Protesta di Greenpeace alla vigilia del Consiglio Europeo sull’Ambiente
Un’attivista di Greenpeace Italia ha fermato Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani per chiedergli un impegno concreto per una legge che non importi materiale proveniente dalla deforestazione. Il Parlamento europeo è a lavoro sul piano Fit for 55, per ridurre del 55% le emissioni di gas serra
Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani è stato fermato all’ingresso di un convegno a piazza Montecitorio da un’attivista di Greenpeace Italia. Gli è stato chiesto di scegliere se prendere una posizione ambiziosa, rappresentata da una statuina a forma di tucano, oppure proseguire su una strada che mette in pericolo la natura, rappresentata da una statuina a forma di motosega. Il ministro ha scelto il tucano, assicurando l’impegno del nostro Paese. Greenpeace ha inscenato così una protesta creativa per esprimere preoccupazione per la mancanza di ambizione dimostrata finora dall’Italia nel colmare le lacune dell’attuale bozza. Il 28 giugno si terrà il Consiglio europeo sull’Ambiente, in cui i ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi dell’Unione Europea discuteranno la bozza della nuova normativa che potrebbe finalmente impedire di importare deforestazione.
La preoccupazione di Greenpeace
“Nella normativa risulta ancora inadeguata la tutela dei diritti umani – afferma Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia -, bisogna includere anche altri importanti ecosistemi diversi dalle foreste, come le savane e le zone umide, mancano obblighi per il settore finanziario e non sono stati inseriti nella lista di materie prime e prodotti interessati dalla normativa prodotti come gomma, mais e carne di maiale e pollo, la cui produzione ha gravi impatti su foreste e biodiversità. Ma durante gli incontri preliminari al voto finale della Commissione, l’Italia non ha assunto posizioni decise su questi punti, preferendo anche rimandare decisioni importanti ai prossimi anni. Abbiamo chiesto al Ministro più ambizione da parte del nostro Paese e confidiamo che il 28 giugno l’Italia faccia la sua parte per evitare che la normativa venga annacquata o aggirata”. L’iniziativa di Greenpeace Italia segue la notizia del crudele assassinio dell’esperto di culture indigene Bruno Pereira e del giornalista inglese Dom Phillips, brutalmente uccisi nell’Amazzonia brasiliana dove svolgevano attività di ricerca. “La loro morte ci addolora profondamente e rappresenta l’ennesimo capitolo dell’agenda anti-ambientalista che il governo Bolsonaro sta promuovendo – ha proseguito Borghi -. Parliamo di politiche che hanno reso l’Amazzonia più pericolosa sia per i Popoli Indigeni e le comunità tradizionali, sia per chi difende l’ambiente, i diritti umani e la libera informazione. La domanda europea di mangimi, carne, legname pregiato, minerali e metalli preziosi rischia di esasperare questa situazione già gravissima, per questo chiediamo a gran voce una normativa europea per smettere di importare deforestazione e violazioni dei diritti umani”.
Il tracciamento sull’olio di palma
Nel frattempo, l’associazione di categoria che rappresenta l’industria dell’olio di palma e quattro delle più grandi aziende agroalimentari al mondo (Bunge, Cargill, ADM e Viterra) stanno cercando delle scappatoie per aggirare uno degli obblighi principali previsti dalla normativa, ovvero l’obbligo di trasparenza e tracciabilità delle filiere di prodotti e materie prime importati in Unione Europea. Vorrebbero cioè evitare di dover indicare con precisione l’appezzamento di terreno dove sono state coltivate le materie prime (nel caso della palma da olio e della soia e derivati, come i mangimi) o dove hanno pascolato gli animali (nel caso della carne e del cuoio). “Parliamo di una parte cruciale della proposta: se salta l’obbligo di indicare l’appezzamento di terreno sul quale sono state piantate la soia o le palme dai cui frutti si ottiene l’olio di palma, non sapremo mai se per fare spazio alle piantagioni, siano state invase terre indigene o stata distrutta la natura”, conclude Borghi: “Se l’attuale bozza venisse approvata, invece, la normativa richiederebbe per la prima volta alle aziende che immettono determinati prodotti e materie prime sul mercato UE, di rintracciarne l’origine e dimostrare che non sono collegate alla distruzione o al degrado delle foreste. Bisogna agire con urgenza”. Tra il 2015 e il 2020, il mondo ha perso circa 51 milioni di ettari di foreste, pari a un’area delle dimensioni di un campo da calcio ogni due secondi, soprattutto a causa dell’espansione dell’agricoltura industriale. Greenpeace chiede al ministro Roberto Cingolani e ai ministri competenti dei Paesi membri di colmare le lacune dell’attuale normativa.
Fit for 55
Fit for 55, ovvero “Pronti per il 55” si riferisce all’obiettivo dell’Unione Europea di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Il pacchetto proposto mira ad allineare la normativa dell’UE all’obiettivo per il 2030. Il pacchetto Pronti per il 55% è un insieme di proposte volte a rivedere e aggiornare le normative dell’UE e ad attuare nuove iniziative al fine di garantire che le politiche dell’UE siano in linea con gli obiettivi climatici concordati dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Il pacchetto di proposte mira a fornire un quadro coerente ed equilibrato per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’UE, in grado di garantire una transizione giusta e socialmente equa, mantenere e rafforzare l’innovazione e la competitività dell’industria dell’Uunione Europea, assicurando nel contempo parità di condizioni rispetto agli operatori economici dei paesi terzi, sostenere la posizione leader dell’UE nella lotta globale contro i cambiamenti climatici.
Gli emendamenti approvati
Per il piano Fit for 55, il Parlamento ha già approvato lo stop, a partire dal 2035, alla vendita dei veicoli che emettono CO2. Più precisamente dal 2035 sarà vietata la commercializzazione sul territorio europeo delle vetture ad alimentazione diesel, benzina e gpl, nonché le auto ibride, che non saranno ad emissioni zero. Sono però stati respinti gli emendamenti sui biocarburanti e sul calcolo delle emissioni sull’intero ciclo di vita. Tra gli emendamenti passati ci sono anche quelli proposti da alcuni europarlamentari italiani che hanno posticipato al 2036 l’azzeramento delle emissioni per chi produce un numero di auto compreso tra mille e 10mila l’anno e tra mille e 22mila nel caso di veicoli commerciali leggeri. Approvata anche la proposta di revisione del meccanismo ETS, ovvero il mercato delle emissioni, per l’aviazione, con il settore che dal 2035 dovrà pagare le emissioni climalteranti.
Gli emendamenti respinti
A Strasbrugo non sono passati due emendamenti che intendevano rendere obbligatorio entro il 2035 l’immissione sul mercato Ue di auto e furgoni nuovi a zero emissioni, che avrebbero permesso di continuare a immatricolare il 10% dei veicoli a combustione interna ancora per un tempo indefinito. La bocciatura più clamorosa tuttavia è quella della riforma del già citato sistema ETS. Nella proposta della commissione Ambiente, respinta dalla plenaria, si chiedeva una riduzione dei permessi di emissione annuali al 2030, l’inclusione dell’incenerimento dei rifiuti urbani a partire dal 2026, l’eliminazione delle quote gratuite entro il 2030 e l’istituzione del cosiddetto Cbam, cioè la “tassa sulla CO2 importata”. Non è passata neanche l’istituzione del Fondo sociale per il clima che, d’altra parte, nelle intenzioni della Commissione europea dovrebbe finanziarsi proprio con i soldi del mercato ETS.