gas naturale liquefatto (gnl). Il suo costo complessivo è di oltre 28 miliardi di dollari, in vista di un aumento della produzione del 60%, ossia dalle attuali 77 a 110 milioni di tonnellate l’anno entro il 2027. A Eni, dunque, che di questa joint venture avrà una quota del 25%, è stato assegnato il 3,12% dell’intero progetto, mentre all’azienda francese TotalEnergies, che con Doha aveva siglato un accordo simile il 12 giugno, spetterà la fetta più consistente, pari al 6,25%, a fronte di un investimento di due miliardi di dollari. Inoltre, sempre il 19 giugno, è arrivato il terzo partner internazionale, la compagnia statunitense ConocoPhilips, che ha stipulato un contratto di partenariato analogo a quello dell’Eni, con quote di partecipazione di pari valore. Le trattative per lo sviluppo di questo progetto, che farà del Qatar il maggior esportatore al mondo di gnl, erano iniziate nel 2019, un anno dopo il ritiro unilaterale degli Stati uniti dall’accordo tra l’Iran e la comunità internazionale sul programma nucleare iraniano, il cosiddetto Piano d’azione congiunto globale, noto con l’acronimo inglese Jcpoa. Infatti, oltre a rappresentare un’alternativa alle importazioni europee di gas dalla Russia, il progetto qatariota potrebbe ostacolare ulteriormente i negoziati di Vienna con Tehran. Infatti, il giacimento di gas implicato nel North Field East, e che rappresenta circa il 10% delle riserve di gas naturali conosciute sulla Terra, si estende nel sottosuolo del Golfo persico, fino alle acque territoriali iraniane. Tuttavia, il naufragio del Jcpoa e le relative sanzioni statunitensi impediscono alla Repubblica islamica di sfruttarne le potenzialità. Peraltro, il Qatar è già uno dei principali produttori di gnl al mondo, assieme a Usa e Australia, rispetto ai quali stabilisce prezzi migliori. I suoi principali clienti sono Corea del Sud, Giappone e Cina, mentre le imprese europee avevano reagito finora con riluttanza ai contratti a lungo termine proposti da Doha.
Apertura del Forum economico del Qatar
Nel bel mezzo di questa caccia ai partner internazionali per lo sfruttamento del gnl, il 20 giugno sotto la supervisione dell’emiro sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, è iniziata la seconda edizione del Forum economico del Qatar, con lo slogan «uniformare la ripresa». Vi hanno preso parte capi di Stato e uomini d’affari provenienti da diversi paesi del mondo, tra cui Georgia, Namibia, Egitto, Kenya, Stati uniti, ma anche rappresentanti di organismi internazionali, come la Commissione per l’Africa dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), e il presidente della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) Fifa Gianni Infantino. All’ordine del giorno, la necessità di rendere più equa la ripresa economica globale, il futuro del mercato mondiale e le prospettive per la globalizzazione, la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di carbone. Altri argomenti di discussione previsti sono la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e le opportunità di investimento nel settore dello sport. Al termine degli incontri, peraltro, è prevista una visita allo stadio Al Thunama, in vista dell’inizio del prossimo campionato mondiale di calcio. Secondo il direttore di Bloomberg Media, che sponsorizza la seconda edizione del forum, si tratta di un’opportunità per i capi di governo mondiali per indirizzare la ripresa economica verso una maggiore attenzione all’ecologia e alla lotta alla povertà. Doha, inoltre, dopo un isolamento internazionale durato dal 2017 al 2021, cerca di affermare un proprio ruolo geopolitico, possibilmente autonomo dagli altri due pilastri del Golfo, Arabia saudita ed Emirati arabi uniti (Eau). Come per Riyadh, del resto, anche per Doha lo strumento principale del perseguimento dei propri interessi geostrategici è rappresentato dagli idrocarburi. Nondimeno, l’impegno del piccolo emirato si dipana anche nel settore diplomatico.
Reti diplomatiche
Infatti, il Qatar, considerato un alleato importante dalla Turchia (che nel suo territorio ha impiantato una base militare), negli ultimi mesi cerca di allargare i propri orizzonti geopolitici. Alla fine di maggio, i media israeliani hanno riportato che, insieme all’Egitto, Doha avrebbe evitato un acuirsi della tensione tra Israele e territori palestinesi occupati, scongiurando il rischio di un conflitto militare, in particolare durante la cosiddette marce della bandiera. Tuttavia, lo sforzo diplomatico qatariota appare tutt’altro che privo di ostacoli. Recentemente, il generale statunitense in pensione Robert Allen, che era stato incaricato dall’ex presidente Barack Obama di elaborare un piano di sicurezza per un eventuale accordo di pace israelo-palestinese, è finito nel mirino della magistratura Usa per i suoi presunti rapporti con il governo di Doha, in favore del quale avrebbe esercitato pressioni presso l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump per porre fine al suo isolamento diplomatico. Inoltre, secondo indiscrezioni, il piccolo emirato avrebbe intavolato trattative con le compagnie petrolifere cinesi China National Petroleum Corporation e Sinopec, che intendono investire 29 miliardi di dollari nello stesso North Field Est. Un modello di cooperazione internazionale, minato, nondimeno, dalle tensioni crescenti tra Washington e Pechino, che rischiano di rendere difficile la coesistenza tra aziende cinesi e statunitensi nel medesimo progetto.