Siamo giunti molto probabilmente ai titoli di coda di un’esperienza politica che si era annunciata rivoluzionaria. Luigi Di Maio, Ministro degli Esteri del Governo italiano, rimane per ora dentro il partito, ma il futuro promette tempesta.
Il Movimento 5 Stelle va gradualmente dissolvendosi, seppellendo le speranze di migliaia di attiviste e attivisti che in principio avevano guardato a questo esperimento con indomabile entusiasmo.
L’antipolitica si è fatta politica, i più prevenuti lo avevano previsto già al tempo delle piazze gremite, quando le folle adirate invocavano il cambiamento a colpi di “vaffanculo”. Il serpente ha mutato pelle, il principio “uno vale uno” è stato svuotato di ogni attendibilità, e finanche la regola dei due mandati sembra a tratti barcollare. Così, dopo l’ennesima sconfitta elettorale, la ricomposizione pare impossibile, più che una crepa appare evidente la frammentazione.
Armi in Ucraina
Non è mistero che il Movimento 5 Stelle a guida Giuseppe Conte, tutto sommato nel rispetto della (post)ideologia degli esordi, sia contro l’invio di altre armi all’Ucraina. Continuare ad armare Zelensky porterà al popolo italiano nuova pressione fiscale e tagli alla spesa sociale, depotenzierà le debolissime vie diplomatiche per la risoluzione del conflitto, alzerà l’asticella che conta il numero dei morti nel conflitto che sta catalizzando le politiche europee. Il Ministro Di Maio, impeccabilmente allineato al Governo Draghi, ha accusato il movimento di porsi in contrasto con la Nato e l’Europa sortendo lo stupore del Presidente della Camera Roberto Fico. La sensazione è che al di là di posizioni e riposizionamenti oggi tutto torni utile per accelerare lo scontro che porterà alla scissione.
Il declino
Il declino del Movimento 5 Stelle non comincia in questi giorni con le differenze di vedute sul tema della guerra. L’elettorato ha cominciato a guardare altrove quando i pentastellati, rinnegando i principi tanto solidi, dopo le ultime elezioni politiche scelsero di governare con partiti che esprimevano ed esprimono la continuità politica col passato, la Lega prima, il PD dopo (entrambi sotto la presidenza di Giuseppe Conte), e poi addirittura nel larghissimo Governo Draghi. In quelle condizioni i temi dell’acqua pubblica e delle energie rinnovabili sono diventate chiacchiere da bar, soppiantate tra l’altro dalle scorribande salviniane contro i migranti che morivano in mare. Il reddito di cittadinanza è stata forse l’unica vittoria del vecchio interessante programma.
Conte e Di Battista
Conte capo politico del M5S, al di là di quel che si possa pensare nel bene e nel male del premier decaduto, è sintomo della deviazione che il progetto ha subito. Gli stati generali avrebbero probabilmente incoronato Alessandro Di Battista, e non è escluso che il più movimentista del gruppo sia stato accantonato dall’alto. A guardar bene gli sviluppi quanto mai prevedibili, Giuseppe Conte accettando l’incarico di leader ha tranciato l’enorme consenso che milioni di cittadini gli avevano rivolto seguendolo nella gestione pratica, politica e comunicativa della pandemia. Senza questo salto nel buco nero a cinque stelle, oggi Conte sarebbe papabile, se non per la prossima presidenza del Consiglio, almeno per un dicastero, invece si trova al timone di una nave che sta affondando.
Le parole di Enrica Sabatini
A ratificare la fine del Movimento ci ha pensato Enrica Sabatini, moglie di Davide Casaleggio e socia della piattaforma Rousseau, un tempo centrale nel progetto.
“Il Movimento 5 stelle è un’esperienza finita. Varrebbe la pena che si prendesse atto serenamente di questa realtà. È inutile l’idea di poter risollevare qualcosa che ormai è rifiutato dall’elettorato.”